Enzo e Nicola Pagano

DALL’OMBRA ALLA LUCE

a Enzo Pagano

A volte
la creatività artistica
e il ripensamento
sulle cose della vita
ingenerano foglie
di quercia ramate
in sarcofagi pieni di luce
e speranza
in cui la morte si adagia
serena
per vivere di nuovo.

Napoli, 30 gennaio 2004

in Giacomo Garzya, “Il mare di dentro”, in “Poesie” 1998-2010, Napoli 2011, M. D’Auria Editore, p. 222.

[dopo aver visto la mostra “Catabasi”, Napoli, Succorpo della Chiesa di S. Maria del Parto a Mergellina]

QUESTA POESIA SCRISSI ISPIRATO DALLE FOGLIE RAMATE DI ENZO PAGANO VISITANDO LA MOSTRA “CATABASI”. ENZO, COL FRATELLO NICOLA E CON FRANCESCO ALESSIO, ESPOSE NEL SUCCORPO DELLA CHIESA DI S. MARIA DEL PARTO A MERGELLINA, NEL 2003-2004. UN MIO BREVE GIUDIZIO CRITICO FU PUBBLICATO SU “IL MATTINO” DEL 10 GENNAIO 2004.

Ecco qualche breve notizia biografica del pittore e scultore Enzo Pagano, mio caro amico e collega: “nato nel 1952 a Napoli, dove ha conseguito la laurea in Lettere classiche e la successiva specializzazione in Storia dell’Arte, ha insegnato Lettere nella scuola media inferiore, quindi Storia dell’Arte presso il Liceo Artistico di Napoli. Ha esordito come pittore nel 1984, nella collettiva Maestri Contemporanei, presso la Galleria Sorrenti di Novara.
Tra le principali partecipazioni vanno ricordate le mostre collettive: Napolinuova, Napoli, Maschio Angioino, 1991; Favole forme figure, ARCI Sant’Anastasia, 2003; Catabasi, Napoli, Chiesa di S. Maria del Parto, 2003; 60 anni della Repubblica Italiana, Napoli-Ponticelli, 2006; La materia Melanconica, Napoli, Institut Français Grenoble, 2007. Nel 2007 è invitato dall’Université du Sud di Tolone ad esporre assieme al fratello Nicola Pagano, nell’ambito del convegno intitolato L’èchiquier labyrinthique de Roger Caillois.
Tra le personali: Dentro la Pittura, nel 1993 e Ceneri, nel 1999, entrambe a Lagonegro (PZ) e l’antologica napoletana al Maschio Angioino Malinconia Dulcissima Alchimia, nel 2010. Per la Chiesa di Santa Maria dei Vergini ha dipinto la grande tela: Il pane dell’offerta (2008).

L’anno scorso Enzo Pagano tenne, dal 27 aprile al 15 giugno 2022, al Real Museo Mineralogico dell’Università Federico II di Napoli, una mostra temporanea allestita dalle dottoresse Carmela Petti e Paola Russo “Figure del Mito. Le pietre/sculture del lago Sirino”( Napoli 2022, Apeiron edizioni, pp. 1-92), con trenta piccole sculture realizzate assemblando “pietre” naturali raccolte lungo le sponde del lago Sirino (Lagonegro, Basilicata). La mostra si inquadrava in quelle che sono le finalità del Centro Musei, da anni attivo nella promozione della cultura e nella valorizzazione delle risorse culturali della città e del territorio. Le opere, raffiguranti figure preistoriche e della mitologia greca, con i loro colori ben si armonizzano con i colori e le forme dei minerali della Grande Collezione del museo. L’inaugurazione fu preceduta da un seminario divulgativo del Prof. Stefano Vitale dal titolo “Le rocce di Lagonegro: un viaggio lungo 250 milioni di anni”.

(tra gli altri hanno scritto di lui: Vitaliano Corbi, Giacomo Garzya, Ugo Piscopo, Dario Giugliano, Lorella Starita, Massimo Tartaglione, Valeria Chiore).

