FANNY GARZYA

Cina, Hangzhou, 18 luglio 2014 ( foto di Giacomo Garzya)

Fanny, Parigi 2006

GIACOMO GARZYA, LE PRIME NOVE POESIE, TRA TANTE SCRITTE DA ME.

IN MEMORIA DI MIA FIGLIA FANNY, SCOMPARSA TRAGICAMENTE QUINDICI ANNI FA, IL 6 FEBBRAIO 2008.

UN FIORE RECISO

Il tuo sorriso
il tuo gioioso canto
a tanti mancano.
Ben chiaro avevi il senso
della vita
e lievitava il tormento tuo
per l’ingiustizia diffusa
e per i non ricambiati affetti,
tu così solare e bella.
L’amore era nel tuo vivere,
come acqua fresca di fonte,
che purifica dal male.
Ben chiara avevi l’essenza
dell’umana natura e agivi
perché potesse in meglio
mutare.
Ora serena l’universo puoi
contemplare,
le stelle che amavi, le nostre
stelle di Zante e Monemvasia,
ma sempre resterai nel cuore
di tanti,
per l’umile esempio d’amore,
che hai dato, Fanny, figlia mia.

Cetara, 24 febbraio 2008
Giacomo Garzya

SEDICI MARZO 1983

Sulla nuca vento marino,
freddo,
come lo sono io dentro,
oggi che avresti festeggiato
i tuoi venticinque anni.
Riscaldami col tuo sorriso,
ora che senza di te ho perso
una parte di me.
Non è più gaio il mare,
come quando vivevamo insieme
lo Jonio e l’Egeo in quegli anni
felici,
plumbeo lo vedo e ostile,
non grembo di mamma,
non elemento primo,
ma luogo di marinai insepolti.
A riviverlo con gioia aiutami,
nel ricordo di te, che tanto l’amavi.

Napoli – Ischia, 16 marzo 2008
Giacomo Garzya

UN CRUDELE DESTINO

Si può accettare un crudele destino,
che ha lacerato il cuore in modo
così violento, da renderlo privo
di palpito?
Si può distogliere la mente dal
terribile impatto,
che ha stroncato un fiore fresco
e colorato di bello?
Si può ancora amare il colore
cangiante del mare
o i riflessi di luce cadenti dall’alto
dei monti,
dopo una pioggia liberatoria?
Si possono ammirare le ombre
cinesi, quando il pensiero corre
al corpo inanimato sul ciglio
di una strada remota?
Si può pensare di vivere senza
la tua costante presenza,
senza il tuo incommensurabile
amore?

Napoli, 18 marzo 2008
Giacomo Garzya

PRIVA DI VITA

Marmi ben scolpiti, vellutati
sono al tatto
e all’occhio trasfondono mito,
realtà, bellezza.
Il marmo canoviano, che ho
davanti,
la fantasia anima, come i sensi,
e calore dà
al cuore e alla mente, non così
la tua lapide,
senza speranza, che al tocco
dolce della mano,
resta gelida e muta.

Napoli, 22 marzo 2008
Giacomo Garzya

FANNY E IL GABBIANO JONATHAN

Spesso in me rivive l’anima
del tuo Jonathan:
è un modo per parlare con te,
per condividere ancora
l’emozione forte dei cumuli
e dei cirri visti dai diecimila,
per scendere in picchiata su
quel mare in perenne conflitto,
in perenne tempesta,
per andare oltre i limiti
consentiti,
per godere le scogliere nel
loro contrasto unico col mare.
Mare, terra, cielo, Jonathan
Livingston
e la grande poesia di Neil
Diamond,
così, insieme, si godeva
la potenza della natura
e il suo essere libera
nonostante l’Uomo.
Se ripercorro la tua breve e
intensa vita, Fanny,
credo che tu sia stata davvero
un’ amica di Jonathan
e per vederti, guardo sempre
in alto il volo dei gabbiani.

Napoli, 26 marzo 2008
Giacomo Garzya

JONATHAN

Non una stella stanotte,
nuvole, nuvole e ancora nuvole,
né gabbiani vedo volare, non ne
ho mai visti di notte, eppure ora
cerco il nostro Jonathan, amico
amorevole e vero, quando si trattava
di sognare insieme una vita libera,
fuori lo spazio e il tempo,
noi come Argonauti moderni
sospesi sul mare.
All’alba fa’ un cenno Jonathan,
solo tu sei il suo tramite, vagare
negli Inferi non posso, perché sempre
più forte è in me l’ansia di perdermi
o di percepire solo un’ombra tra le
ombre, quando cerco invece il suo
sorriso, il suo parlare sensato,
il suo benevolo, umano affetto
di figlia.

Napoli, 11 aprile 2008
Giacomo Garzya

RUE DE LA BROSSE

Quante volte ho bussato
a rue de la Brosse
e quante volte a via Augusto
Righi?
Non eri a casa dicevano,
e dove?
Per trovarti, disperato, sono
entrato nel labirinto,
che è nella mente, e ho ucciso
quel Minotauro
che mi diceva che eri stata sua
vittima sacrificale,
significando ciò, che non ti avrei
più vista viva.
Il filo di Arianna, me, alla luce
della ragione ha riportato,
ma la realtà è comunque che tu
non apri a chi ti bussa
e non torni alla tua casa.
Tu non tornerai più gioia
delle gioie, perché l’atroce sogno
è cruda realtà.

Napoli, 3 maggio 2008
Giacomo Garzya

LUTTO PERENNE

Vorrei ora una guancia sfregiata,
iniziazione alla vita e segno d’onore
per uno Junker, lutto perenne per me,
che, senza requie, soffoco nel dolore,
costretto a vivere d’immagini e di
ricordi, nel suono lontano della tua
voce.

Napoli, 4 maggio 2008
Giacomo Garzya

DOLCE FANNY

Dalla larva, la crisalide e,
la primavera dopo,
ai campi, la metamorfosi offre
la farfalla leggiadra.
Breve è la vita, ma quanto basta
per dare un segno d’amore, con
scaglie colorate sulle ali, che
danzano tra spighe dorate.
Tu sei stata come farfalla
figlia mia,
a ornare col tuo generoso sorriso
i campi di girasole,
dalle foglie a cuore, come il tuo,
tanti cuori, che sorridono
al mondo senza temere l’onta
del temporale.

Napoli, 9 maggio 2008
Giacomo Garzya

QUESTA PAGINA DEDICO A MIA FIGLIA FANNY, TRAGICAMENTE SCOMPARSA A SOLI VENTIQUATTRO ANNI, IL 6 FEBBRAIO 2008, A CASTEL VOLTURNO, NATA LEI A NAPOLI IL 16 MARZO 1983. DIVENNE UN LIBRO, GRAZIE ALLA GENEROSA DISPONIBILITÀ E AL GRANDE AFFETTO DELL'EDITORE ANGELO ROSSI, CHE LO STAMPO' IN 200 ESEMPLARI NON VENALI, FANNY GARZYA.

Scritti e racconti brevi, in appendice ricordi di lei, a cura del suo papà, Napoli 2009.

Cara Fanny,

insieme con noi hai imparato a camminare.
Insieme con te abbiamo appreso l’arte di volare. Per inseguire i nostri sogni.
Il tuo zaino era sempre storto e pesante, i tuoi piedi pieni di bolle, ma il tuo cuore era ben più in alto, lontano da terra.
Ed ora, quando mi distraggo e mi impigrisco nell’inseguire i miei sogni, è grazie a te che ritrovo la forza, la determinazione. E’ il ricordo della tua caparbietà che mi spinge. E’ il ricordo di te che mi dona nuove energie. E solo allora mi sento come se abbracciassi il mondo. Preghiamo affinché il tuo ricordo ci possa dare la forza per superare ogni ostacolo nell’inseguimento dei nostri sogni.


La tua determinazione nell’inseguire i tuoi sogni e i tuoi progetti mai ti ha limitato nell’aiutare gli altri. Spesso anzi le due cose coincidevano. Insieme a te abbiamo imparato che bisogna lottare con tutte le forze, anche se in silenzio, per lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato.
Preghiamo affinché ciascuno di noi possa credere fermamente che un altro mondo è possibile, e impegnarsi per realizzarlo.


Non eri una santa, ma la tua vita di sicuro ci è d’esempio; il tuo impegno in tutto ciò che facevi; la tua contagiosa e irrefrenabile gioia con cui affrontavi ogni circostanza; il tuo essere sempre trascinatrice, spinta giocosa e vitale; la tua determinazione nel mantenere salde le amicizie, nonostante la distanza. La tua intramontabile volontà di riconciliarti con tutti, calpestando spesso il tuo “robusto” orgoglio.
Il tuo lavorare operosamente ma in silenzio, con una meta ben chiara e precisa nella tua testa, da formica veramente consapevole. Consapevole del dono della vita di ogni uomo.
Insomma, ripensando alla tua vita non possiamo dubitare su dove sia tu adesso. E ciò alimenta la nostra Fede, e scaccia via i dubbi.


Arianna, Marco, Oreste, Roberta
Compagni di viaggio nel cammino scout.

Napoli, 6 febbraio 2009 (Parrocchia di S.Maria Apparente, Chiesa del Cenacolo, messa di commemorazione a un anno dalla morte).

FANNY GARZYA, Scritti e racconti brevi
(N.B. il testo stampato dall'Editore è più aggiornato, rispetto al lavoro che ho svolto nei mesi successivi la morte di mia figlia e che pubblicavo, di volta in volta, sul mio sito web)

Un caro e vecchio amico, che da giovane ha sofferto una gravissima perdita, come ora la sto vivendo io, mi ha dato l’opportunità, nella sua lettera di cordoglio, di leggere un passo di Benedetto Croce, che non conoscevo, tratto dai Frammenti di etica (1922), non a mo’ di consolazione, ma per aiutarmi a trovare un modo per tentare di sopravvivere al dolore.
“Che cosa dobbiamo fare degli estinti, delle creature che ci furono care e che erano come parte di noi stessi? ‘Dimenticarli’ risponde, se pure con vario eufemismo, la saggezza della vita. ‘Dimenticarli’, risponde l’Etica…E l’uomo dimentica. Si dice che ciò è opera del tempo; ma troppe cose buone, e troppo ardue opere, si sogliono attribuire al tempo, cioè a un essere che non esiste. No: quella dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra, che vogliamo dimenticare e dimentichiamo…Nel suo primo stadio, il dolore è follia o quasi: si è in preda a impeti…si vuole revocare l’irrevocabile, chiamare chi non può rispondere, sentire il tocco della mano che ci è sfuggita per sempre, vedere il lampo di quegli occhi che più non ci sorrideranno e dei quali la morte ha velato di tristezza tutti i sorrisi che già lampeggiarono. E noi abbiamo rimorso di vivere, ci sembra di rubare qualcosa che è di proprietà altrui, vorremmo morire con i nostri morti…La diversità o la varia eccellenza del lavoro differenzia gli uomini: l’amore e il dolore li accomuna; e tutti piangono ad un modo. Ma con l’esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e culto dei morti, si supera lo strazio, rendendolo oggettivo. Così cercando che i morti non siano morti, cominciamo a farli effettivamente morire in noi. Né diversamente accade nell’altro modo col quale ci proponiamo di farli vivere ancora, che è di continuare l’opera a cui essi lavorarono e che è rimasta interrotta”.

GIACOMO GARZYA

 

( Dagli appunti di viaggio della mamma di Fanny)

Sull’onda della mia proverbiale emotività: sono ovviamente commossa, dopo avervi incontrato, sento di dirvi col cuore che siete il bene più prezioso che ho nella vita. Appena siete nate ero di una felicità senza pari : avendo tanto tribolato prima di rimanere incinta, la vostra nascita è stata per me miracolosa. La notte seguita alla vostra nascita è stata quella che ricorderò di più per sempre. Infatti rammento lo stupore e la gioia: una gioia immensa, senza fine, una sorpresa la vostra vista inimmaginabile. Tante volte vi avevo sognato: ma come saranno davvero? -mi dicevo-. Quando vi ho visto, poi, non credevo ai miei occhi. Due belle bimbe adorabili, venute al mondo da una piccola donna, un po’ adulta, ma anche tanto bambina. Papà c’era ed era tanto importante per me, ma in quell’occasione, a sua volta attonito o meglio stupefatto per quell’evento, era come sullo sfondo, in secondo piano. Al primo posto c’eravate voi, Fanny e Maguy, piccole, dolci marmocchie, tenere e rapaci insieme, perché bisognose di tutto il mio affetto e della mia dedizione.
Di quei momenti ricordo, oltre questa immensa felicità, anche il bisogno di essere all’altezza del mio nuovo ruolo, in modo da potervi dare tutto quello di cui avevate bisogno e questo compito, che credevo naturale e scontato, ho scoperto poi, poco alla volta, che non è stato affatto così automatico e semplice.
Di colpo ora siete già grandi, cresciute, vi affacciate alla soglia della vita come adulte, eppure in voi resiste, per fortuna, un’impronta ancora infantile, giocosa, semplice, immediata, diretta, non corrotta da sovrastrutture posticce, che a volte la vita impone, snaturando l’aspetto più spontaneo legato all’essere se stessi incondizionatamente.
Credo, riguardando il percorso di madre da me fin qui compiuto, che molti errori ho commesso, alcuni anche gravi, legati al mio non esse sempre perfettamente in sintonia con le vostre reali esigenze, rispetto allo specifico momento che stavo attraversando. Ora che me ne rendo conto, con maggiore capacità di discernimento, cerco però anche di assolvermi o essere assolta da voi in particolare, per poter andare avanti senza eccessivi scossoni e turbamenti e per poter reggere con serenità il mio impegno lavorativo, spesso gravoso, come voi ben sapete.

