GIACOMO GARZYA FINALISTA PREMIO LUZI PREFAZIONE E RECENSIONE DI DELOS 4 DICEMBRE 2024
Giacomo Garzya è lieto di comunicare ai cari amici che, come da bando, sono stati regolarmente resi noti e pubblicati gli esiti del Premio Internazionale Mario Luzi, XIX Edizione, 2023-2024.
“Dai medesimi risultati emerge che la sua pregevole opera denominata “Delos”, è rientrata fra le migliori opere in concorso conseguendo l’esito di ‘Finalista’”. L’esito conseguito è a tutti gli effetti una nota di esplicito apprezzamento e Benemerenza per la qualità e prestigio della Sua opera valutata. D’ora in avanti, tale esito potrà essere oggetto di pubblica diffusione, oltre che riscatto del relativo Titolo di Benemerito nella Repubblica Italiana, come previsto dall’art. 7 bis del contratto”.
(La lettera da lui ricevuta vale quale formale attestazione per l’esito conseguito ai fini delle citazioni pubbliche).
Roma, 30 novembre 2024
FONDAZIONE MARIO LUZI
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica |
Divisione Atti e Pubblicazioni
Prefazione
di Enzo Santese
«Le mie poesie come le mie fotografie sono un giornale intimo che non è intimista. Sin da piccolo mi è stato inculcato il valore dell’universalità e quando scrivo fotografo, interrogo me, pensando agli altri». Con queste parole Giacomo Garzya segna un itinerario di attenzione per il lettore in una pagina d’avvio a una silloge del 2010 (Il viaggio della vita, D’Auria editore); è una sintesi concettuale che costituisce la nervatura primaria di una scrittura che mira alle profonde connessioni tra realtà interna ed esterna, mentre il poeta cerca dentro di sé quei punti di contatto con la realtà che giustificano un’appartenenza a pieno titolo al mondo. Le liriche sono percorse dalla frequenza di un dolore che diventa cangiante nei toni di sopportabilità e mutevole nella gradazione della sua incandescenza; qui si sviluppa una serie di annotazioni perentorie sulla dicotomia tra gioia e sofferenza, sulle ragioni che fanno prevalere di volta in volta l’una polarità emotiva sull’altra. Anche quando la metafora sembra raggiungere l’alta temperatura di una rarefazione del pensiero, la realtà si presenta nella sua essenza prospettata allo sguardo e all’animo del lettore con il tono di una colloquialità mai vernacolare, semmai ridotta alla cifra più prossima alla sensibilità degli altri, che l’autore si immagina lo ascoltino per un confronto ideale sulle valenze dell’“esserci” in una dimensione fisica che seduce con la sua avvincente bellezza e abbatte con la sua spietata discrezionalità. Il sentimento percorre nella vasta gamma dei suoi timbri tutta la riflessione di Giacomo Garzya che è intellettuale legato alle sue radici, ma quel tanto che gli consente di seguire la curiosità a conoscere le più diverse particolarità naturali, artistiche e antropologiche. Sì, perché nella poesia c’è l’uomo nella sua interezza, l’individuo che guarda a sé e, nel contempo, è atomo di un universo fatto di mille diversità nelle cose, nelle persone, nei loro modi di intendere l’esistente. Delos qualifica questa silloge ed è titolo emblematico che racchiude nella brevità del nome la ricchezza di suggestioni di cui è capace l’isola greca e il mondo classico che rappresenta; nella sua fisicità dà corpo all’illusione dell’isola di Atlantide (immaginaria e simbolica nel pensiero foscoliano delle “Grazie”), dove bellezza e armonia costituivano l’essenza di un’atmosfera continuamente generatrice di vita. Il poeta conserva nella retina la visione spettacolare dei suoi marmi candidi, delle sue rovine che inducono il visitatore ad affidare alla fantasia il compito di una virtuale ricomposizione di quel paesaggio, dando ai resti di una civiltà millenaria la definita completezza delle origini. È un’avventura dello spirito che innesca una comunicazione diretta tra Giacomo Garzya e il genius loci, nei confronti del quale si pone in ascolto registrando quelle energie che servono a dilatare la tensione lirica in ogni luogo e tempo in cui la necessità del bello si evochi per la corrispondenza diretta con la realtà o per il rimpianto dovuto all’“assenza”, tema portante di una frequenza emotiva portata ad attraversare in forma diretta o mediata tutta l’opera di questo autore. Il poeta, segnato dalla perdita della sua diletta figlia Fanny, sa che la