Enzo Pagano o la Scrittura/Scultura delle Pietre

Quando, nel 1970, Roger Caillois pubblicò per i tipi di Skira des pierres, era ben consapevole d’inserirsi nella scia di un’antica cul L’écrituretura sensibile agli allettamenti del bello di natura, della Fantastica Geologica, del Fantastico Naturale.
Una tradizione antica, ancorata in sensibilità materialistiche, ilozoistiche e pampsichistiche che, dai presocratici ai rinascimentali, dagli alchimisti ai romantici, amavano ravvisare nella Natura e nei suoi tre regni (minerale, vegetale e animale), analogie e ricorrenze, spesso di carattere trascendentale, artistico, estetico.
Una Estetica Naturale che, dalla parte della materia, amava evocarne poteri quasi umani.
Le cose hanno riso, sosteneva Tommaso Campanella, enfatizzando la capacità, per la materia, di vivere, amare, sentire. E, con lui, l’intera Filosofia della Natura rinascimentale, in gran parte italiana, esaltava la capacità, insita nella Natura (Natura pictrix), di forgiare la sensibilità dell’uomo, fino a indiarlo, indirizzarlo a Dio.
Una Natura pensante, sognante, poetante, artisticamente attiva e fungente che, attraverso i secoli, ha toccato le corde della sensibilità romantica, da Novalis a Schelling e Fichte (si pensi alla Fantastica Trascendentale ravvisata dal poeta tedesco nella filosofia idealista), ispirando il trascendentalismo americano di Thoreau e Whitman, per riaffiorare poi, come un fiume endoreico, in tanta parte della cultura novecentesca, soprattutto di stampo ontologico, fenomenologico e trascendentale, da Bachelard a Merleau-Ponty e a Dufrenne.
Ed ecco allora la Dottrina Tetravalente dei Temperamenti Poetici di Gaston Bachelard attraverso la quale il filosofo champenois riconosce alle materie elementari (i rizomata empedoclei) il potere di suscitare nei poeti sogni e rêveries. O, nel Merleau-Ponty de Le visible et l’invisible, l’identificazione della Natura con il Grund, il fondamento, l’Essere bruto e selvaggio in grado di muovere e commuovere l’uomo e il mondo. Per non parlare di Le Poétique di Mikel Dufrenne, in cui la Natura trionfa come NaturaMadre, spinozianamente naturante e naturata, che ci porta in grembo e ci nutre (qui nous enfante et nous porte) in una gestazione infinita e intransitiva, priva di trascendenza e transitività, che mai ci partorisce, trattenendoci con sé e dentro di sé per meglio impastarci, nutrirci, ispirarci, suggerendoci immagini, versi, poesia.
Una tradizione di pensiero e di sensibilità che ha trovato nell’arte del Novecento una delle sue più riuscite traduzioni nell’Informale materico – da Burri a Tàpies e oltre. Una tradizione che Enzo Pagano fa sua ormai da tempo, da quando cioè, agli inizi degli anni Novanta del Novecento, comincia ad utilizzare, al posto dei tradizionali pigmenti, la cenere stemperata con acqua e vinavil per creare, come scrive Vitaliano Corbi, “immagini suggestive di prefigurazioni genetiche o di percorsi entro la struttura misteriosa dei corpi” (La Repubblica-Napoli, 28/11/1999), perfezionando poi questa scelta stilistica, alla luce della lettura di Caillois e di Bachelard, in varie occasioni, spesso condivise con il fratello Nicola Pagano – dalla Giornata Internazionale di Studio su “La Materia Melanconica. Roger Caillois e l’immaginazione materiale”, organizzata nel 2007 dall’Institut Français “Grenoble” di Napoli (in cui l’artista espone una serie di otto “Ceneri” – sulle quali pendono oscilla rettangolari di piombo riproducenti particolari della “Melencolia I” di Albrecht Dürer, rinvianti a quel “regno del minerale impassibile” di cui tratta la terza Lezione delle tenebre di Caillois), al Convegno Internazionale su “L’échiquier labyrinthique de Roger Caillois”, organizzato nello stesso anno dall’Université du Sud di Tolone (in cui l’artista espone “Intorno a Mezzogiorno”, installazione ispirata a I demoni meridiani dello stesso Caillois, nella quale utilizza delle pietre disposte su lastre quadrate di ferro zincato che formano parte di una scacchiera).
In pittura, che rimane la sua attività prevalente, la seduzione del mondo minerale si traduce in opere dove la sabbia impastata con i colori ad olio crea effetti materici e valori tattili che rinviano ai tufi e alle pomici vulcaniche, mentre nelle recenti pietre-sculture, come egli stesso ama definirle, l’artista lascia che siano le pietre stesse a scrivere, parlare, mostrarsi.
Una scultura naturale, in parte già di per sé scolpita, cui l’Autore offre il suo sguardo, ravvisandovi interi universi di richiami e di senso e perciò stesso rendendola arte.
Ed ecco, allora, Demetra e Afrodite, Centauro e Laocoonte, Scilla e Cibele, Demoni delle pietre, Danzatrici e Menadi danzanti: un’intera teoria di immagini e figure discese dall’Olimpo e dall’Elicona per impastarsi di pietre calcaree e scisti silicei, senza che scalpello alcuno o mano d’autore intervengano a forgiarne le forme, le pose, il dinamismo. Una vera e propria collezione, formata da sculture di piccole dimensioni, tutte ispirate alla classicità o all’arte primitiva.
Una collezione tanto più preziosa quanto più il gusto della miniatura si sposa con la densità delle risonanze spirituali, che Caillois avrebbe potuto accogliere nelle sue teche a conferma della massima fondamentale dell’Écriture des pierres in virtù della quale “La Natura, con o senza la collaborazione di un artista, può produrre disposizioni di forme e di colori percepibili come forme d’arte”.