Firenze – Napoli, 15 febbraio 2004.

PAOLA CELENTANO

NINNI

Mi sembri partita per un viaggio,
magari mi affaccio e tu ritorni.

Solare, felice come sempre,
contenta del percorso fatto
ed invece mi toccherà aspettare
che la vita si dissolva per trovarti.

La tua mamma.

Napoli, 7 febbraio 2008.

IL CAMINO DE SANTIAGO DE COMPOSTELA DI FANNY GARZYA

Mia figlia Fanny, dopo un lungo percorso di fede e dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima, in età adulta e in piena consapevolezza, ne la Cathédrale de Notre-Dame de Paris, il 3 giugno 2006, intraprese il 6 agosto dello stesso anno il Cammino di Santiago de Compostela, partendo da St.Jean-Pied-de-Port e giungendo a Santiago il 5 settembre. Al rientro a Napoli era serena, gioiosa e forte, con la sua conchiglia e il suo bastone di pellegrino. (Tappe del Cammino, desunte dalle sue credenziali [Carnet de pèlerin de Saint-Jacques]: il 5/08/2006 Fanny è a St-Jean-Pied-de-Port, il 6/08 parte per Roncisvalle, percorrendo l’Alta via. Qui di seguito il suo percorso : 7/08 Larrasoana, 8/08 Pamplona, 9/08 Puente de la Reina, 10/08 Estella, 11/08 Los Arcos, 12/08 Logrono, 13/08 Najera, 14/08 Granon, 15/08 Tosantos, 16/08 Atapuerca, 17/08 Burgos, 18/08 Hontanas, 19/08 Itero de la Vega, 20/08 Carrion de los Condes, 21/08 Terradillos, 22/08 El Burgo Ranero, 23/08 Mansilla de las Mulas, 24/08 Leon, 25/08 Hospital de Orbigo, 26/08 Santa Catalina de Somoza, 27/08 Molinaseca, 28/08 Villafranca del Bierzo, 29/08 O Cebreiro, 30/08 Triacastela, 31/08 Sarria, 1/09 Portomarin, 2/09 Melide, 3/09 Arzua, 4/09 Arca do Pino, 5/09/2006 Santiago de Compostella. L’11 luglio 2007, sull’esempio di mia figlia Fanny, ho intrapreso il Camino de Santiago de Compostella, ma, partito anch’io da St. Jean-Pied-de-Port e attraversati i Pirenei per l’Alta Via, dopo tre tappe, a Pamplona, sono stato costretto a ritirarmi per una infiammazione alle ginocchia (13 luglio).L’esperienza del Cammino di Santiago de Compostella, breve o lunga che sia, l’attraversamento dei Pirenei, per l’Alta Via, sono molto significativi per lo spirito che si scopre in chi li intraprende, in chi t’accompagna, non avventurista né necessariamente di fede, ma di ricerca di una strada interiore, di un ripensamento su ciò che è l’esistenza.

Giacomo Garzya.

FANNY GARZYA SCRIVE SUL CAMINO DE SANTIAGO (2006)

“Che dire del Cammino? Forse soltanto che è un’esperienza indescrivibile…
La strada che fai, la gente che incontri, i paesaggi e le città che vedi non sono che una parte del Cammino.
Il cammino è qualcosa di molto più personale e interiore…
Mi sembra così strano l’aver percorso tanti e tanti chilometri…ogni giorno qui vale una vita, ma il tempo è un tempo a se stante, con un suo scorrere che non ha niente a che vedere con quello esterno, eppure, forse, è un tempo molto più vero.
Come dico spesso, qui sei fuori dal mondo eppure mai come adesso nel suo cuore…”

Mansilla de las Mulas, 23 agosto 2006.

FANNY GARZYA

(si può vedere Fanny nel video su You toube : “Camino de Santiago 2006 Compilation”)

From: fanny garzya <fannittola@hotmail.it>
To: <giacomo.garzya@virgilio.it>
Subject: info camino
Date: Fri, 29 Jun 2007 23:40:03 +0200

Ciao Pippo,

eccoti le informazioni che ti servono.

Per quanto riguarda lo zaino, punta ad avere l’essenziale: è banale a dirsi, ma è bene che ricordi che quello che decidi di metterti sulla schiena te lo porterai dietro per un mese.

Io posso darti qualche indicazione di principio, ma le scelte le fai tu e soltanto tu puoi sapere quanto sei in grado di portare, quanto di sopportare e quanto ti è insopportabile; non sopravvalutare le tue energie, calibrale bene, è molto importante ( molti soffrivano tanto che dopo qualche giorno rispedivano indietro le cose per posta!).

Toilette:

– 1 saponetta di marsiglia (se finisce ne trovi da comprare lungo il percorso) che serve per tutto, lavaggio corpo, capelli, vestiti;

– 1 tubetto di dentifricio;

– spazzolino;

– asciugamano;

– occhiali;

– portaocchiali.

Vestiti:

– 3 t- shirt ( una addosso);

– 3 paia di calzini (idem);

– 3 paia di mutande (idem);

– 2 paia di shorts (idem);

– magari una cintola (se dimagrisci lungo la via…);

– 1 completo (leggero, soprattutto da portare) per la notte (anche pantaloncini corti e t- shirt, per esempio;

– una giacca a vento;

– 1 maglione o una felpa;

– qualcosa per la pioggia: se la giacca a vento ti basta, ok; solo prevedi di proteggere quello che hai nello zaino; anche se ha una copertura in plastica, può non bastare.

Proteggere il materiale dalla pioggia è fondamentale (quando ti trovi la maglietta di ricambio fradicia e sei fradicio non ti fa piacere…L): metti tutto in sacchetti di plastica oppure portati un grosso sacco della spazzatura (coi buchi ai punti giusti) per coprire lo zaino in caso di acquazzone.

– 1 cappellino per il sole (indispensabile, anche se non è sexy..non portarlo soltanto, mettilo).

Scarpe:

– 1 paio di sandali di plastica leggeri per la doccia e i momenti di pausa;

– 1 paio di scarpe ( sandali robusti o scarpe da ginnastica) come ricambio;

– 1 paio di scarponcini leggeri.

Farmacia:

se proprio vuoi portare qualcosa, porta l’essenziale, ne trovi sul cammino!

Al massimo segnati i principi attivi dei medicinali che usi

Altri oggetti :

– Bibbia leggera;

– carta d’identità;

– la guida (se vuoi, non è indispensabile, ma molto utile; se decidi di lasciarla rileggila magari un po’ prima di partire);

– sacco a pelo;

– stuoino;

– borraccia o bottiglietta per l’acqua (BEVI BEVI BEVI….ACQUA e non birra!!!!);

– pila piccola e carica;

– crema solare/idratante (…serve, credimi) + eventualmente burro di cacao ( ma dipende da te);

– un piccolo carnet di viaggio;

– una penna;

– eventualmente uno zainetto per i momenti in cui vuoi andartene in giro per la città senza troppo peso;

– qualche busta di plastica (anche della spazzatura);

– un coltellino svizzero;

– se lo ritieni utile, una piccola sveglia e/o un orologio.

Oggetti superflui (voire dannosi):

cellulare

lenti a contatto

Per i soldi:

io ho preso contanti e li ho tenuti in un marsupio, nello zaino o addosso.

Vedi tu…

Altri consigli:

il cammino si spiega da solo, non c’è bisogno di aggiungere molto altro, è lui che ti porta.

Trova il tuo ritmo, senza correre né impantanarti: è questo il bello !!

Buen Camino papo 😉 ciau

Fanna

P.S.

Se hai altre domande non esitare

 

GLI AMICI DI FANNY, INCONTRATI SUL CAMINO DE SANTIAGO, SCRIVONO IN SUO RICORDO

Dear Fanny and all Pilgrims,

I was very shocked and last night I cut don´t sleep. To short is the life and unfortunately the good human´s died to early an to young!!!

I know not many over Fanny, but I felt of the camino, that she was a person with all one’s heart.

I met Fanny first in Carion de los Condes on the evening. The hostel was overfullt and Fanny would like walking in the night. I said to here ” Did is risk an she is a crazy italy girl”. She smiled and went the camino on.
On the next day on the evening I met she again. I was happy, that she was safe and sound. That was the last meeting with Fanny.

Fanny, thank you for the short time with you. God path is unfathomable – rest in peace and harmony!


Tino Pehlke (14 maggio 2008)


Dear Friends,

It is hard to believe this terrible tragedy that took Fanny away. Even though she is physically no longer with us,I feel that her spirit will live on in those of us who knew her.

Thank you Xavier for sharing those moments with all of us. I remember it now. The village you speak of is Hontanas, our first stop after Burgos. My sister (Jennifer) and I had already met Fanny on our first day of the camino. We met Fanny in Roncesvalles We met her again the next day, and the next day again. We met her next time again a week later (Granon) and by this time, we had a lot to catch up on. Then she disappeared for 2 days then reappeared, disappeared again and reappeared. I referred to these brief encounters as ‘Fanny sightings’ but each time we met, it was with open arms, excitement and happiness. We were always so happy to see each other.

I remember that night in Hontanas. I had seen her briefly in the morning leaving Burgos and I was going through a difficult day. I recognized her through the frosted glass door from a yellow t-shirt and was ecstatic to see her. With all the changes that had gone on so far (many of my friends had left in Burgos and many more newer pilgrims were just starting in Burgos), it was wonderful to see that familiar face. Our reunion in Mansilla de las Mulas was the same, but even more! I can still see her walking, stopping, then RUNNING toward me when we recognized each other at a distance. When I passed through this town again in September 2007, I had a vision of her in the same spot, running toward me.

On my last evening on the camino in Leon, Fanny and Xavier were singing a song either in Spanish or Italian as we walked in the streets. And Fanny asked me something like, ‘Sharleen, do you like this song? ‘ And I said, ‘ I don’t understand what you are singing’ and she said, ‘Beautiful girl, don’t go’. I don’t remember how I reacted at the time, but when I returned to Canada, I often referred to it as a defining moment on the camino.

I have many fond memories of Fanny and I consider myself very fortunate to have known her, for if it was just one day before, or one day later that I started my camino, I am not sure we would have ever met at all.

Thank you Fanny for bringing your true self to us. Your generosity, kindness, good heart and loving nature will never be forgotten.

Take care, everyone!

Sharleen


Dear Eric and all,

(I copied Tino on this email, Tino read eric’s mail below first)

I was on Nicaragua last Sunday when Sharleen called me on skype and shared with me the sad news.

It has been really shocking… I think Eric gave a very good brief description on how he will remember Fanny, I fully agree.

I’ve checked the link of his father website..and I found a letter which says ‘Fanny was someone who wanted to change the world…’ and definitively she was, she still is…she did a lot of things, she met lots of people, she shared her joy and happiness…and part of this will still remain in our hearts and our souls…

You know? I don’t remember the name of the village in el Camino…Fanny arrived pretty late and took a bed close to where I was. She was just asking for the ‘Canadian girl’ (that’s how I first knew about Sharleen!). And she showed me her stick. A wood one where her Italian friends wrote some messages for her, cause they had left the day before.
the day after she woke up really early in the morning…and she forgot the stick. I saw it and I took it, thinking I would find her sooner or later…

It took me 2 days to meet her again, by that time I already met Eric, Sharleen and Saubine! Se was really happy when she got it back, and from that day we had time to talk and walk together…

According to the Physiotherapist, walking with the stick was the cause of the tendinitis I had on my left foot. I had pain, and actually it forced me to leave el camino before i expected…but I learned so much from it!

And that would have never happened if I would not have met Fanny and her stick! And perhaps i would have never met you all… So thank you Fanny for all that, and for your energy and passion! Be in peace!
big hug to all of you,

xavier (13 maggio 2008)

Hello Fellow pilgrims,

It has been a while since we met on the camino in august of 2006. Even though time flies and almost two years has gone by I can still recall that time as if it was yesterday. And I guess we all remember very well who joined us during our mutual journey.

The reason I sent you this mail is not a good one while I got this afternoon an email from the sister of someone; we all walked and experienced the camino with and she brought some very sad news. Last february Fanny had a fatal car accident and died around that time. For me it was a big shock and was very saddend by this news. Her sister asked me to sent this to the people she then walked with. I’m not sure if you all have met her and probably haven’t got the adresses of all of them who knew her if you do have please inform them too.

