Una
tantum desidero partire dal volto dell'autore e non dalla sua pregevole
opera:"La mia Napoli".
Partiamo, dunque, dai candidi capelli che scoprono una fronte alta e dagli occhi azzurri che non guardano ma contemplano, occhi timidi. Ma solo i timidi, qualità sublime di questi tempi, riescono a scomparire per dare spazio agli altri; dietro la contemplazione c'è un "oltre" ed è questo"oltre" che pone al centro l'umanizzazione di una cultura. Le sue splendide foto - settantaquattro immagini- che la prefatrice, Renata De Lorenzo, definisce "un senso di racconto e ricerca di linguaggio",sono prive di presenze umane, ma sature della capacità di resistere allo scorrere del tempo e sono l'omaggio più bello, più sincero alla sua Napoli ed alla sua classicità. Sì, perché Giacomo Garzya ha focalizzato nella classicità la civiltà dell'uomo, non solo di ieri ma di sempre. La Napoli da lui ritratta è una splendida donna in attesa del nostro sguardo, è una città perfetta: si parte dalla fontana dell'Immacolatella, equilibrata, olimpica, per proseguire con via Caracciolo, porto, piazza del Plebiscito, zona che richiama la città angioina ed aragonese. Napoli si mostra senza veli, non ci sono elementi di disturbo. Lo sguardo di Garzya si sofferma su Castel dell'Ovo che è oggetto di inquadrature che "ne ripercorrono le stratificazioni architettoniche e politiche". Una città fuori dal tempo, dove gli spazi delimitati dall'architettura sono reinventati dagli scatti dello scrittore fotografo e vivono di vita parallela. Sono luoghi assoluti, modelli di immagine: il Vesuvio, sterminatore di una terra inquieta, le albe riprese dal corso Vittorio Emanuele, lo splendido veliero Amerigo Vespucci, sembra collegare il presente ad un passato antico. Garzya con i suoi scatti racconta il silenzio e la distanza e sembra invitarci ad impegnare la nostra capacità di osservazione spaziale, quindi di vita, trasformando le immagini in oggetti su cui meditare. Il lavoro si chiude con l'immagine in bianco e nero del "Dio Nilo giacente", ancora una volta il riferimento al Mediterraneo, l'identità della memoria e la capacità di penetrare l'anima delle civiltà. *** L'ultimo
lavoro di Giacomo Garzya,"Campania Felix", conferma la finissima
qualità stilistica e psicologica della sua scrittura. Al centro della
sua indagine è sempre il paesaggio: mare, porti, città,
colline, monti, ma questa volta la metafora del viaggio appare storica e metafisica insieme, la tematica talvolta elegiaca, i personaggi scolpiti nel tempo. Il poeta, in questa raccolta, abita quella sottile frontiera tra esperienza vissuta dell'io che si fa personaggio e la percezione del mondo con tutto il suo malessere ed il viaggio nella memoria ricostruisce il filo misterioso che lega l'amore al dolore. Per il poeta, forse, la morte è la tarma sulla trama non tessuta dalla spola ed allora quando la memoria evoca un'immagine, una voce, un sorriso, il lamento della cetra avvolge le pieghe del suo cuore non seppellendo il ricordo di una vita persa anzi tempo. Chiudo con una citazione che il professore Eugenio Mazzarella ha ricordato essere in quarta di copertina di Solaria del 1998, il primo volume di versi dell'autore: "Coloro i quali trovano nelle cose belle significati belli, sono persone colte. Per questi c'è speranza", da Oscar Wilde.
AURORA CACOPARDO In "Chiaia magazine", Anno IX - numero 5/6- luglio/agosto 2014, p. 22.
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