Anche
questa quinta raccolta di versi di Giacomo Garzya, Pensare è
non pensare, conferma il dettato poetico che gli è proprio,
e che già Giuseppe Galasso individuava per tempo nella prefazione
alla sua seconda raccolta poetica, Maree, del 2002: la semplicità
pensosa del dettato poetico che non perde tuttavia vivacità
nella compostezza del verso di "spontanea levità".
Una poetica colloquiale che anche in questa raccolta trova nella
topica del viaggio il suo scenario e la sua metafora; e nei suoi
resti - lacerti di memoria, di visioni, tracce consegnate a "ricordi"
recati dagli amici - i segnaposto di sentimenti, volti, paesaggi
amati, talora visti negli occhi di un altro, nella privata geografia
degli affetti (Sabbie e pietre, una poesia tesa e tersa, ne è
un catalogo esemplare: Tutte care/ le sabbie, le pietre della mia
vita... il bellissimo attacco ).
Questa ordinata topica del viaggio, che scandisce la sua cronologia
interiore ancorandosi alla certezza del calendario degli eventi,
è il riparo nella parola allo strappo esistenziale percepito
sempre - ma sempre sommessamente - in agguato, e proprio alla vita
degli umani: Siamo punti finiti/ in ciò che non è
spazio/ o granelli ocra in un deserto infinito/ privo di speranza?/
La vita che viviamo e la morte/ sono le uniche certezze ( meditazione
che annota "Ho tanta fede in te" di Montale in Parafrasando
una poesia ). Sullo sfondo di tutto la sconsolata visione "domestica",
detta con calma assoluta al proprio gatto (Il rigo agli occhi,/
la linea tra i visibile/ e l'invisibile demarca,/ come lo zenit/
che è al centro delle tue pupille,/ mio Arturo...; e ti viene
di pensare alla costellazione, linea luce nel cielo nero notte),
che alla "vita", a quella senza pena del "puro animale"
- se poi c'è, puro e senza pena - l'Io dell'uomo e il suo
affanno, il pur condiviso battito del cuore, è " alla
fine... indifferente,/ invisibile, senza materia". E quell'"esisti
solo tu" è detto forse a se stesso, ad ogni vivente
chiuso nella sua pena.
Il calendario di questi due anni di poesia si strappa agli inizi
del 2008, con la morte tragica dell'adorata figlia Fanny. Il foglio
strappato è al 5 di febbraio, in una poesia presaga - A Nostri
Morti - scritta altrove da dove si doveva stare, se solo sapessimo
qualcosa del "cammino", nonostante "muscoli e tendini
forti", e "volontà,/ per vedere e sentire e pregare"
(Il tuo profumo è la lavanda...). L'essenziale di questo
foglio strappato è nella dedica, che ti muore il cuore: all'
adorata figlia Fanny, Angelo del Paradiso, segno premonitore/ della
sua tragica fine, avvenuta poche ore/ dopo, lontana dal suo papà.
Allontanarsi da quel "lontana" è un calvario, salito
solo aggrappandosi alla figlia perduta e presente, che già
forse si sapeva di dover seguire nella memoria: Da tempo, da Fanny,
avevo in testa/ il Cammino ( Saint Jean-Baptiste, scritta per motivare
la decisione di intraprendere l'estate precedente il Cammino di
Santiago già percorso dalla figlia ); per ritrovarne l' "idea",
l'aspetto, il volto nel pensiero che "cede" di pensare
- unico modo in fondo di sopravvivere: Il filo di Arianna, me, alla
luce della ragione ha riportato,/ ma la realtà è comunque
che tu non apri a chi ti bussa/ e non torni alla tua casa. Tu non
tornerai più gioia/ delle gioie, perché l'atroce sogno
è cruda realtà.
Dopo questa data nella raccolta, qualunque cosa ci sia, c'è
solo Fanny; in movenze pascoliane, dove il filo che lega passato
e presente, la cesura della perdita, e sutura e tiene aperta la
ferita è il ricordo, l'amore di lei raccolto nel cuore. E'
"il suo sorriso, il suo parlare sensato,/ il suo benevolo,
umano affetto di figlia" (Non una stella stanotte...) , che
fa argine all' "ansia di perdersi" in una vita ormai troppo
vicina al vuoto delle ombre: il ricordo, il gomitolo del cuore,
l'unico calore nella sinestesia del sentirsi e del sentire il mondo,
l' "esterno", gelato in una lapide. E' la gelida simmetria
tra l'inizio del dettato poetico del 16 marzo 2008: Sulla nuca vento
marino,/ freddo,/ come lo sono io dentro,/ oggi che avresti festeggiato/
i tuoi venticinque anni./ Riscaldami col tuo sorriso,/ ora che senza
di te ho perso/ una parte di me... e la chiusa del componimento
del successivo 22: Il marmo canoviano, che ho davanti,/ la fantasia
anima, come i sensi, e calore dà/ al cuore e alla mente,
non così la tua lapide,/ senza speranza, che al tocco dolce
della mano,/ resta gelida e muta.
"Freddo" , nella poesia, è isolato, è scolpito
da solo. Uniche fonti di calore al cuore "ricordo" e "arte",
il vetro della poesia che immalinconisce il ricordo e in una qualche
misura lo fa dolce, ripara di lacrime gli occhi che bruciano: L'amore
era nel tuo vivere,/ come acqua fresca di fonte,/ che purifica dal
male./ Ben chiara avevi l'essenza/ dell'umana natura e agivi/ perché
potesse in meglio mutare ( Un Fiore Reciso ). Ma questo si può
guardare, si può reggere solo attraverso i vetri della poesia,
chiusi nella stanza del cuore che ricorda, tra le mura dell'artificio,
la parola, che Dio o gli dei hanno voluto dare agli uomini con "la
vita che viviamo e la morte...uniche certezze":
INTRA
MOENIA
Piovischio
di tristezza imbeve
piante e palme sotto i busti severi
di Palazzo Firrao.
Ora
l'acqua impreveduta travolge
E un amico,
di Aleksandr Blok,
sparge i versi nell'aria
senza tempo e luce.
Dietro
un vetro riparati
la poesia ogni malinconia dilava
e tavolini deserti guardano gli occhi
sorpresi.
Se
il miracolo regge, possiamo ancora essere qui.
EUGENIO
MAZZARELLA
EUGENIO
MAZZARELLA SU GIACOMO GARZYA, "UN ANNO", con prefazione
di Silvana Lucariello, Napoli 2013, pp.1-74, M. D'Auria Editore
(presentato da Silvana Lucariello ed Eugenio Mazzarella all'Istituto
italiano per gli Studi filosofici il 7 febbraio 2014 ("Un cerotto
sull'anima. Un anno di Giacomo Garzya", la relazione del filosofo
e poeta Eugenio Mazzarella, fu pubblicata nella mia quattordicesima
silloge "L'amore come il vento", Napoli 2019, Iuppiter
Edizioni, pp. 59-61).