I include a few pictures I got and also a link from the site which her farther has made in rembrance of Fanny.
I will remember her as a young, strong, passionate, kind and helpful young Italian woman and will miss her.

Take care all of you.

Eric van Straalen (11 maggio 2008)

 

RACCONTI BREVI DI FANNY GARZYA

IL MARE

Le piaceva rimanere lì, sul molo, seduta su una vecchia e rugginosa panchina, ad osservare la vita del porticciolo. Sembrava che il tempo si fosse fermato, in quel canto d’Oriente. Lei, abituata alla frenetica vita di una metropoli d’Occidente, il mare era solito viverlo in tutt’altro modo. Eppure l’affascinavano le reti, rosse e gialle, alcune sparse in disordine, altre arrotolate con cura; eppure amava, sì, lo sciabordio lento e monotono delle piatte onde che, forse un po’ svogliate, ma incessanti, sbattevano sulla pietra smussata. Osservava i volti adusti di vecchi pescatori, lo sguardo intenso e fermo, che esprimevano con le loro rughe un mondo, ignoto e misterioso. Ammirava il volo dei gabbiani, che sfioravano l’acqua in cerca di cibo, i monelli che si tuffavano nel mare limpido, rifugio ieri di nave achee, oggi di modeste barche da pesca. Fissava poi l’orizzonte infinito, sognando. Il colore dell’acqua era meravigliosamente blu. Tutto, attorno a lei, era nitido, reale. Avrebbe voluto restare là per sempre, penso. In quel momento si sentì invasa da una gioia immensa, fu sul punto di scoppiare in lacrime; allora inspirò profondamente quell’aria pregna di mare. Viveva.

Napoli, 16 ottobre 1998.

FANNY GARZYA

 

(Dalle carte di Fanny, relative all'anno 1997)

“Altezza Reale” (T.Mann): mi ha colpita per il pessimismo e (mi è sembrato) per l’ironia e l’amarezza di cui è intriso. Nella descrizione dell’uomo che M. fa, vedo implicita una condanna (quella al dover fare ed essere non secondo la propria volontà, ma secondo il proprio destino), che viene accettata prima con insofferenza, poi con speranza e forza di volontà dal protagonista, che si adatta ad un ruolo che gli è stato assegnato prima che nascesse.

“Il Colonnello Chabert” (H. de Balzac”): bello. Bello perché pieno di sentimento; perché, crudo e realistico nella splendida pennellata della società, dell’uomo, della vita, che ci dà, riesce a descrivere tutto ciò senza cinismo, ma con una profondità di sentimenti commovente.

“Il mondo nuovo” (A.Huxley) -16/10/97, è un libro che mi ha coinvolta, affascinata, fatta riflettere molto. Quella di Huxley non è “fantascienza”, secondo me. È filosofia, ma anche una visione del futuro lucida e concreta, possibile (anzi, direi reale) e non visionaria. Grande è, secondo il mio modesto parere, il capitolo XXIII : com’è sincero, appassionato (ed appassionante), travolgente ed insieme dolce, bello e doloroso e terribile l’urlo straziato di un uomo che non riesce a capire una realtà che pure, ahimé, si avvicina tanto al nostro oggi, al nostro domani! Povero uomo, schiacciato dalla sua stessa “civiltà”, eppure inconsapevole di esserlo. Povero uomo, che si illude di poter scegliere o di poter combattere con la propria volontà, da solo.
È un’illusione, la sua, ma è già fortunato se continua ad illudersi.
C’è una poesia di uno scrittore americano (non ne ricordo il nome, purtroppo), intitolata “L’uomo dalla vanga”.
Descrive un uomo abbrutito dal troppo lavoro, incapace di gioire e di soffrire, inetto ormai a pensare, incosciente della propria situazione, privo persino del destino di VIVERE.
L’uomo alfa, beta, gamma, delta, epsilon di Huxley non è abbrutito dal troppo lavoro, ma non pensa, non gioisce, non soffre (tranne che in modo superficiale), non desidera nulla che non possa ottenere.
Una civiltà perfetta è un incubo. Un incubo cui ci stiamo avvicinando sempre più.
Quello che, del libro letto, mi ha forse più colpita, è stata la consapevolezza di uno, Mustafà Mond.
La sua vigliaccheria, il suo egoismo, ma anche quello di coloro che erano stati scacciati nelle isole.
Perché non tentare un ritorno all’imperfezione? Perché non illudersi, forse inutilmente, ma almeno coraggiosamente, di poter salvare una società imputridita da cuori vuoti? Ma, chissà, forse sbaglio, forse un tentativo c’era stato.
Perché non ritentare, però? Arrendersi alla perdita di ogni speranza è quanto di peggio si possa fare, secondo me. Pur non essendo una persona con molte illusioni (vedo l’uomo rimpicciolirsi sempre più nel suo delirio di onnipotenza), sento che ciò che ancora ci resta è la speranza, è l’illusione.
Solo speranza e illusione possono farci lottare fino all’ultimo senza che la volontà ceda, ma, soprattutto, solo con speranza, illusione ed amore possiamo sopravvivere.
Non è vero che le glaciazioni sono terminate da un sacco di tempo, ce n’è una in atto.
Penso che il fuoco di poche anime possa e debba scaldare tutti i cuori congelati del mondo, domando loro amore.
Non è retorica, la mia, né è ironia; è illusione.
L’illusione che individui non ancora “plastificati” (bella la canzone di Grignani!) possano creare un mondo migliore. Il fatto è che l’uomo non è “corrotto dal gelo” da pochi mesi, da pochi anni.
Secondo me lo è sempre stato. Forse in proporzione minore, ma credo che lo sia stato da quando il “benessere” si è insinuato tra lui ed il prossimo.
-“Prossimo”? Credi in Dio?- Sì. Lo ammetto, non frequento la messa. Perché? So di sbagliare, ma…
Già, si ritorna a quella vigliaccheria, a quella passività, a quella pigrizia che tanto male fa all’uomo.
Non divaghiamo, però.
Dicevo di credere in Dio, lo ripeto.
Se non ci fosse DIO, ditemi un po’, come mai la “nuova glaciazione” sarebbe così lenta? Come mai, nonostante tutto, esistono ancora cuori capaci di amare, sperare, sciogliere il ghiaccio intorno a loro dando conforto e sollievo agli altri?
Chi dà all’uomo una tale forza? Chi, se non Dio? Penso a Madre Teresa di Calcutta, ma credo che tanti siano, come lei, dei fuochi di bontà.
Esistono anche fuochi d’odio, non dimentichiamocelo. Sarà una sciocchezza, ma non è che l’uomo si serva dell’odio (non parlo della cattiveria, ma di quel fuoco, perché è pur sempre un fuoco, che ti divora e ti porta ad azioni estreme), in un vano tentativo di fuggire la solitudine nella moltitudine, di fuggire quella muta insoddisfazione che lacera, insomma quel ghiaccio invadente?
Come capisco meglio le parole: “Beato chi soffre”. Coloro che soffrono vivono. Coloro che “non soffrono” (non quelli che si illudono di non soffrire, benché nascostamente infelici nei più reconditi cantucci dell’anima), vegetano.
Sento pietà per chi soffre (e chi odia, secondo me soffre più di chi prova la gioia di perdonare), ma anche per chi non soffre per niente.
Remarque parla di uomini distrutti dall’esperienza della guerra.
La guerra ti lascia dentro uno strano malessere, quasi fisico, credo (immagino, non l’ho provata).
Ma il guaio è, secondo me, più dell’orribile brutalità di un uomo che odia perché combatte e che combatte perché gli si è insegnato ad odiare, l’indifferenza di quei tanti che sacrificherebbero senza problemi miliardi di persone, se ciò li potesse aiutare.
Sono quelle persone che, di solito melliflue e molto importanti (quasi sempre al Governo), uccidono con le loro scelte più che con centinaia di mitra. Brrr! Perché al Governo non ci vanno mai gli illusi?
Non gli illusi cretini, burattini e basta, ma quelli che pensano e vogliono con il cervello loro, non con quello altrui.
Penso: 1) è vero, è difficile trovare delle persone così, ma non ditemi che non ci sono(!); 2) forse, purtroppo, gli illusi veri hanno o vogliono avere gli occhi “foderati di prosciutto”; 3) forse, ancora, gli onesti vengono sempre fermati o corrotti e i finti onesti vanno sempre avanti; 4) in un gruppo di ONESTI c’è sempre il meno convinto, l’approfittatore, il voltagabbana che, al momento buono, tira fuori le unghiacce.
Se conosco tutte le risposte, direte, perché continuo a sperare, ad illudermi, a credere?
Non lo so. Dentro di me c’è una forza misteriosa, c’è una voce che mi dice: “Non arrenderti, non mollare, nonostante tutto ce la puoi e ce la devi fare. Sai già che perderai, ma è un buon motivo per non combattere, questo?”.
Penso sia la giovinezza, la carica che ho dentro che mi spinge “lontano” dal cinismo.
Ma io la mia carica, la mia forza, la mia voce interiore, la mia volontà, la mia coscienza non le voglio perdere neanche da vecchia.
Si dice che solo i giovani abbiano la forza di lottare. Mi auguro che non sia così. Anche se i giovani combattono per il loro futuro, perché i grandi non dovrebbero battersi per le generazioni che seguiranno?

FANNY GARZYA

 

SCARPE

Lo sognava, lei, un paio di scarpe.
Camminava quasi sempre scalza. I suoi piedi, rossi, gonfi, piagati, erano ormai informi. Gli zoccoli di legno, poi, li odiava con tutto il cuore: ne disprezzava il materiale, la rozzezza, la scomodità, ma la infastidiva soprattutto l’eclatante ed inevitabile fracasso del legno sul ciottolato della via. Passava ogni giorno, ogni santo giorno, davanti a quella stramaledetta vetrina. I vetri rilucevano al sole e dentro, come per far dispetto a lei, delle splendide polacchine in morbido cuoio beje, con una confortevole imbottitura rossa, un leggero tacco. Erano un capolavoro, curate fin nei più minuti dettagli. Ah, quanto le desiderava! Una volta, agghindatasi alla meglio con l’abituccio della festa, era entrata nel negozio. Aveva cercato di pronunciare senza troppi tremolii e senza la marcata inflessione dialettale ( il risultato era stato ahimè, piuttosto misero) la frase tanto a lungo assaporata, masticata talora sognando, talora piangendo amaramente. E alle parole magiche: “Vorrei provare quel paio di scarpe esposte in vetrina, per favore”, era spuntato là, davanti ai suoi occhi, l’oggetto tanto agognato. Con estrema cura, fattasi d’un tratto civettuola nello sguardo e nei gesti, si era accomodata sul divanetto dalla stoffa sdrucita, nell’angolo, e si era accinta a calzare quelle meraviglie. Ma sul più bello, il negoziante, osservato più attentamente il suo aspetto, le aveva chiesto sospettoso: “Lei intende acquistare, nevvero?” E tutta la sua sicurezza era crollata all’improvviso. Pallida, tremante, in lacrime, aveva gettato uno sguardo smarrito intorno a sé. Poi, posate le scarpe, che la guardavano con alterigia dall’alto delle loro rifiniture perfette, era fuggita via sbattendo rumorosamente i pesanti zoccoli sul selciato.

Qualche tempo dopo, un mattino piovoso, sparvero dalla vetrina. Le rivide, in seguito, ai piedi di una ragazza che, un bel cappotto di lana blu, la cartella sotto al braccio e le guance pienotte, camminava sul marciapiede opposto al suo.

Napoli, 29 settembre 1998.

FANNY GARZYA

ZANZARA

Nel sonno, all’improvviso, si insinua un rumore.
È sottile, debole, ma crescente, inarrestabile.
Ne provo fastidio.
È sempre là, penetra in me angosciante.
Mi sveglio di soprassalto. Non mi restava altra scelta.
Ma il ronzio non dà cenni di resa. Cerco di individuare il maledetto insetto che mi tormenta. Invano. Anche il suo zzz si è affievolito, quasi spento.
Provo a riaddormentarmi, la sveglia segna le 2.00. Mi assopisco. Com’è dolce dormire!
Eccola di nuovo! È una zanzara, non c’ è dubbio. È grossa, o molto vicina. Lotto tra il terrore che la sua presenza provoca in me e il desiderio di sonno.
Vince lei, la zanzara, che imperturbabile continua a ronzare, mettendo a dua prova i miei nervi.
Mi desto di nuovo. La cerco, gli occhi sbarrati, inutilmente.
Ho acceso la luce, stanca e snervata, non la trovo.
Ma nel sonno c’era, non vaneggio. La lotta, impari, prosegue incerta ancora per un po’. Arrendersi a chiudere gli occhi, significa accettare il ritorno del rumore.Sveglio tutta la casa, urlando; finalmente la vedo, schiacciata dalla ciabatta di papà.
Ha il mio sangue, ma è morta. E con lei quel rumore da incubo.

Napoli, 27 novembre 1998.