Valeria Chiore
(Docente di Filosofia, fondatrice di “Bachelardiana”, rivista internazionale di Filosofia dell’Immaginazione)

Figure del mito: le pietre/sculture del Lago Sirino di Enzo Pagano

“La visione che lo sguardo registra è sempre povera e incerta. L’immaginazione l’arricchisce e la completa, con i tesori del ricordo, della conoscenza, con tutto ciò che lasciano alla sua discrezione l’esperienza, la cultura e la storia, senza contare quel che, da sola, se necessario, essa inventa o sogna” (R. Caillois).
“I pezzi di calcari grigi e di dolomie bianche, di selci opaline e di diaspri policromi, di argille azzurrognole e di arenarie giallastre, che si trovano dentro e dintorno al mio paese nativo, erano per me un mondo enorme e vario di forme e di colori …” (G. De Lorenzo).

Sono sempre stato attratto dalle pietre, anche da quelle di nessun altro pregio particolare, che non sia costituito dalla durezza e dal peso variabili, dalla forma irregolare, dal colore, dalle striature e dai sorprendenti disegni che la natura vi ha inciso. L’estate scorsa, più degli altri anni, ne ho raccolto una discreta quantità lungo il greto del lago Sirino, frazione del comune di Nemoli in Basilicata, per aggiungerle alla mia collezione. Stavolta però, rigirandole tra le dita, ho visto materializzarsi davanti ai miei occhi forme e figure, che mi hanno indotto a realizzare le piccole sculture ora in mostra. Alcune di esse, ancor di più delle altre, essendo costituite da un unico frammento di roccia, possono a buon diritto considerarsi oggetti straordinari da Wunderkammern, veri e propri ready-made, objets-trouvés sottratti alla natura e investiti di un valore estetico che li qualifica come opere d’arte. Di qui il termine di pietre/sculture che uso per definirle. Dal punto di vista della geologia sono soltanto detriti, accumuli di frana, più precisamente calcari con selce e scisti silicei, che sono andati a colmare nel tempo la depressione tettonica, formatasi sul fianco occidentale del monte Sirino e occupata dal piccolo lago di origine glaciale. Il loro colore, variante dal grigio scuro all’ocra giallastra o rossa che in buona parte le ricopre, le rende apparentemente simili a terrecotte; tuttavia, osservandole con più attenzione, esse tradiscono la loro vera natura, di frammenti di roccia per lo più ricoperti da uno strato sottile di calcite che ne arrotonda e modella le forme. L’aspetto insolito e irregolare di queste pietre, dovuto all’azione dell’acqua che le ha scavate in profondità, sembra “rievocare – parafrasando Roger Caillois – ad una fantasia compiacente modelli in miniatura ed immortali degli esseri e delle cose” (La scrittura delle pietre, Genova 1986). Per l’artista o il poeta, infatti, la natura è un’inesauribile fonte di ispirazione: nelle sue manifestazioni egli può scorgere sorprendenti analogie con quanto immagina o sogna. Ancora Caillois, in Tre lezioni delle tenebre (Genova 1999), così scrive: “Esiste una segreta parentela tra i ciechi percorsi della materia inerte e i percorsi della libertà e dell’immaginazione”.
