Pubblichiamo in anteprima ampi stralci della prefazione di Aurora Cacopardo al
libro di poesie “Una specchiera” di Giacomo Garzya (M.
D’Auria Editore) in uscita a marzo.
Giacomo Garzya sembra un poeta della classicità greca, comparso per
caso in questo secolo di crisi umanistica e di valori, e ricorda la
stirpe di poeti pagani che, da un luogo appartato, contemplavano le
stagioni, la natura, gli animali, i fiumi insieme alla dolcezza degli
amori, alla voluttà della carne, alle inquietudini dell’anima e, soprattutto,
allo scorrere del tempo “...su quella linea / che divide il possibile
/ dall’impossibile, / si demarca la tua voglia / d’amare una ninfa,
/ che è lì sulla battigia, / lì al sole tra l’acqua e la terra / tra
l’orizzonte e il cielo…”. In tutta la raccolta di sessantuno poesie
(più quattro traduzioni in inglese di Jeff Matthews) circola sovente
una riflessione malinconica ma non sconsolata perché è innestata nell’albero
della vita la cui impronta è una barca che naviga oltre l’estuario
dell’esistenza, per alcuni, per il Nostro oltre i mari del tempo e
dello spazio, come cantava il grande mistico e poeta spagnolo Giovanni
della Croce.
La parola per il poeta è l’incontro tra luogo e tempo. Il mare è il
labirinto ed è la ricerca della quiete; la navigazione è la metafora
della vita che procede ora su mari tranquilli, ora in mezzo a tempeste.
La malinconia non è mai una resa, per Garzya, bensì è piuttosto consapevolezza.
Il sentimento del tempo che cammina tra
le pieghe dei giorni e si fa memoria è un sentimento che ha attraversato
tutto il ‘900, caratterizzando
quelle metafore di straordinaria valenza estetica ed esistenziale.
Molte poesie di Giacomo Garzya sono racconti marini e inni all’amore.
Il lettore conoscerà il silenzio dei porti, lo stridio delle rondini
e dei gabbiani, le voci dei pescatori, le voci degli amanti,
conoscerà il terribile vento di scirocco, vedrà tutti i colori del
mare: azzurro, blu, verde, nelle cui acque annegherà i suoi pensieri
talvolta sconsolati. Il lettore godrà anche della limpidezza
di un’alba come soffrirà della nebbia che tutto vela od offusca il
cuore. Giacomo Garzya è come un viandante: si racconta, si dà un senso
in un viaggio che diventa metafora del tempo.
Nella poesia Lo spazio offre l’interpretazione della propria esperienza
al di fuori del tempo e della storia come esperienza assoluta dell’uomo.
Affida, quindi, al suo vissuto biografico un significato che riguarda
tutti recuperando una funzione sia alla poesia sia alla sua figura
di uomo dolente: “…e se è vero / che la memoria / non ossida il tempo
/ è anche vero / che il luogo amato / caro è / a ciascuno di noi /
e resiste all’oblio”. Nella poesia che dà nome alla raccolta Una specchiera,
tutto sembra fuggire e scomparire, primo protagonista il tempo che
muta e tutto fa mutare, come se la storia avesse smarrito il suo ritmo
lineare e continuo. Avvertiamo la divinità nascosta del tempo, un
passo misterioso e uniforme che spegne tutte le differenze tra il
prima e il poi, tra passato e presente. Ma c’è anche la nitidezza
della luce: “quando i campi sono battuti / dal sole / in un’orgia
di luce e di vento / in un’orgia di vita”. Le ultime tre poesie del
libro di Giacomo Garzya sono dedicate a Vienna, a Trieste ad alla
sua Bora e al mito ed alle figure del mito che hanno evocato nel poeta
tempi lontani : Saba, Svevo, Joyce, Kafka, Freud, Musil. Poeti, scrittori
che hanno tramandato un pensare mediterraneo e poeti che sono rimasti
dentro le maglie di una idea di consapevolezza ed il luogo e la memoria
sono un incontro fatale che non solo si percepisce per un rimando
di tempo ma si vive come una interiorità che diviene esperienza storica.
CHIAIA
MAGAZINE • FEBBRAIO/MARZO 2015