FANNY GARZYA

AL FUOCO

Sedendoti, toccherai la terra umida e soffice. Al freddo, inizierai a sentire il calore del fuoco, acceso con spinosi rametti, che diffondendosi ti avvolgerà.
Cercherai legnetti via via meno piccoli per alimentare la fiamma, urterai con le dita i gelidi sassi, sarai graffiata dai rovi. Col vento, soffocata dal fumo e disturbata dalle scintille. Ma che importa, se potrai stringere la mano del tuo vicino, cantare, pensare.
Sentire il fuoco, non più alimentato, che lentamente si spegne e iniziare a rabbrividire, nonostante il giaccone. Vorrai la tua pila, il fuoco sul punto di estinguersi. E la troverai, seppellita tra le tante altre, nell’erba. La tua o quella di qualsiasi altro, chissà. Freddo, farà proprio freddo ora. Ti alzerai, con gli altri, scavalcando le chitarre ormai abbandonate. Darai il braccio ad un’amica, un po’ per scaldarti, un po’ per la pila (che non avrà), ti avvierai, inciampando di continuo, verso il ruscello da attraversare. Com’è ovvio, affonderai gli scarponi nel fango, nel vano tentativo di zompare da una pietra all’altra, sul tuo cammino tante viscide ranocchie gracidanti. Finalmente arriverai alle tende.
A tastoni cercherai la tua. Sarà là, là il morbido e caldo sacco a pelo, là il meritato riposo.

Napoli, 27 novembre 1998.

FANNY GARZYA

ROUTE INVERNALE
NOVIZIATO SAND-CREEK 1999

La nostra splendida avventura è cominciata nella mattinata del 27 dicembre, quando, zaini in spalla, siamo partiti alla volta di Vico Equense. Il tempo non prometteva granché (in sede c’era anche il reparto e con Bomba avere il sole è impossibile), ma, dopo il tragitto in circumvesuviana, tra le irripetibili battute dei “ragazzi” del “Sand-Creek” – e pensare che per ogni sciocchezza da dire si era pensato di alzare la mano – siamo giunti finalmente alla fermata dei pullman per Moiano, pronti ad incamminarci, di lì a breve, lungo il Sentiero degli Dei. Il panorama era a dir poco meraviglioso e il sentiero procedeva sul bordo della montagna, ricoperta di pini e battuta da un vento incessante. Sul mare invernale squarci di una luce tanto forte da abbagliare; sembravano porte di mondi ignoti.

Tra le nubi ogni tanto faceva capolino il sole, che colorava con i suoi raggi la macchia mediterranea. Fermatici per cercare il sentiero giusto, abbiamo trovato dei soprannomi a tutti (Antani Bianco, Casciarauta piena, Bell’e mamma Vespertina, Felpastasi Jolly, Iobici, Barzellettiera Affamata…), poi abbiamo ripreso il cammino fino a Nocelle, dove, accompagnati oltre che dal vento da numerosi cani, abbiamo lautamente pasteggiato con i panini acquistati a Vico. La sosta, anche questa come le altre, è durata poco; subito, infatti, ci siamo mossi verso Agerola. Credevamo di avercela ormai fatta e invece dall’arrivo ci separava ancora qualche chilometro.
Piovigginava, quando, dopo circa sette ore di marcia, interrotta quasi soltanto dalla liturgia (“Se due o tre saranno riuniti nel mio nome io sarò con looooooro”), scorgemmo l’asilo parrocchiale dove avremmo inaspettatamente trovato addirittura una doccia (lasciata inutilizzata da due di noi, di cui sarà meglio tralasciare il nome). Roberta, a cui per lo zaino si era gonfiata la schiena, non ha potuto partecipare (udite udite) alla partita di “calcio-balilla”, alias biliardino, svoltasi con entusiasmo notevole appena liberi dai pesanti fardelli. Un vero peccato…tra l’altro il livello di gioco era così…professionale…Wow!
Mentre i giocatori (nessuno in particolare) starnazzavano allegramente, il grande Azim invocava lo spirito dell’orso assente (o, più banalmente, chiamava Ciro per sapere che fine avesse fatto) e lo invitava ad inserirsi, anche se con ritardo, nella route. Tutto inutile. Bah!
Dopo cena (pasta al tartufo -liofilizzata- e Simmenthal – Roberta e Oreste la loro l’hanno riscaldata…De gustibus…) un lungo dibattito sullo Spirito Santo, con un don molto disponibile…è vero che ci ha tacciato quasi di eretici, ma è un piccolo particolare, perché alla fine abbiamo chiarito ogni dubbio, mistico e filosofico, venutoci alla mente.
E via con il fuoco! Le scenette avevano qualcosa di surreale, parlavano di Diddle cannato ( che abominio) e di una biondina…(qualcosa del tipo Roger Rabbit e consorte), ma la vera creazione della serata è stato senza dubbio il ballo del ragù (by Arianna), che ci ha fatti davvero sbellicare.
Una giornata intensa, che, almeno per quanto mi riguarda, non si è conclusa col meritato riposo: c’era un vento tale che mi è stato difficile chiudere occhio. Poco male! L’indomani eravamo tutti vispi e pimpanti (?), pronti ad una nuova camminata. Peccato che, per il tempaccio, siamo dovuti rimanere a lungo nell’asilo, impegnati prima nella liturgia (sul primo articolo della Legge) e poi nell’attualità (i mass-media). Non appena è spuntato un raggio di sole ci siamo avviati verso Amalfi, con la guida di Otto e Sei (secondo altre versioni Cinque, Quattro, Tre), due simpatici bau bau.
Inutile dire che anche questa volta il paesaggio era mozzafiato; inoltre, mentre il 27 si saliva e scendeva, il 28 il nostro cammino è stato unicamente verso il basso e siamo “approdati” ben presto alla “riva amica” costituita dalla sede scout dell’Amalfi I, dove abbiamo mangiato, bevuto, chiacchierato con tutta calma. Il menu, ottimo, era costituito da pasta al pomodoro (e insetto, anche se questo solo per pochi eletti), pane, bebè e salame. Si è parlato di…scoutismo!!! (ma guarda un po’…), ma in modo diverso dal solito, eravamo rilassati e pieni di bei ricordi, protetti dal tempo da lupi che ci aveva accolti nell’antica Repubblica Marinara. Le onde, sul lungomare, erano davvero altissime e, quando accennavamo agli scouts incontrati la nostra intenzione di “affrontare la donna in carriera” [Fanny si riferisce al monte Avvocata], ci rispondevano con un oooooooh davvero poco rassicurante. Comunque, conclusa l’inchiesta sui mass-media con un’intervista ai passanti disponibili, abbiamo lasciato la “tana” (era una sede troppo divertente, ho sbirciato in ogni cassetto) e siamo arrivati in pullman a Minori.

“Ci conviene chiedere ai carabinieri, ha detto Luca Brignone”.”Ma sarà il caso di avventurarci lassù? E se rimaniamo là?”…Cellulare che squilla…Ansie dei genitori…”Tutto bene?” “Come sono le previsioni del tempo?” “Pessime.”…”L’abbiamo fatta ieri da Cava, è semplice!”…”Se domani c’è il sole, andiamo, altrimenti dormiamo e partiamo tardi”…

Conviviamo per una notte con uno sparuto clan nella sede di legno di Minori, che ha degli angoli di squadriglia davvero unici. Per la cena c’è un piccolo incidente nella preparazione della pasta e così, mentre Azim e “la principessa sul pisello” si “abbuffavano” con il tonno per il giorno dopo, tutti gli altri ingurgitavano affamati olio con qualche chiazza di panna e un po’ di pasta e prosciutto. Vabbè, non esageriamo…
La carne, se Arianna non avesse ricoperto quella di Roberta, Marco e Oreste di una quantità pantagruelica di spezie e se la sottoscritta non avesse rischiato di bruciare tutto perché non si era minimamente resa conto del fuoco acceso (e per lavare la spiritiera, poi…), sarebbe stata perfetta. Comunque pulita, non era affatto male.

Dopo aver messo tutto in ordine abbiamo giocato con Marco E Arianna e poi ci siamo aggregati al clan. Ovviamente (si trattava di ballare) ho fatto la mia solita e ben grama figura (il capo clan in particolare ce l’aveva con me soprattutto perché mi riusciva incomprensibile la dicitura “tacco-punta”) e ovviamente abbiamo presentato il neonato ballo del ragù, che ha riscosso un discreto successo. Salta di qua e salta di là si è fatto tardi, quindi abbiamo salutato tutti, abbiamo composto la “nostra” preghiera, spontanea, originale, sentita, e buonanotte.

29 mattina. Pioggia. “La route è finita, andate in pace? Manco per sogno!”.
Non so come mai quel mattino ero più arzilla del solito, e avrei volentieri canticchiato “Al chiaror del mattin” ( o forse l’ho fatto?), tutti gli altri poltrivano. Ad un tratto Azim, con la sua “gradevolissima” cantilena (“Assuntaaaa, Marcooo, Oresteeee, Robertaaa, Ariannaaa” – Fanny non c’era bisogno perché io saltellavo allegramente qua e là) ci ha fatti alzare e preparare, rincuorati da una buona cioccolata calda, ma lenti come grosse lumache, mentre Oreste di tanto in tanto esclamava sonoramente: “Ho mal di gola!” e mentre Marco deglutiva, come il giorno prima, la sua famigerata sbobba vitaminica.
E via infine anche questa volta.
Abbiamo comprato panini, riempito borracce (un consiglio: non fatelo mai con le fontane a zampillo… [il racconto si interrompe perché mancano dei fogli, ma mia figlia Fanny, con il gruppo, riuscirà a scalare l’Avvocata. Ciò si deduce da un passo di un altro suo scritto :”A dicembre in route che gran salita /-chiamavasi Avvocata-/ fu dagli eroi raggiunta e superata! / Per me quei quattro giorni / sono stati i più belli / c’eran la neve e il mare ed Otto il cane / ad Amalfi e dintorni /”. Nel settembre del 2000, alla fine del noviziato, Fanny scrive: “in route siamo / sull’Etna nuvoloso / con nera la lava e la resina rossa / la bussola perdiamo, / ed è pericoloso; / ma salva a noi Azim la pelle e l’ossa / con una sola mossa. / Tra splendidi paesaggi ed ospitalità / -non è una novità- ” ].

FANNY GARZYA

 

SILENZIO

Quel dolore le stava divorando lo stomaco. Era un malessere fisico, ormai, la sensazione amara di rabbia e di impotenza, di essersi illusa inutilmente, come sempre. Aveva le labbra serrate e frementi, gli occhi pieni di lacrime, che ricacciava dentro.
Tutto taceva, nella stanza buia.
Ma il suo cuore urlava disperato. Sorrise stentatamente, rispondendo allo sguardo interrogativo che le era rivolto. “Cos’hai?”. Non parlava.
Sentiva che, se lo avesse fatto, sarebbe esplosa. In modo incontrollabile.
“Su, dimmi cos’hai”.
Questa volta rispose, silenziosa, con un’occhiataccia piena di rancore.
No, non avrebbe detto nulla. Quella sofferenza, quell’umiliazione. Sue e basta. A che pro tirarle fuori? Avrebbe dovuto prevederlo. Non sbagliare stupidamente. Rivelare ciò che provava…mai più!
Silenzio. Era la sua arma.
Si rendeva conto, però, che era un’arma a doppio taglio.
“Taci, continua a tacere, povera illusa! E intanto…Se non parli, nessuno vorrà ascoltarti, se non ti fai sentire, magari urlando, resterai un nulla”.
Pensò. E pianse, prendendo in mano carta e penna.

Napoli, 25 febbraio 1999.

FANNY GARZYA

 

PER LA GIORNATA DELLE DONNE

La sua vita, lunga, intensa, vissuta.
Il suo sguardo, dolce, sereno, un po’ triste per quel velo di lacrime che a volte lo copriva.
L’andatura giovanile nonostante il peso degli anni.
Le mani, irruvidite dal lavoro domestico.
Non era alta, né bella; almeno non bellissima. Traspariva però, dal volto, quella bellezza che è dell’anima.
Aveva vissuto. E la sua vita era stata, nella banale e meschina quotidianità, dare se stessa agli altri.
I momenti di egoismo erano infantili capricci di donna. Quando, nello sconforto profondo, nell’incertezza del presente e dell’avvenire, scoppiava in lacrime come una bimba, si affidava alla forza rasserenante e ferma che le infondeva sua figlia.
Viveva nella consapevolezza di aver compiuto una scelta, da cui, nel bene e nel male, era impossibile scappare.
Lei ci aveva provato, una volta a fuggire. Ma era stato inutile. Non aveva potuto abbandonarlo. In fondo lo amava.
O, forse, per istinto di donna, semplicemente sapeva che lui aveva bisogno di lei.
Perché era solo. E soffriva.
C’era la gioia, dopo tutto. La gioia, per lei, era repentina e profonda come il dolore. E le infondeva coraggio, aiutandola a restare, nonostante i dubbi e il pensiero di aver sbagliato.
La sua vita era stata intensa, vissuta. Non aveva rimpianti.