giovane si è eclissata dalla possibilità di sguardi ed abbracci, ma è presenza costante in quei circuiti interiori dove le cose e le persone care saggia- no il pregio dell’eternità. La perdita rende più poveri e, paradossalmente tanto forti da sopportarne i riflessi. «Come vorremmo riabbracciare / il sorriso di una persona cara / e non vederlo solo nella filigrana / della memoria». E il valore della vita si fa ancora più forte, anche quando è frantumato da azioni e proclami, «dove la propria vita si distrugge,/ per distruggere la vita degli altri». Ogni assenza genera un senso diffuso e inestinguibile di nostalgia, desiderio sottile in una percettibilità appena accennata, oppure prorompente per un’accresciuta sensibilità dovuta alla mancanza che può trasformarsi in nuova energia per in- nervare la presa d’atto di una necessità, quella di vivere pienamente anche per integrare il vuoto della sparizione con il pieno della poesia; questa non può essere medica- mento di una lacerazione forte ma combustibile per fare ancora molta strada nella geografia complessa dell’esistente, dove il futuro si struttura anche nelle pacificate tensioni del presente. Il poeta affida all’opera il compito di esprimere specularmente i pensieri, gli stati d’animo, la trepidazione per una realtà che in troppe occasioni divarica dalle leggi della bellezza, facendo prevalere la logica della violenza che macchia la storia di efferata tensione al brutto. Ne è paradigma lampante l’Olocausto, obbrobrio di un’animalità intollerabile perché «un tempo lontano fuoco / e sacrificio di agnelli, / disciolse nel sangue gli umori cattivi / dell’uomo». Fortunatamente la compensazione, pur parziale, la si trova nelle meraviglie dell’ingegno, come è la “Primavera” di Botticelli, “fiorita” nella poesia Zefiro, «il leggero soffio da ponente / la primavera annuncia / con le sue ghirlande di fiori». Il tono elegiaco dell’opera si amplifica con la mente proiettata in terre lontane, a Gerusalemme, sulla spianata del tempio dove la voce di Dio è inascoltata da parte di coloro che ancora coltivano «odio antico, rabbia, contesa». I versi rispondono nel loro ritmo a una norma di musicalità che modula i propri registri in rapporto al soggetto ispiratore, variando anche le sfumature d’umore dentro la maggiore o minore brevità dei concetti tradotti in un’ampia antologia di soluzioni formali da una vocazione che spinge a trasmettere con immediatezza, non a “costruire” secondo mestiere. Da qui nasce una poesia pulita, scritta sull’onda di una generosità che dice parole per sottolineare la volontà dell’autore di essere nel mondo cercando una sponda per i suoi tremori e un confronto per le sue certezze. Giacomo Garzya apre in questa sua quindicesima raccolta poetica un diario intimo, costruito sulle emozioni che in un determinato tempo e luogo hanno generato il flusso concettuale e lirico delle composizioni; li ha indicati puntualmente quasi a scandire il proprio vissuto sulla necessità di comunicare al lettore o all’ascoltatore la scintilla generatrice del suo sentire consegnato a versi estranei all’orpello decorativo. La conferma sta anche nel libro precedente, L’amore come il vento (Iuppiter edizioni), in cui i testi citano il moti vo della morte, esaltando comunque il valore della vita. I paesaggi, anche se luminosamente tracciati in punta di penna, come dire in delicata strategia di evocazione, vivono su una fisicità che sfuma i propri contorni dentro un complesso di scrittura che plasma i toni secondo una variabilità che è direttamente proporzionale al veloce avvicendarsi delle stagioni, dei suoni, dei colori e si posano sulle evidenze fisiche e architettoniche dei luoghi, dove Garzya – sembra dircelo con la voce sommessa e forte della sua espressione regolata secondo le pulsazioni del mondo interiore – con la forza del suo dire sottolinea che la poesia abita ovunque e che al poeta è dato intercettare le sue vibrazioni più segrete. Come fa lui, con la semplicità di un racconto che parte dal dato autobiografico ma segna confini di un territorio dove è possibile una generale condivisibilità da parte di chi legge. E a Delos l’enigma della seduzione parte proprio dalle forme evidenti della bellezza lasciata in eredità da un mondo che compensa con i suoi riflessi la oppressiva opacità del presente.
