"Uno
spirito inquieto che non si ripiega su se stesso e che non rinuncia
mai a vivere nel mondo e col mondo", così Giuseppe Galasso
definiva nel 2001 Giacomo Garzya nella prefazione della raccolta
Maree.
In un'esperienza poetica tanto vasta e articolata come quella di
Garzya (oltre venti anni di attività ininterrotta) la sua poesia,
da qualsiasi punto la si osservi, appare in costante movimento o
meglio, si costruisce e si presenta come un continuo viaggio, un
viaggio compiuto non solo pellegrinando per i luoghi cari al poeta
ma, e soprattutto, attraverso i gesti che costituiscono i piaceri
semplici dell'esistenza umana.
È sufficiente un bicchiere di Spritz nel quale il ghiaccio che brilla
rinvia all'amore negli occhi degli innamorati per delineare sulle
labbra del lettore un sorriso, segno di un déjà-vu affiorato dal
baule dei suoi ricordi. Piccolo e grande sono concetti relativi,
quasi inadoperabili, se ci si accosta alla poesia di Garzya, poiché
il più piccolo e semplice gesto può scatenare la più forte e profonda
emozione, come un gatto che si arrotola al sole di mezzogiorno e
rende, chi lo osserva, semplicemente felice.
Un insieme di luoghi circoscritti dunque, ben definiti nella loro
storia e nelle loro caratteristiche, che racchiudono in sé l'universo
intero e aprono a considerazioni sugli uomini, sul loro esistere,
sull'amore, sulla storia e sulle storie di ognuno.
Poesie della realtà, di gesti abituali e ripetitivi come quello
dei pescatori di Marina di Praia che giocano
a carte, a dadi/ sui tavoli/ dove scorre vino rosso/ sangue,/ per
lenire la fatica del mare,/ per stordire la mente/ nei momenti d'ira
del mare.
Il viaggio di Garzya prende avvio tra i boulevard di Bruxelles,
città dove ha trascorso tante estati della sua infanzia e adolescenza,
ripercorre località di mare a lui care e presenti nelle raccolte
precedenti e si sofferma a Trieste, luogo d'elezione per la scrittura.
Trieste città-frontiera, crogiolo di razze, groviglio di Storia
e cultura, Trieste e i suoi letterati i cui busti sono esposti di
qua e di là per le vie: Joyce, Stuparich, Svevo, Saba. E a Joyce,
Garzya dedica dei versi nostalgici nella malinconica consapevolezza
che i suoi passi si sovrappongono a quelli lasciati, un tempo, dallo
scrittore lungo il canale, versi che rappresentano una sorta di
dialogo e un momento di meditazione in compagnia del padre dell'Ulisse
moderno I tuoi passi sul canale/ caro padre d'Ulisse/ sono ora i
miei passi/ e ricordano le tue sudate/ pagine, che passeggiavano/
in me ragazzo,/ alla scoperta della tua coscienza,/ come della mia,/
così diversa la percezione/ delle ore, dei minuti, dei secondi,/
così diversa la latitudine della mente/ in ciascuno di noi.
Il viaggio riprende da un continente all'altro e, nella penombra
dei grattacieli di New York, Garzya emerge quale poeta del movimento
urbano e accende con le parole, proprio come il riverbero sul fiume/
accendeva il cielo nel blu/ della notte,/ le corde d'acciaio del
ponte/ più antico e bello vibrando/ al battito accelerato del cuore/
degli innamorati/il volto della New York più autentica dove l'immagine
degli innamorati, il suono delle sirene delle navi, il volo dei
gabbiani e il passo di chi vuole arrivare primo in una corsa contro
il tempo, si confondono sullo sfondo con l'energia sprigionata dalle
parole stesse utilizzate per descrivere queste immagini.
Potenza e sentimento che ritroviamo nelle tre poesie dedicate agli
uomini e ai paesaggi del Nord, piccole scene rubate alla quotidianità
e suggestivi paesaggi naturali, realizzati non con oli e pennelli
o con la fotografia, di cui Garzya è altresì maestro, ma con la
poesia e la ricchezza delle parole. I suoi versi sono soavi, scorrono
con naturalezza e spontaneità come i paesaggi descritti e questo
perché, com'è stato già notato in passato da diversi studiosi, la
poesia non è per Garzya tanto una scelta quanto un bisogno, un'esigenza
naturale al pari del mangiare o del dormire.
Un'esigenza che diventa vitale dopo i momenti tragici che segnano
la sua esistenza, quando i versi si dispiegano in una lirica che
evoca l'amatissima figlia perduta e rappresentano un meditare costante
sull'esistenza dell'individuo, sulla sua singolarità dolorosa, sperduta
in una cosmologia sconfinata, in una cosmologia il cui ritmo più
prossimo, più avvertibile, è lo scorrere del tempo, il susseguirsi
degli eventi e delle cose, l'alternarsi delle stagioni. Le poesie
di Garzya rilevano l'esperienza di un severo disincanto dinanzi
al senso della vita, ma sono anche un attraversamento incessante
del pensiero in piena libertà, tra alti e bassi, tra slanci e silenzi.
Un attraversamento che si spinge fino a quel punto dove il pensiero
guarda se stesso e vede il proprio limite. In quello stesso istante,
però, s'intravede una boa di salvataggio e questa boa è l'amore.
L'amore che traspare dall'abbraccio di due giovani innamorati, dallo
sguardo della donna che si ha accanto, che si presenta sensuale
e fisico tra due amanti o semplicemente si percepisce nel tenere
tra le mani un animale fragile e indifeso come in Pettirosso, penultima
poesia che dà il nome all'intera raccolta Saltella il mio cuore,/
batte batte col tuo,/ e le piume morbide come il profumo,/ la mia
mano scaldano/ e batte batte/ il tuo cuoricino col mio/L'audacia
di questo piccolo passeriforme a lanciarsi contro qualcosa di enormemente
più grande di lui è tramandata dalla tradizione cristiana, secondo
la quale il pettirosso si sarebbe procurato la tipica chiazza rossa
sul petto cercando di estrarre una spina dalla corona posta sul
capo del Cristo.
È l'allegoria dell'eroismo, dell'altruismo e della generosità, è
la silenziosa storia di tanti piccoli Davide di cui nessuno parlerà
mai, ma non per questo rinunciano a combattere. Ancora una volta
Garzya sorpassa il punto del limite e dà una risposta alla paura
della morte, dell'assenza e del nulla. Poche volte un libro, nella
vita di un lettore, diventa una presenza insieme discreta e costante,
e dalle sue parole, dalle sue rime, dai suoi pensieri, prende avvio
la meditazione sull'esistenza dei singoli e dell'universo, di tutto
quello che definiamo vivente. E ogni nuova lettura porta in sé sogni
e visioni che hanno qualcosa di nuovo e di diverso, che solo un
poeta dei paesaggi dell'anima può suscitare.
MARIA
ROSARIA COMPAGNONE