Napoli, 4 marzo 1999.

FANNY GARZYA

Cara professoressa,
è passato più di un anno ormai dal mio addio al ginnasio, eppure…
Eppure in ogni momento in cui mi fermo a riflettere su un perché della mia vita o del mondo penso a Lei e a quei due anni in cui sono tanto cresciuta. E se, dalle cupe e tenebrose riflessioni pessimistiche di una ragazzetta tredicenne, che non vedeva null’altro davanti a sé che un uomo ormai perso nel suo “delirio d’onnipotenza” (proprio così scrivevo a tredici anni, pensi!), sono riuscita a diventare una diciassettenne illusa e convinta che, se il mondo non lo possiamo cambiare, possiamo almeno migliorare noi stessi, questo lo devo in parte a Lei. A Lei che, insieme alle lezioni di greco, latino e italiano, mi ha trasmesso che la coerenza è un’arma potentissima, che le proprie idee si difendono combattendo, prima che con i grandi gesti, nella quotidianità.
Contro l’omologazione, contro la banalità, operando, con una testa che ragioni, delle scelte motivate. Perché, almeno “coltivando il proprio giardino”, si può e si deve poter scegliere. Grazie. Di avermi insegnato a restare ingenua e stupita davanti alla cattiveria ed alla corruzione, a non sospettarle, a rimaner ancora scandalizzata. Perché non bisogna mai farsi corrompere dalla tentazione di un’effimera vittoria. Si deve riconoscere ciò che importa sul serio. Si deve capire quanto siano importanti il lavoro, la fatica, il dovere. Ma perché dico a Lei tutto questo, a Lei che me l’ha insegnato con l’esempio?
Le persone che incontriamo nel nostro cammino ci cambiano. E ce ne si accorge quando il divario rispetto al passato è forte (e si sente) e la delusione ed il disgusto crescono.
Cresce l’indignazione nell’accorgersi che, su piccola e grande scala, purtroppo ci si lamenta ad occhi semichiusi quando il male è comodo. Che gran film “I cento passi” ! E non perché vi si sventoli una bandiera rossa (colore di sangue, morte e dittatura), ma perché vi si propone un’alternativa ad un’omertà tanto difficile da estirpare. E nella penombra della notte in cui insonne Le scrivo, si ripensa a Don Abbondio, che fa capolino, con la sua papalina, dietro l’uscio della stanza. E ci dice malinconico che “uno il coraggio non se lo può dare”. E sia. Non condanniamo noi, che di “travi nell’occhio” ne abbiamo fin troppe. Ma siamo sempre pronti e mai rassegnati, teniamo gli occhi ben aperti e, finché possibile, evitiamo il compromesso. Per rimanere puri, nonostante tutto.
E vincere.
Grazie

FANNY GARZYA

(Articolo pubblicato in “LiberaMente”. Periodico d’informazione del Liceo Classico Statale “Jacopo Sannazaro”, Anno III-n. I- Marzo 2001, p.16)

 

FILUCCIO

Scroscianti piogge accompagnavano l’ingresso di un autunno rugginoso ed umido.

L’ultimo fine settimana di sereno, scorcio di un’estate interminabile e brevissima, era stato dolce come in una fiaba.
In realtà il tempo era trascorso, da giugno a settembre, in un sogno dai contorni confusi, e i colori nitidi di quei primi due giorni di ottobre stupivano, come carichi di promesse.
Nell’aria tersa, il profumo di legna bruciata riempiva le narici; senza scottare più, il sole scolpiva
il mare di intensi controluce.
Non sarebbe durato un tempo così: già si preparavano, nascosti chissà dove in quel momento, i fulmini dei giorni successivi.
Eppure non contava, perché quegli attimi erano intensi da sembrare eterni.

Avanzava svelto sul sentiero un vecchietto asciutto.
In una mano teneva, per compagnia, un nodoso bastone di legno; nell’altra, un cesto di vimini ricolmo di nocciòle e carrube.
Sul capo un berrettino, sul mento una barba non fitta, non lunga, bianca.
Era lo sguardo a colpire chi, anche di lontano, lo osservasse.
Tra gli alti zigomi e la fronte rugosa, gli occhietti vispi apparivano fermi e sicuri, luccicanti di gioia come l’erba rugiadosa.


Contadino da sempre, Filuccio viveva la fatica della terra con la leggerezza di un innamoramento e la fantasia di un poeta: un giorno, salvando un fico che non voleva saperne di venir su diritto e rischiava di soccombere alla gravità, gli aveva creato un pesante sostegno formato da una serie di ceppi di legno, legati tra loro da grossi pezzi di metallo, coronati da un cric per auto.
Su di una tale stravagante stampella aveva poi inchiodato un cartello bianco che chiedeva, sapido di un’ umiltà riottosa e diffidente: “Non giudicarmi male”.
Il fico era cresciuto, sfidando Newton e le sue leggi, con un rigoglio innaturale, d’amore puro, e svettava verso il cielo, carico di frutti e di gratitudine.

Quella sera, dopo aver innaffiato l’orto, Filuccio avrebbe cenato con un pezzo di pane e formaggio e qualche foglia di broccolo e, stanco, si sarebbe addormentato sulle lenzuola di bucato.
Il sonno di Filuccio era scuro scuro, un sonno vero, robusto.
Lo attendeva, l’indomani, una nuova giornata di lavoro.

Marina della Lobra, San Liberatore, 14 ottobre 2005.
FANNY GARZYA

Des pluies battantes accompagnaient l’arrivée d’un automne rouillé et humide.
La dernière fin de semaine de beau temps avait été douce comme dans un conte de fée, fin aussi d’un été interminable et brève. A vrai dire le temps s’était écoulé, depuis juin, dans un rêve aux contours confus, et les couleurs nettes de ces deux premiers jours d’octobre émerveillaient, comme chargées de promesses. Dans l’air limpide, le parfum de bois brûlé emplissait les narines; sans plus éblouir, le soleil sculptait la mer d’intenses contre- jours. Un temps pareil ne pouvait pas durer: cachées on ne sait où à ce moment là, les foudres des jours à venir se préparaient déjà.
Et pourtant ça ne faisait rien, parce que ces instants là étaient éternels par leur intensité.

S’avançait sur le chemin un petit vieux, sec et grand. Dans ses mains il tenait, pour compagnie, un noueux bâton en bois ; dans l’autre, un panier comblé de noisettes et de carroubes.
Sur sa tête un petit béret, sur son menton une barbe rare. C’était son regard qui frappait qui, même de loin, le regardât. Entre les pommettes saillantes et le front, ses petits yeux noirs et sûrs pétillaient de joie.

Paysan depuis toujours, Filuccio travaillait la terre avec la légèreté d’un amoureux et la fantaisie d’un poète : un jour, en sauvant un figuier qui ne voulait absolument pas se décider à grandir tout droit et succombait à la gravité, il lui avait créé un lourd soutien en bois et métal, surmonté par un cric de voiture. Sur une telle drôle de béquille il avait cloué un panneau qui demandait, sapide d’une humilité indocile et méfiante : ” Ne me juge pas mal “. Le figuier avait pu vivre enfin, en défiant Newton et ses lois, par une exubérance faite d’amour, et il pointait vers le ciel, chargé de fruits et léger de gratitude.

Ce soir, après avoir salué son potager, Filuccio dînerait avec un morceau de pain et de fromage et quelques feuilles de brocolis et, fatigué, s’endormirait de son sommeil robuste.

FANNY GARZYA

Grâce à l’association ” Telefono Azzurro “, j’ai eu la chance, pendant ma deuxième année d’études à Florence, d’avoir la permission judiciaire pour entrer tous les samedis dans la prison de Sollicciano.
Mon rôle était de faire sortir à l’extérieur de la prison et, le cas échéant, jouer, les enfants de 0 à 3 ans qui vivaient avec leurs mères détenues.

Le samedi matin il fallait se réveiller tôt, s’habiller vite, sortir.

La première fois que je l’ai vue, que j’y suis entrée, j’ai pensé, comme dans un rêve, que ce n’était pas si mal que ça.
Au fond, c’était tout blanc, lumineux…les grilles, on ne s’en apercevait presque pas.
Les barreaux bleu d’azur, ils se confondaient avec le reste.
Je ne me souviens pas exactement du labyrinthe à traverser pour arriver aux enfants.
Je sais seulement qu’il y avait beaucoup de contrôles, qui ne me dérangeaient pas, moi, si habituée à l’obéissance.
Et pourtant ils étaient là, illogiques comme tout.
On ne saurait pas expliquer l’irrationnel de la prison, si on ne le vit .
C’est un irrationnel évident, voulu, recherché, qui confond et bouleverse tout.
C’est le paradoxe érigé en système.
Son miroir déformant de notre monde extérieur, ce miroir si craint par nous, les autres, t’apprend à te connaître : ton chaos intérieur, ton manque de logique, tes peurs, tes fautes, tes prisons…
C’est si banal, sur le papier, et pourtant le vivre…
Eh ben non, le vivre pouvait être aussi bien banal, dans sa quotidienneté.
Sa folie, une fois absorbée, risquait d’être supportable, commode, même.
Ce monde bizarre, plein de cris et de souffrance, mais riche aussi de vie et d’espoir, je n’en réalisais l’extrême qu’en sortant, avec les enfants que je devais emmener au parc.
Mince, je pense à eux et je pleure. Ce n’est de la pitié, mais de la gratitude.

S., je l’ai revu cet été.
Ma colocataire de Florence travaille dans une maternelle. Entre autres, elle s’occupe de lui.
Je l’ai découvert lorsqu’elle m’a accueilli dans son nouvel appartement, pour que je prépare ma thèse.
Un soir comme les autres, en rentrant elle m’a conté sa journée: tout de suite, quand elle m’a parlé de ce sacripant noir aux grands yeux et au grand sommeil, petit comme tout, j’ai pensé à S. et à sa mère.
Et, naïve, j’ai désiré les revoir.
Je ne pensais qu’au désir de fuir mon angoisse…

C’était dans une banlieue, une autre, qu’il y avait l’école.
Pendant le trajet je pensais aux journées au parc, aux jeux ensemble, à son ami inséparable, Zaza, qu’il me nommait tout le temps, avec son drôle d’accent.
Et j’espérais qu’il me reconnaisse, qu’il me dise ” ciao ! “, même, peut-être, ” Grazie ! “

Qu’il avait grandi, pendant un an…Il jouait avec les autres enfants, il semblait heureux.. j’ai rêvé alors que la prison puisse ne pas laisser de traces, dans un enfant qui ne comprend pas.
Au fond, c’était tout simplement ” chez lui “.

Non, bien sûr, il ne m’a pas reconnue.
Seulement, quand je lui ai nommé Zaza, il a eu un soubresaut, son regard s’est fait sombre, il est parti en courant, toujours aussi beau, soudainement violent.

Bonne chance, ” cioccolatino “.

(2005)

FANNY GARZYA

 

Que je voudrais pouvoir m’éléver au-dessus de tout…
Oublier le présent, voler dans ma solitude vers le ciel. Ou avec quelqu’un, mais un prince, pas un menteur. Je suis déçue de la terre. Il faut toujours trouver l’énergie pour lutter.
Je ne sais pas si je suis capable de voler. Au fond de mon âme je sens que je pourrais tout faire, mais je me trouve dans la réalité qui est si lointaine de mes rêves.
Toi, qui peux partager avec moi la joie et la souffrance…où es-tu ? Je t’attends, mais je doute que tu arrives…
Peut-être ne suis-je qu’une Bovary : au moins, je ne me vends pas comme elle.
Ce n’est pas la fantaisie, qui gagne dans ce monde plein d’horreur et de froideur. C’est le numero qui sert. Je devrais être plus humble, mais enfin je ne suis pas capable de me juger.
L’idéal doit vaincre !! mais comment est-ce possible ?
Peut-être je me trompe quand je pense qu’il faut quand-même vivre comme ça.
Je déteste le compromis et je m’y adapte, mais est-ce juste ? Ne devrais-je plutôt suivre mon coeur et éviter le réel ?
Non, je sais qu’il faut quand-même rester et vivre et souffrir.
C’est dans cette contradiction que tout est renfermé. Mais briser tout et être heureux ne serait-il possible ? Est-ce que ça n’est consenti ? Qu’est-ce que ça pourrait signifier ?
Je ne veux pas me plaindre, mais rien n’est simple, après tout.

Mon rêve… Rêvons, oui. Pouvoir…
mais non, parce qu’enfin, même en se levant au dessus du monde entier, on n’est heureux qu’ un instant.

Paris, 2007.

FANNY GARZYA

NAPLES sur la terrasse

Je jouais au volley sur la terrasse de chez moi avec mon cousin de treize ans, son frère de 17 et un autre garçon, fils d’une femme qui vient de temps en temps dans mon immeuble (où habitent ma mère et mon père, mes grands- parents maternels, mon oncle et sa famille, des sœurs de mon grand- père…) couper les ongles des pieds de toute la famille.