ENZO SANTESE
RECENSIONE DI LUCIA GUIDORIZZI AL LIBRO DI GIACOMO GARZYA, “DELOS”, NAPOLI 2020, IUPPITER EDIZIONI, pp. 1-342, IN “CARTESENSIBILI” (WORDPRESS.COM), 24 DICEMBRE 2022.
IL SACRO CENTRO DELLA POESIA. LUCIA GUIDORIZZI : A PROPOSITO DI “DELOS” DI GIACOMO GARZYA.
Della vasta e articolata produzione artistica di Giacomo Garzya, poeta completo nello sguardo e per complessità culturale ed esistenziale, mi ha colpito in particolar modo la lettura della raccolta “Delos. Poesie 2015-2019”, Iuppiter Edizioni, Napoli 2020, che copre l’arco di quattro anni, sviluppando un’affascinante pluralità di temi e tonalità emotive, di sguardi e paesaggi.
Già dalle prime pagine appare evidente la raffinata formazione culturale dell’autore, unita all’esperienza di molteplici viaggi compiuti in terre lontane e vicine, ma anche attraverso il tempo e dentro se stesso, cifre che contraddistinguono la sua poetica, imprimendovi un’aura inconfondibile che gli deriva da una profonda sensibilità, acuita dalla forza alchemica operante del dolore che trasmuta e trasfigura ogni esperienza terrena.
La raccolta è dedicata alla figlia Fanny, scomparsa tragicamente a soli ventiquattro anni nel 2008 ed è suddivisa in due sezioni: “I sassi parlano” e “Delos”.
Nell’accurata prefazione al libro Enzo Santese scrive: “Delos qualifica questa silloge ed è titolo emblematico che racchiude nella brevità del nome la ricchezza di suggestioni di cui è capace l’isola greca e il mondo classico che rappresenta; nella sua fisicità dà corpo all’illusione dell’isola di Atlantide (immaginaria e simbolica nel pensiero foscoliano delle “Grazie”), dove bellezza e armonia costituivano l’essenza di un’atmosfera continuamente generatrice di vita.” Delos, l’isola sacra, luogo di nascita di Artemide e Apollo, i due gemelli divini, è il centro politico e religioso, ma anche militare del mondo antico da cui si dipana il viaggio poetico di Giacomo Garzya, evidenziandone il profondo legame con la classicità. Nell’antichità il nome di Delos, come quello dell’isola che costituisce la parte più antica di Siracusa, era Ortigia, che significa “quaglia” (in greco antico: ὄρτυξ), l’animale sacro ad Artemide e che è simbolo della Dea.
Viaggiatore d’eccezione, Giacomo Garzya ha percorso terre, mari, deserti, montagne, isole che fa confluire nel centro di Delos, immagine misteriosa e sacra capace di agglutinare tutte le altre, athanor misterico in cui si distilla l’elixir della poesia.
L’autore interroga il mistero dell’esistenza e pur narrando il suo percorso individuale, questo assume anche una valenza universale poiché, come egli stesso afferma, “Interrogo me, pensando agli altri”: in quest’affermazione sta il presupposto dal quale inizia ogni suo lavoro e ricerca, si tratti di un viaggio in terre lontane o di un esplorare città e atmosfere familiari. Il suo intento è ricercare l’enigma nascosto, per coglierne il significato più profondo. Ogni luogo così diviene microcosmo e si configura quale centro spirituale in cui assenze e presenze s’integrano.
Grazie alla sua sensibilità riesce a trasformare anche eventi dirompenti come le tempeste in esperienze estetiche in grado d’illuminare la vita come in una sinfonia non scritta di Alessandro Scarlatti.