Da parte sua Gaston Bachelard arriva addirittura a postulare un’immaginazione propria della materia, che attiva le fantasie del sognatore.
Le pietre/sculture, che mi hanno letteralmente “catturato”, si sono presentate con le sembianze delle figure del mito, come le Grandi Madri preistoriche o le divinità celebrate dall’arte classica, e si prestano a varie possibilità interpretative. Caillois le leggerebbe come il prodotto dell’immaginazione, che arricchisce il dato percettivo con i ricordi, la cultura, l’esperienza e la storia. Per Bachelard, considerate al pari delle tracce di sculture intraviste nelle grotte presso Sorege nella Linguadoca, potrebbero essere la dimostrazione evidente che la natura è dotata di facoltà immaginative e performative proprie, capaci di creare opere, senza le quali l’arte “non sarebbe mai stata in grado di inventare da sé queste forme e figure” (La terra e il riposo, Milano 2007). A sua volta James Hillmann, il più importante allievo e continuatore di Jung in direzione di una “re-visione della psicologia del profondo”, individua nella varietà delle figure del mito greco il corrispettivo immaginale delle nostre complicate ed inesplorate situazioni psichiche.
Le sculture-pietre se ne stanno silenziose. La loro muta provocazione costituisce il loro fascino. Osservandole, siamo pervasi da una sottile malinconia. Oggetti a funzionamento simbolico – per usare un’espressione di André Breton, il grande padre del surrealismo – esibiscono le loro ferite che sono in definitiva proiezioni delle nostre patologie inconsce: protuberanze tumorali, cavità cavernose, fori che le attraversano da parte a parte, fratture, crepe, suture biancastre nella pietra nera, brandelli di epidermide terrosa. Si mostrano ora, riesumate dalla terra, per ricordarci nella loro inaridita e misteriosa bellezza, quel “regno del minerale impassibile” citato da Valeria Chiore, “quell’immenso ed anonimo universo” in cui tutto è destinato a perdersi, come scrive Caillois nell’ultima delle “Tre lezioni delle tenebre”. Giuseppe De Lorenzo, che aveva fatto proprio l’insegnamento del Budda, commentando un sonetto del Buonarroti così aveva scritto in “Terra Madre”: “Eppur, non solo la pietra scalpellata dalla mano di Michelangelo, ma anche quelle che riposano nel grembo delle montagne, e le montagne stesse col tempo si consumeranno, svaniranno come uno spettacolo insustanziale, per dar luogo ad altre pietre, altre forme, nella serie infinita delle trasformazioni”.

Enzo Pagano
(da Enzo Pagano, “Figure del mito. Le pietre/sculture del Lago Sirino”, Napoli 2022, Apeiron edizioni, pp. 1-92)

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