Elle est au 8ème étage.
Il est dangereux de jouer, parce que, bien que la terrasse soit vraiment énorme, le risque subsiste toujours que le ballon tombe et qu’il écrase un passant.
Quand j’avais son âge, le ballon tombait systématiquement : une fois, ma sœur et moi avons failli tuer ma grande- mère qui rentrait des courses.

Comme d’habitude, après une demie heure de jeu, le ballon tombe.
Mes cousins, solidaires au moins dans cela, hurlent contre le fils de la podologue qui l’a lancé.

J’ai 24 ans, si je tue quelqu’un je vais en prison, je me dis mécaniquement.
On descend les escaliers.
Francesco ( 17 ans) s’abrite chez lui.
Avec peu d’enthousiasme, les deux autres me suivent chercher le ballon, qui est tombé dans la cour de l’immeuble d’à coté.
On aperçoit le ballon outre la grille.
Nino (14 ans), essaye de l’escalader, moi je lui crie de désister, qu’il va empirer les choses.
Beaucoup plus efficacement, mon cousin s’agrippe à ses caleçons (comme beaucoup de garçons de son âge ici, il a des jeans d’où sortent des caleçons griffés) et lui découvre en plein air son derrière.


Prédations urbaines
Fin d’après-midi sur la terrasse, Roberto (mon cousin de treize ans) aperçoit la squelette d’un pigeon.
” Fanny !- s’écrie- t-il- un autre pigeon dévoré ! “
” Dévoré par qui ? “
” Par une mouette .”
Je ris, mais j’ai un frisson dans le dos.
” Qu’est- ce que tu racontes ? On n’a jamais entendu un truc pareil ! Les mouettes mangent des poissons, pas les pigeons ! “
” Tu parles ! Ils deviennent de plus en plus agressifs [ j’ai découvert par la suite qu’ils ont même attaqué le copain de ma tante]. Ils sont en groupe, quand ils chassent. Ils ciblent un pigeon, ils l’encerclent et il le tuent en vol. “
Naples est pleine de leurs squelettes.

Peu de temps après, arrive ma meilleure copine, Giulia (une sœur pour moi) qui confirme tout ce que mon cousin vient d’affirmer.


Aversa
Depuis quelques mois, Giulia sort avec Oreste (qui s’appelle en réalité Bartolomeo, et que j’appelle de préférence Baldassarre).
Oreste habite près de Naples, à l’endroit où sont traditionnellement fabriquées les mozzarelle.
Dès que je le découvre, je le surligne, mais Giulia, amèrement, me répond : ” Si tu savais ! Ces terres sont tellement polluées que la mozzarella est toxique. “
Un petit nœud se forme dans mon estomac.
La mozzarella acquit ici une sacralité symbolique.

Elle me propose de sortir avec eux, un soir.
J’accepte volontiers : désirant le connaître, je suis aussi attirée par l’idée sortir en banlieue (exactement un de ces endroits ” dangereux ” qui m’intriguent), ce que je n’ai presque jamais fait.

On monte sur le train et on arrive à la gare, où il nous attend en voiture. Il a un air gentil…je le submerge de questions sur sa ville.
Quand Giulia a annoncé à son père qu’elle sortait avec un garçon d’Aversa, sa réponse a été : ” Ils sont tous des camorristi, là- bas. “

En nous conduisant vers Giuliano, la petite ville où l’on devait aller, Oreste nous a un peu décrit l’endroit où il vit.
Outre des contes de banlieue, qui sont peut- être les mêmes dans toutes les banlieues du monde, il y avait autre chose.

Premier duché normand, Aversa a une histoire ancienne, le centre historique garde encore des bâtiments intéressants.
Et pourtant.

Il n’y a plus un brin d’herbe. Partout, campent des constructions bâties de manière abusive.
Près d’une base militaire américaine, à Aversa il y a beaucoup de soldats américains qui louent de habitations – sur le modèle des kitchs villas californiennes-, sans pour autant se mêler à la population locale (il est vrai, il est difficile de distinguer les maisons des camorristi de celles des gringos).

Aversa est submergée par les ordures. Littéralement.
Non seulement les décharges abusives, mais les déchets toxiques que la camorra importe de l’extérieur…
Les gens s’habituent aux ordures, ils cohabitent pacifiquement avec.
Si l’Etat essaye d’imposer une décharge légale, c’est la révolte.
Naples est sous commissariamento (administration d’urgence) depuis longtemps pour ça, mais rien ne bouge vraiment.
La place de la gare est tellement sale que l’on a l’impression (je me corrige, c’est bien plus qu’une impression) de marcher sur un tapis d’ordures.

**
L’autre jour je me suis indignée (je m’indigne très bien, moi) contre un garçon qui a jeté un morceau de pizza, son papier et son coca par terre.
J’ai méchamment commencé à le guetter dès le début de son repas…et quand il l’a fait je me suis exclamée pleine de rage: ” Que fais- tu ? N’as-tu donc pas honte ? Ne vois pas tu que l’on vit dans les ordures ? “. Il s’est levé, il a roté sur mon visage et il est parti.
J’ai recueilli le papier et un homme, avec un air complice, m’a chuchoté : ” Cette femme qui était à coté du gars, elle a dit être d’accord avec lui .”

**

Naturellement, Baldassarre lutte comme il peut contre la camorra, qui, avant d’être une organisation criminelle, est une mentalité.
Il joue dans deux groupes de musique, dont l’un a été sélectionné pour une importante manifestation de rock (l’Arezzo Wave).
Il étudie des lettres.
Il est actif, il bouge : il est même candidat aux élections municipales.
En sachant tout ça par Giulia, je lui ai tout de suite demandé comment va- t-il s’en sortir…la camorra est de partout, mais d’autant plus là où le pouvoir est géré.

Tu me connais pas mal…je m’attendais à qu’il me parle de lutte, de combat frontal…
Il m’a parlé de compromis nécessaires et inévitables, si l’on veut que les choses avancent.
Du coup, j’ai senti soudainement contre mes épaules la force contre laquelle on agit ici chaque fois que l’on veut faire bouger les choses.

Si je suis partie, c’est probablement aussi parce que je n’avais pas assez d’énergie pour lutter frontalement, et que je n’avais pas envie de me plier.

Ne maitrisant pas les mots de la physique (j’aimerais bien que tu m’explique un peu…), je ne peux te dire s’il s’agit d’inertie, de gravité ou d’entropie : à partir des vagues souvenirs de ces notions que j’ai pu garder, je dirai que comme dans le cas de l’inertie, il y a une force de résistance au changement ; t’es attiré inévitablement vers le bas par une étrange gravité ; t’es poussé vers un désordre entropique.
Jamais comme cette fois, je n’ai senti la puissance de cette sensation.
Je vis ici comme dans un rêve où tout est feutré.

T’es obligé à t’adapter ou à lutter (et cette fois, je n’en avais vraiment pas la force…je suis tombée malade).
La seule puissance qui reste transversale, universelle et plus puissante qu’elle est l’amour.
Et ici il y en a tant, qui sort des situations les plus incongrues, et te sauve de l’abîme.

***

On est arrivé.
On gare la voiture.
On est dans une petite ruelle noire, on croise un groupe d’hommes, dont un, âgé, avec des lunettes de soleil et une énorme chaîne en or sur la poitrine poilue.

La place du village est blindée de monde, la foule qui se presse autour de l’estrade et d’un stand qui sert gratuitement du vin et de la pasta e fagioli (haricots) – pas mal du tout-.

J’entre dans un bar pour faire pipi, la porte des toilettes n’était pas fermée, mais il y a un homme de dos.
Je sors mal à l’aise et je demande à Giulia de venir avec moi.
Je ne peux te décrire la puanteur, ni l’état dégoutant du pavé.
Pourtant, je ne suis pas quelqu’un de chipoteur.


Sur la place, le présentateur crie.
Il appelle, une à la fois, les paranze.
Un énorme chariot plein de couleurs, trainé par un tracteur agricole, fait son apparition sur la place avec une musique enregistrée, abasourdissante.
Derrière le chariot, un dessein de la Vierge.
Beaucoup de gros gens (l’obésité chez moi est très fréquente) en sortent, ils montent sur les planches et commencent à jouer et danser une musique ancienne.
A partir de l’Inquisition, cette danse lascive est devenue une danse d’hommes.
Aujourd’hui il y a très peu de femmes qui la dansent, entre elles.
Deux hommes sautillent en croisant de temps en temps les jambes (ou bien deux par deux, ou bien il y en a un qui serre fort entre ses cuisses la jambe de l’autre, pendant qu’ils continuent de sauter de manière circulaire) en démenant les bras avec des castagnettes.
Il y a des enfants qui dansent, aussi, c’est eux les meilleurs. En petit singe, il y en a un qui se grappille littéralement sur l’autre (tout en continuant sa danse des bras), les jambes croisées sur le dos de son copain, qui lui aussi n’arrête de danser.

Beaucoup de paranze se sont succédées..puis, finalement (c’était un jour férié) tout s’est acquiescé.

(iniziato a scrivere il 19 aprile 2007)

FANNY GARZYA

______________________________________________________________

” Eviva los estudiantes, porque son la levadura… “

Bonjour.
Aujourd’hui, en me levant, je te chante, frère, ma souffrance et ma joie.
C’est de l’amour que j’éprouve, je sais, mais je ne sais pas bien l’exprimer.

J’ai envie de remercier le ciel sur ma tête, les sourires des gens, la musique dans une rue, l’ennui, la fatigue, la poésie du quotidien.
Vivre ma vie pleinement, c’est mon aspiration.

Je ne veux oublier la douleur, j’ai la présomption que l’on puisse la vaincre, et sans recourir aux pilules.
Pour moi, toute la complexité de l’univers succombe devant l’amour, le vrai.
C’est ce que je ressens, j’ose donc le crier, dans sa simplicité.

Je crie que je voudrais bien ouvrir mes yeux sur le monde, puisque je vis.
Je crie que je veux bien être ” critique “, mais sans jamais éviter de ” salir mes mains “, en agissant selon ma conscience.
Je crie qu’on peut être libres, même dans la contingence.
Je crie enfin que moi, riche de tout, j’ai le droit et le devoir d’être heureuse.

Le droit, quel pouvoir entre les mains de jeunes étudiants qui bâtissent l’Europe !
Il me fait peur, il faut quand -même que je le vive…
Et bien ce droit que j’observe d’un œil méfiant, c’est à moi de le rendre vrai, de lui permettre de me transformer et de transformer profondément le réel…

La règle, quelle cage…
La règle, quel refuge…
Et ben non, j’ose te dire: notre règle, quel beau risque !

Je ne crois pas en des révolutions qui ” changent tout pour que rien ne change “.
La solution, j’en suis sure, c’est d’accepter enfin, avec toute notre rationalité, qu’un refuge autre qu’un cœur ouvert n’est qu’une barrière pour être heureux.

Non, je n’ai pas été rationnelle.
Je n’ai pas réussi à brider mes sensations avec un beau schéma.
J’aurais eu sûrement plus de chances de convaincre…Et pourtant ce n’était pas mon but.
Pour convaincre, il faut penser que sa vérité soit la vérité, et je ne le pense pas ; il faut souvent violer, et je voudrais te respecter.
Je te salue, donc, et je m’en vais, gaiement, sur mon chemin de ” mauvaise herbe “.

Paris, 2007.

FANNY GARZYA

 

ALCUNE LETTERE DI FANNY GARZYA

Caro mondo,
sono 18 anni ormai che vivo su di te, eppure ti conosco ancora così poco! A volte mi sembra di essere cresciuta su un altro pianeta, altre volte mi rendo conto di essere ancora tanto bambina, È che mi basta poco per divertirmi, che mi stupisco facilmente, che non capisco la cattiveria.
Eppure quanto spesso son cattiva io, anche senza volerlo! Quanto critico, giudico, pur sapendo che non dovrei! E quante volte addirittura mi scopro a compiacermi della mia malignità! In fondo è umano.
L’importante è essere coscienti delle proprie debolezze, provare a porvi rimedio. Divago, però
Caro mondo,
volevo dirti che mi ritengo tanto fortunata. Perché ho avuto la possibilità di incontrare nel mio breve cammino delle persone eccezionali che, senza provare invano (perché poi?!) a rendermi perfetta mi hanno educata e aiutata a crescere.
Sono cresciuta e cambiata con le esperienze che ho vissute, con la strada percorsa. Strada fatta da sola, tanto spesso, correndo a più non posso e lasciando gli altri dietro, strada, altre volte, percorsa mano nella mano con amici sinceri. È dura andar piano, costa fatica!
Eppure è bello gustare il sentiero, il paesaggio, la fatica. Viverli con dei compagni di viaggio.
È doloroso scoprire il male, quello nero nero che non è imperfezione del bene, ma è tenebra oscura.
È doloroso e incomprensibile, quel MALE lì. E poi si insinua…Bheah! Non ho mai amato la NORMALITÁ.
È sempre stata una parola che mi ha fatto molta paura.
È bello non essere NORMALI…piatti, grigi, conformisti, ignavi.
È bello VIVERE combattendo battaglie inutili e pazze, ma giuste, che facciano diventare più maturi, ma non barbosi.