TEMPESTE
Di Alessandro Scarlatti
una sinfonia non scritta
ho ascoltato,
in una cappella sul ciglio
del mare, fatto di aghi bianchi
e trasparenti cristalli.
Le onde impazzite, racconta,
del mare, quando esaltano
e lacerano insieme l’anima,
nel ricordo delle tempeste
in ciascuno di noi,
eterno movimento dello spirito,
ora flauto
ora oboe
ora violoncello
ora dolore
ora gioia,
nel teatro barocco e mistico
della nostra vita.
Marina del Cantone, 28 febbraio 2016
La vita del poeta è vissuta pienamente e con grande consapevolezza e apertura tra viaggi, città, amore, amicizia, interesse per l’arte, la storia, il mito e la letteratura e tutto ciò appare dai suoi scritti, ma non bisogna dimenticare che l’autore è anche un eccellente fotografo, capace di cogliere gli enigmi insiti nei volti e nei paesaggi. Nella sua arte, si opera una trasfusione continua tra parola e immagine. Come afferma Roland Barthes: “Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più a ripetersi esistenzialmente. In essa, l’avvenimento non si trasforma mai in altra cosa: essa riconduce sempre il corpus di cui ho bisogno al corpo che io vedo; è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana, spenta e come ottusa, il Tale, in breve la Tyché, l’Occasione, l’Incontro, il Reale nella sua espressione infaticabile.” (da La camera chiara).
PANTHÉON
Percorrevo con te
rue Soufflot,
lo stesso passo
lo stesso pensiero
lo stesso sorriso,
arrivare ai giardini
del Lussemburgo
per godere la pace,
la vita di questa Lutezia
cosmopolita e viva di luce.
Tu sei con me anche ora,
dopo dieci lunghi anni,
nello stesso bistrot belga,
come mia madre
come tua nonna,
l’anima in pace,
in un momento di guerra
di terribile insensata guerra.
Paris, le 24 mars 2016
TRAMONTO AL LUXEMBOURG
Scherzavi
con le nuvole rosa e rubine
della sera,
domani è un bel giorno,
dicevi, e eri felice del tuo
Don Quijote, l’hidalgo napoletano
qui a Parigi, per scoprire con lui
un mondo fantastico di pupi
siciliani, di fantoche, poupée
e guinol, marionette
universali, gioia di grandi e bambini,
di mulini a vento, qui a Montmartre,
giganti visioni dalle braccia rotanti,
tu che volevi un mondo giocoso
irreale, buono.
Paris, le 25 mars 2016
Parigi è il luogo dove la figlia Fanny ha vissuto per un periodo e che pertanto si carica di intense risonanze emotive.
Altro centro simbolico del suo andare poetico è Napoli, sua città d’origine, barocca e medievale, aragonese e normanna, piena di seducenti contrasti, ricca di storia e di testimonianze artistiche.
La capacità di sguardo poetico e fotografico di Giacomo Garzya si manifesta sempre nel cogliere il bagliore dell’istante. Napoli è densa di risonanze letterarie e artistiche, è la città di Salvator Rosa, di Anna Maria Ortese, di Raffaele la Capria, di Ermanno Rea, ma anche di Eduardo Scarpetta, dei fratelli De Filippo, e appare come città sfarzosa e sontuosa anche nella sua vivace povertà.
MISERIA E NOBILTÁ
Una cicca, sì proprio una cicca
di sigaretta, erano spiccioli,
quelle che raccoglievano
con bastoni con punta
a chiodo, uomini e donne
persi nell’ombra di se stessi,
ai bordi dei luridi marciapiedi
della Stazione centrale
o a via Roma,
dove i marciapiedi
erano come le ruote delle auto,
putridi di piscio di cane.
Era la povertà di allora,
la povertà di Napoli, ancora
quando con i pantaloncini corti,
a nove, dieci anni correvo
per il centro della città,
io vomerese,
quindi d’un altro pianeta.
Sparirono poi i bastoni con punta
a chiodo e rimasero gli sciuscià,
il mestiere che impomatava,
spazzolava e lucidava
le scarpe coperte di polvere.