Napoli, 27 febbraio 2001.

FANNY GARZYA

______________________________________________

(Lettera di Fanny a se stessa)

Cara Fanny,
è difficile dirti a cosa sei chiamata, perché in realtà quassù non lo sappiamo bene neanche noi…
Si discute, si discute, ma di te non si riesce proprio a decidere cosa farne…
Per adesso continua per la strada che hai intrapresa, cerca di fare di te stessa una persona forte, equilibrata, eppure pronta a mettere in discussione la sua forza e il suo equilibrio.
Cerca di imparare ad affrontare il dolore senza fuggire, ma con cuore saldo, sostenendo chi ti è vicino, ma senza annullarti. Non sei ancora pronta alle grandi cose che ci aspettiamo da te, e, benché qualche volte ti sia umanamente necessario, non smettere mai di tendere, con sguardo aperto a 360° sul mondo, verso quell’ideale a cui tieni tanto.
Per adesso quel che puoi fare è studiare tanto e dare tutto quello che puoi, ma anche continuare il servizio (quello “curricolare” e quello quotidiano, l’attenzione verso chi ti è accanto! ) ,senza dimenticare l’umiltà.
Impara ad affrontare la cattiveria che c’è dentro di te, a conoscerla, a conviverci e a vincerla, lasciandola sfogare in modo costruttivo. Non far finta di non vederla per poi implodere o esplodere facendo del male a te e agli altri. Fanny non dimenticare la tua famiglia, ha bisogno di te, perché sta male e nemmeno lo sa a volte.
Impara a non pretendere di cambiare gli altri secondo il tuo opinabilissimo metro, ma ad ascoltarli e ad accettarli per come sono, anche se questo ti fa soffrire.
Fanny, impara a rilassarti, ad amare e a costruire la pace con chi ti circonda.
Impara a non sentirti al centro del mondo, ma a valorizzare i tuoi talenti per gli altri.
Credo che poi la tua vocazione ti si svelerà pian piano, non puoi leggerla tutta adesso.
L’importante è che tu non tradisca mai te stessa, la Fanny migliore che puoi essere, prendendo una strada troppo semplice per pigrizia o presunzione. La strada giusta è quella che trovi, CON GLI ALTRI, ASCOLTANDO ed ASCOLTANDOTI. È la strada che, anche se con le curve degli sbagli può portarti a sbandare, è accompagnata da tanta fede. Fanny, impara a pregare, ad impostare la tua vita sui valori in cui credi, senza ipocrisia.
Non aver paura di sbagliare. O meglio, impara a non aver paura.
L’importante non è NON FARE ERRORE, ma fermarsi a capire perché li si è fatti, e cercare di ritrovare il sentiero, senza cedere alla tentazione di addentrarsi nel bosco.
E se ci cadi dentro, per colpa tua o per la vita, allora credi.
È l’unica soluzione.
Abbi fede e il coraggio di chiedere aiuto a chi ti è accanto.

(Firenze, 2002-2003).

FANNY GARZYA

______________________________________________

Firenze, 6/02/04

Caro papà,
questa lettera doveva essere il mio “regalo di Natale”, ma non importa!
Sai, sono proprio una ragazza fortunata. Ho tanto più di quanto realmente necessiti…Oggi mi sento serena, soddisfatta di me e delle scelte che sto facendo…non è sempre così. Crescere per me significa portarmi dentro tanti dubbi, incertezze, paure…e la forza per affrontarle me la dà il confronto continuo con gli altri e con me stessa. Percorrere la strada più difficile e viverla umilmente con fatica,…è questo che voglio. Non ho certezze, ma a volte, come ora, sento una gran forza che mi sostiene, vedo una luce forte a cui tendere. E allora faccio un respiro profondo e mi immergo nella vita.
Grazie. Grazie per tutto l’amore che mi hai dato, per i sacrifici che hai fatto per me.
Grazie per gli incoraggiamenti, per la fiducia che hai riposto in me. Grazie per essere stato PADRE quando ne avevo bisogno.
Grazie anche per l’ironia, per la leggerezza. Quante volte il voler vivere in profondità mi fa sentire oppressa dal quotidiano, senza speranza…È solo l’ironia, è solo lo sdrammatizzare che impedisce di andare a fondo.
E la fede, sì. Non una fede assoluta, totalizzante – forse a volte la vorrei per sentirmi piena, ma credo che non sarebbe umano sopportarne il peso… – ma una fede disposta, aperta al dialogo e al confronto con la diversità… È a questo che aspiro. Mi dispiace se spesso ti tratto male, se non riesco a dimostrarti il mio affetto come vorrei. Spero di migliorare, col tempo…

Caro papà, mi raccomando…!
Ti voglio bene,
Fanny

______________________________________________

Caro papà,
adesso me ne parto di nuovo. Mi dispiace tanto per come abbiamo vissuto questo periodo. Non ci siamo capiti affatto.

Coraggio, pippo, per le prove che ti aspettano. Per l’operazione, per la mostra, per la scuola, per la famiglia.

Grazie, pippo, per avermi trasmesso tanto.
La voglia di avventura, di mettersi alla prova, di non accontentarsi. Quello che vorrei trasmetterti io è la speranza, una speranza da spendere al presente.
Vorrei comunicarti anche l’idea che possiamo non far dipendere la gioia da circostanze esteriori, ma trovare una serenità che resti solida, ma aperta, di fronte alla vita.

Pippo, MI RACCOMANDO!
Sii felice, perché ne vale la pena, per te e per gli altri.
Ricorda che l’entusiasmo crea entusiasmo, che l’amore fa nascere amore.
Non pretendo che questa sia “la” verità, ti parlo col cuore.

Buon cammino, papà.
Ti affido la mamma e Maguy, i miei tesori più grandi.
VI VOGLIO BENE
Fanny

NON INCIAMPARE SULL’AVVENIRE – DARE UNA DIMENSIONE VERTICALE ALLE PROPRIE CONFUSIONI

Napoli, 20.09.2006.


______________________________________________

Ciao Stéphane,
come al solito vita movimentata ( sono stata per un po’ a Firenze per motivi di studio; poi influenzaccia …), che tenta di giustificare il ritardo nella risposta.
Per il resto, breve il riassunto del mio percorso: dopo due anni a Firenze, sono andata a Parigi con un programma di scambio organizzato con la Sorbona; poi l’anno scorso sono passata ad Assas per un M2 in droits de l’homme et droit International humanitaire.
Inutile dire che con Parigi ho realizzato un sogno di bambina… certo mi sono resa conto che quello che amavo di più della cultura francese erano gli autori che criticavano la società parigina, ma a parte l’impatto difficile, col tempo ho potuto integrarmi non male.
Per quanto ami la Francia, resto però una sognatrice, e il mio sogno adesso è di riuscire a lavorare nell’ambito della cooperazione internazionale, sul terreno di un progetto con un Paese in via di sviluppo e poi, magari, nelle situazioni di emergenza. Per adesso mi sembra qualcosa di vago come un tempo lo era l’idea di raggiungere Parigi; so che non sarà facile e mi rendo conto che non è “la” strada giusta, ma è senza dubbio quella che in questo momento, d’istinto, sento come quella a me più congeniale.
Nel mio percorso con Firenze era prevista la stesura di una tesi: nonostante l’idea di tornare a Napoli mi spaventasse a morte, ho deciso di tornarci per finire il mio percorso universitario, fare i conti con me stessa e chiarire i miei dubbi.
A Parigi se non corri riesci difficilmente a “stare dentro l’ingranaggio” e io ero stanca: in un periodo di confusione, non mi andava di correre alla cieca. Non mi pento della scelta che ho fatto e mi piace essere al 100% là dove sono chiamata a stare; certo, Parigi mi manca tanto e Napoli – e il fatto di tornare in famiglia connesso- non è facile. Però almeno non ho una visione falsata del dove sono arrivata e mi scontro con delle difficoltà meno metafisiche, ma forse più reali ( come la scuola guida, ad esempio). Se fossi rimasta lassù adesso, probabilmente avrei perso per la via quella me stessa che aveva tanto faticato per arrivarci: Parigi per me non è soltanto un luogo, ma un sogno realizzato, il rendere vicino quello che sembrava impossibile e distante. E adesso il mio sogno è il come vorrei diventare, più che il dove stare!
Bon, con tutti i dubbi e le incertezze che traspaiono poco, questo è all’incirca il mio stato attuale.
A presto, spero, e tanti auguri perché le feste, laiche o meno, siano per te un momento di pace.
Fanny

Napoli, 19 dicembre 2007.

 

Dodici testimonianze, tra le tante, su mia figlia Fanny, tragicamente scomparsa il 6 febbraio 2008 a Castel Volturno.

FANNY, STUDENTESSA MODELLO CHE VOLEVA CAMBIARE IL MONDO.

La laurea in Legge, i viaggi a Parigi e l’impegno nel sociale.

NAPOLI Fanny aveva venticinque anni e tante cose da fare. E non perché era la prima della classe, ma perché lei ci credeva davvero quando diceva che il mondo si può cambiare. E non come la maggior parte delle persone che poi lo fanno solo dicendolo. Forse per questo agli scout la chiamavano la ‘foca ingenua’. Tutta la sua vita era un mosaico per gli altri: le lezioni ai compagni di classe, gli scout, la bottega del commercio equo e solidale. Dove il quadro finale la vedeva avvocato per le cause umanitarie. Fino a quella notte quando un pirata della strada l’ha portata via. E da due giorni nessuno piange per lei, ma per se stesso. Perché tutti quelli che la conoscevano come ha detto una delle sue amiche più care sapevano che lei era in pace con la vita. Un privilegio concesso a pochi. Al primo impatto era ‘Fanny la secchiona’. Ma lei non lasciava il tempo di lasciarlo credere a lungo. Non lasciava il tempo di fermarsi ai suoi occhiali ‘da piccolo genio’, al suo francese perfetto migliorato all’Istituto Grenoble che a volte imbarazzava addirittura i prof del liceo, alle giornate intere che passava nella biblioteca di Firenze dove seguiva l’Università di Giurisprudenza, ai suoi fine settimana trascorsi tante volte a passeggiare lungo il ‘Sentiero degli dei’. Né ti lasciava il tempo di ‘odiarla’ solo perché non ti passava le versioni di latino e greco durante il compito in classe al liceo ‘Jacopo Sannazzaro’. Per il semplice fatto che lei preferiva invitarti a casa sua e restare fino a tarda sera con i compagni ‘in difficoltà’, fin a quando non aveva spiegato tutte le declinazioni, i verbi per farti passare da solo quel compito. Non riusciva a concepire un modo diverso di fare. Era il suo modo unico di essere in controtendenza, mentre tutti pensavano che invece fosse fuori dal mondo solo perché non le piaceva andare in discoteca, non metteva le mini come tutte e leggeva quella montagna di libri. I suoi amici scherzando le dicevano che così ‘viveva poco’. E invece è stata la prima ad andare a vivere da sola in un’altra città, Firenze dove le compagne di stanza e chi la andava a trovare la prendevano in giro perché faceva una raccolta differenziata inverosimile, esagerata. E dove in frigo non aveva nessun prodotto targato da qualche multinazionale. La parete del letto piena di foto, di posti che aveva visto, di persone che aveva incontrato. Tante, tantissime. Poi a Parigi, dove aveva fatto i suoi ultimi tre anni di Università come prevedeva il suo percorso di studi ‘speciale’. Dopo la laurea in Francia stava studiando tra Napoli e Firenze per quella in Italia. E quando tornava a Napoli, rivedeva il suo gruppo storico: una pizza o le feste in terrazza come ai tempi del liceo. Ed è su quella terrazza del corso Vittorio Emanuele che la ricorderemo tutti, o su quella bicicletta mentre va all’Università. Con mille cose nella borsa e mille cose da fare.

MARINA CAPPITTI
(Articolo pubblicato il 7 febbraio 2008, in “Cronache di Napoli”)

______________________________________________

Fanny Garzya, nel giorno del suo compleanno (Parigi, 16 marzo 2005)

7 febbraio 2008.