L’ultimo sciuscià, lo puoi oggi
ancora incontrare,
Angelo Calza,
fuori la Galleria Umberto Primo,
in quella che ora si chiama
via Toledo,
come cambiano i nomi,
e quando sporcò i miei calzini,
al momento non si dette pace,
ma poi incolpò
le mie scarpe americane, le mie
Timberland da combattimento.
In dollari, disse, mi dovete pagare,
ridendo.
E al Grand Central Station
di New York
gli sciuscià, sono di nobile stirpe
per i prezzi che fanno,
per la loro prosopopea,
per il loro antico mestiere.
Napoli, 12 maggio 2016
Nella seconda parte della raccolta, intitolata appunto “Delos”, i versi assumono una forma breve, a tratti epigrammatica, abbandonando la forma sciolta, epica e narrativa, per acquisire maggior intensità e condensazione. Le poesie, fedeli alla classicità, hanno come elementi dominanti l’amore declinato in tutte le sue forme: amore per gli amici, fraterno, coniugale, paterno, tenerezza profonda nei confronti della nipotina e che si esprime con intensità di accenti che avvicinano la sua opera al Canzoniere di Saba.
Sono innumerevoli le città e i luoghi attraversati dall’immaginario poetico di Giacomo Garzya, come l’isola di Procida, frequentata fin dall’infanzia, la stessa in cui Elsa Morante ambientò “L’isola di Arturo” e Trieste, sua città d’adozione, con la sua anima cosmopolita, il suo Molo Audace e Piazza dell’Unità, nelle cui strade aleggiano le presenze letterarie di James Joyce, Italo Svevo, Ernesto Saba.
Oh, le campane di San Giusto
quanta grande e piccola storia.
Oh, la sinagoga a un passo
dal Caffè San Marco.
Oh, il tempio serbo-ortodosso
in piazza Sant’Antonio nuovo.
Tutte espressioni di libertà
e di cultura aperta a tutti i venti.
Trieste, 15 marzo 2018
Affiorano immagini di grande sensibilità pittorica che assumono la valenza di una condizione esistenziale, come il rosso pompeiano che sfuma e sbiadisce al pari della bellezza in un volto femminile.
IL TEMPO SCORRE
Il rosso pompeiano,
a macchia copriva l’intonaco,
colore dava al tufo qua e là,
un vestito ormai logoro,
il vento della storia
a corrodere i pigmenti,
come gli anni a scarnire
il volto, un tempo bello,
d’una donna, che aveva sedotto,
ora, ancora, con i suoi occhi
profondi.
Napoli, 20 marzo 2017
I suoi versi sono intrisi anche da un senso di solitudine e raccoglimento, condizioni precipue per l’espressione poetica.
Solinga
la vela in un fascio di luce,
che cerca?
La libertà sul manto
argentato del mare
Napoli, 3 dicembre 2017
L’ineluttabile entropia prodotta dallo scorrere del tempo ritorna condensandosi nella bellezza di Duino, luogo letterario e leggendario per eccellenza.
DUINO
Un alone romantico
sulle rovine del castello
e su quelle pietre il riflesso
magico del golfo di Trieste
e di Miramar.
L’acqua placida,
in un giorno di bruma,
fa pensare a una spada
nella roccia, a una spada
nel mare.
Ogni pietra parla di guerre
e di amori.
Tutto è ora silente nel riposo
degli eroi, ma che, a tanta
bellezza, vivono e rivivono
in noi, Diomede su tutti,
re dell’Adriatico mar.
Trieste, 4 luglio 2018
Tutto in questa raccolta si struttura in una polifonia di voci e di accenti che si combinano insieme con eleganza, umanità, autenticità e grande amore per la ricerca interiore.
Poesia è viaggio e il viaggio poetico di Giacomo Garzya, profondo e intenso, è orientato verso il centro sacro di Delos, isola santuario galleggiante nel Mar Egeo.
Lucia Guidorizzi
NOTA SULL’AUTORE
Giacomo Garzya è un poeta e fotografo napoletano, docente di materie letterarie e già borsista dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici. Ha pubblicato quindici libri di poesie. Ha pubblicato saggi storici e libri fotografici.