Cari Paola e Giacomo,
con le lacrime agli occhi ed il nodo alla gola vi scrivo alcune righe che mi permetteranno di condividere con voi le emozioni, sensazioni e pensieri che mi assalgono da quando la nostra cara Fanny ci ha lasciato per salire al cielo, portando con sé un pezzo del mio cuore. La mia mente è talmente affollata di ricordi che non so da dove cominciare.
Ho conosciuto la mia Fanny cinque anni fa, eppure mi sembrava di conoscerla da una vita. Il rapporto che ci legava era talmente forte che io non l’ho mai considerata come un’amica, bensì come una sorella. Seppur caratterialmente diverse, ci siamo sempre completate a vicenda e sostenute reciprocamente.
Il percorso di studi in Francia ci ha messo a dura prova unendoci ancora di più. Ci siamo aperte l’una all’altra, ci siamo raccontate le nostre vite, le nostre esperienze senza più maschere arrivando al punto di leggersi negli occhi, di prevedere le mosse l’una dell’altra.
Abbiamo costruito un vero e proprio rapporto basato sul rispetto, sulla fiducia, sulla lealtà, sull’amore…ed in tutto questo Fanny era maestra e mi ha trasmesso tutto. È stata la mia maestra di vita. Non avevo mai incontrato prima di lei una persona in grado di emanare così tanto calore umano, tanta bontà, tanto amore in un modo così spontaneo, naturale, puro e, perché no, impacciato.
Da quando ci siamo lasciate a Parigi lei ha continuato ad essere sempre vicino a me: ogni occasione è buona per richiamarmela alla mente.
La natura, che Fanny apprezzava e rispettava restando attratta dalle sue bellezze, le ricette che adorava cucinare, le canzoni che cantava a squarciagola al mattino andando all’Università o sotto la doccia, l’amore che nutriva per la sua città, i libri che “divorava” in pochi giorni, i suoi modi di dire che sono entrati a far parte del mio linguaggio, la sua voglia di aiutare gli altri, i bisognosi, gli emarginati senza condizioni ma con un amore infinito.
Il nostro incontrarci a Firenze era l’occasione buona per “rimetterci in pari”, per scavalcare in un giorno tutto ciò che ci aveva separato per mesi, riaggiornandoci, immaginando così di non essere mai state lontane.
Le nostre chiacchierate lunghissime erano interminabili, si spaziava da un argomento all’altro ignorando tutto e tutti.
Fanny è qui, qui con me, al mio fianco, mi aiuterà dall’alto, vive in ogni cosa che faccio, mi sosterrà come ha sempre fatto ed io pregherò per lei.
Nel nostro soggiorno parigino ci eravamo molto aggrappate alla fede: è lei che ci ha sostenute, è lei che ci ha dato la forza di andare avanti, ci ha guidate.
Tanto che Fanny ha manifestato la sua intenzione di cresimarsi chiedendomi di farle da madrina. Ricordo ancora la sera in cui mi chiese di diventare sua madrina: ero emozionata e non mi sentivo all’altezza di un tale compito. Lei era contentissima!
Sono stati tanti i momenti di preghiera che abbiamo condiviso: il ritiro spirituale in Bretagna, le serate di meditazione all’Aumônerie, le letture di passi del Vangelo nel nostro appartamento di Rue Guy de la Brosse, la messa domenicale.
Tornata in Italia consigliai a Fanny di pregare recitando il Santo Rosario e lei mi rispose che non sapeva come fare: colsi l’occasione per inviarle un libro di preghiere ed una corona del Rosario. Inutile raccontarvi il suo entusiasmo!
In questo momento il Rosario torna ad assumere tutta la sua importanza: è la mia ancora di salvezza, il tramite tra me e Fanny. È dura abbandonarsi alla volontà di Dio ma è l’unica cosa che dobbiamo fare per riuscire a trasformare il nostro dolore in qualcosa di prezioso per Fanny; la preghiera.
Secondo il saggio QOHÈLET [3;1] ” per tutto c’è il suo momento, un tempo per ogni cosa sotto il cielo:
tempo di nascere, tempo di morire
tempo di piantare, tempo di sradicare
tempo di uccidere, tempo di curare
tempo di demolire, tempo di costruire
tempo di piangere, tempo di ridere
tempo di lutto, tempo di allegria
tempo di gettare, tempo di raccogliere (…)”.
Solo il Padre determina questi tempi: questa è la volontà del Padre ed io pregherò confidando in lui e chiedendogli di donarmi uno spirito di abbandono tale da poter accettare le cose che non si possono cambiare.
Cara Paola, caro Giacomo vi sono molto vicina e insieme dobbiamo riuscire a farci forza per continuare il nostro cammino di vita proprio come ci spronerebbe a fare Fanny, senza demordere, con lei che ci sorveglia dall’alto.

Un abbraccio forte, Melania.


______________________________________________

7 febbraio 2008.

Carissimi genitori di Fanny,
Carissima Maguy,

Sono in partenza per Amsterdam, dove avevo programmato da tempo di andare per un convegno sull’argomento della mia Tesi. Purtroppo non potrò partecipare, quindi, ai funerali di oggi pomeriggio.
Sono stata molto in crisi, non sapevo se partire lo stesso o annullare il viaggio… Ma poi ho pensato a Fanny, che in questo momento mi avrebbe detto di non preoccuparmi per lei, di godermi questa esperienza, con la promessa di raccontarle tutto nei minimi dettagli!
Sono in aeroporto, ancora frastornata.
Questo viaggio lo dedico a Fanny, viaggiatrice curiosa, entusiasta ed instancabile.
Vi penso tantissimo e non riuscendo a farlo di persona ho pensato di dirvelo con una lettera, come piaceva a Fanny. Il colpo è stato enorme, e se noi ci sentiamo svuotati da questo destino inspiegabile, non oso immaginare come vi sentiate voi…

Volevo soltanto dirvi “grazie” per la vita di Fanny.
La sua capacità di ragionare, in modo chiaro e logico, la sua voglia di andare a fondo in ogni cosa, la sua immensa cultura mi hanno attratto dal primo giorno in cui l’ho conosciuta più da vicino, in quarto ginnasio. La sua fama la precedeva, ma io non immaginavo ancora cosa si nascondesse dietro i suoi libri, le sue passioni e la sua inconfondibile “erre alla francese”.
E’ stato soltanto anno dopo anno, giorno dopo giorno, che ho scoperto chi è Fanny. E’ con il tempo, aspettando la funicolare ogni mattina, stupendoci insieme della bellezza del mondo in una giornata di sole, pensando alla fatica degli uomini per sanare alcune delle contraddizioni di questo mondo, che ho scoperto chi fosse veramente.
Una persona speciale, che in un tempo breve e intenso, ha seminato tantissimo. Una persona che aveva scoperto di non accontentarsi della sua cultura per sentirsi realizzata ma che sentiva dentro di sé che niente aveva senso se non passava per il rapporto con gli altri, per la condivisione quotidiana, per l’immedesimazione con gli emarginati, per l’impegno concreto dentro la storia.
Ricordo i nostri discorsi su “Terre des hommes” di Saint-Exupéry di cui lei era innamorata negli anni del Liceo, quando la sua consapevolezza di dover fare qualcosa di concreto per il mondo si mescolava con i miei desideri ancora acerbi. Ma ricordo anche il suo sguardo felice e fiero quando, negli ultimi anni, abbiamo scoperto nell’impegno concreto in Associazioni e ONG un percorso comune, anche se a chilometri di distanza.
Ricordo infine il giorno del mio compleanno, pochi mesi fa, quando Fanny ha bussato esitante alla mia porta, con un pacco di cioccolatini buonissimi. Io la credevo ancora a Parigi e invece lei, sapendo del mio compleanno, ne aveva approfittato per farmi una sorpresa! Quella sera, c’era però un pensiero che la rabbuiava. Era amareggiata per un episodio, un’ingiustizia a cui aveva assistito sul treno di ritorno da Parigi e che voleva raccontarmi, sapendo anche della mia collaborazione con alcuni giornali. Ma poi, distratte da De André, abbiamo lasciato a metà quel discorso. Non abbiamo più avuto occasione di riprenderlo, e questo mi amareggia tanto in questi giorni…
Non c’è stato tempo.
Per noi, di finire quel discorso.
Per lei, di realizzare i suoi progetti.

Tutti noi vedevamo per Fanny un futuro grandioso (che lei avrebbe ridimensionato con la solita modestia!). La immaginavamo tra qualche anno ai vertici dell’ONU, dell’UNHCR, a lottare per gli oppressi. Ce lo siamo detti tanto tra noi in questi giorni. Non riesco a non pensare che Fanny non abbia fatto in tempo a portare a compimento il suo progetto, a non vedere i frutti di tanti anni di studio attento e di fatica. E che non sia riuscita neanche a pubblicare in un libro le sue idee rivoluzionarie e dirompenti.
Sono sicura però che tra le sue carte sia rimasto qualcosa, qualche traccia scritta della persona stupenda che è stata.
Il suo ricordo resterà indelebile e inconfondibile in ognuno di noi…ma nel caso troviate la forza, il coraggio, la voglia per farlo, sappiate che molti di noi sarebbero felici di poter leggere qualcosa di Fanny, in modo da poter continuare a condividere con lei gli ideali in cui ha creduto, con fede, profondità e coraggio.
Sono sicura che le sue parole, la sua cultura e la sua sensibilità, riusciranno a farci capire un giorno il senso di tutto questo…
A Maguy, che in cerchio sul terrazzo ci chiedeva di ricordare tutti gli episodi più buffi e divertenti della mitica Fanny, volevo dire grazie per essere riuscita a ricreare, anche così a caldo, l’atmosfera che le sarebbe piaciuta, così spontanea e informale, autoironica e autentica. Continueremo sempre a ridere di lei e con lei!
Vi lascio con una frase di Saint-Exupéry, che dice “Ce qui donne un sens à la vie, donne un sens à la mort”.
E cerco di crederci veramente, come farebbe Fanny.

Vi abbraccio,

Elisabetta

______________________________________________

Da Limone (soprannome di Simona)

Ho conosciuto Fanny in viaggio, a Salina abbiamo ricordato insieme quell’estate la scorsa settimana…quante passeggiate per “acchiappare” albe e tramonti, quanta energia in quelle salite ripide, la pace nel silenzio dei nostri passi vicini…quanta gioia nelle nostre chiacchiere sotto gli ulivi. Per non parlare delle mega abbuffate serali…di quante stelle abbiamo visto cadere su un’isola priva di luci…e le canzoni di Battisti che cantavamo alla fine di un sentiero, prima di tuffarci in mare…il meraviglioso pane cunzato pieno di melanzane, olive, ricotta, pomodori secchi, capperi, olio…o la faccia di Fanny che fissa le nostre granite ai frutti di bosco pentendosi di essersi tristemente imposta una dieta (che non rispettava)…o la sua ricerca affannosa di una “Pro loco” o il suo gridare ad una barca:”scusino ma loro hanno dell’acqua???” e sentir rispondere :”ma loro chi???”…e i lunghissimi tragitti in autobus…gli autostop…il temporale improvviso che ci ha travolte a Stromboli facendoci abbandonare l’idea di dormire in spiaggia…il suo modo assurdo di fare i conti…i films tristissimi che proiettavano in piazza…le sere alla ricerca “disperata” di giovani nell’isola delle coppiette…i dolci artigianali…le chiacchiere amichevoli con gli isolani…lo spettacolo della spiaggia di Pollara che al tramonto si tinge di rosso…

Febbraio, 2008.

______________________________________________

9/02/2008

Fanna!!
Fanny, ti rivedo ancora che mi guardi con quella bocca serrata in una smorfia perplessa, e quegli occhioni dilatati fissi sulla mia faccia, pensosi, scrutatori. Eri la più attenta ascoltatrice che esistesse, nulla ti sfuggiva, ogni cosa detta la catturavi subito e la interpretavi secondo il tuo criterio saggio e giudizioso, era impossibile non finire a parlare con te di argomenti impegnati e discorsi profondi. Con te non si scampava. Eri prontissima a lanciare in campo tutte le tue convinzioni e i tuoi principi per insegnarmi che tutti possiamo fare piccole grandi cose per il mondo, per gli altri. Traspariva subito che tu ti fossi imposta una missione, nella tua vita: dedicarti completamente agli altri. Riuscivi a partecipare pienamente alle gioie o ai dolori, piccoli o grandi, di chiunque ti stesse vicino. Anche se quel chiunque era una persona conosciuta da poco, non avevi problemi a dispensargli subito saggi consigli e a trasmettergli tutto l’affetto e la positività di cui disponevi. È così che hai fatto con me. Ci conosciamo da più di di dieci anni, ma è solo nell’ultimo anno e mezzo che abbiamo davvero stretto un legame che inevitabilmente tu riesci a stringere con chiunque passi un po’ di tempo con te. Come si può non volerti bene? Come si può non amare il tuo semplice candore con cui ti rapporti alla vita e agli altri, ma allo stesso tempo anche l’impressionante forza d’animo che dimostri nel voler mettere sempre alla prova te stessa, sicura che la tua fede e i tuoi buoni sentimenti ti condurranno sempre nella giusta direzione? Ti chiedevo sempre come facevi ad essere così coraggiosa e straordinaria, e tu mi guardavi con quello sguardo che ho descritto prima come per dire: “cosa faccio di straordinario? È solo ciò che ritengo giusto e doveroso!”. Una persona come te non avrebbe fatto altro che grandi cose nella vita, e io avevo bisogno di te, di parlare con te per vincere il mio pessimismo e la mia eterna svogliatezza nel vivere. Ma ora, vedendo quanto hai lasciato a tutti noi, non finirò di ascoltare i tuoi consigli, e il ricordo di te dovrà essere un eterno spronarmi a dare di più per me e per gli altri.
Grazie Fanna, e, come ti ho detto l’ultima volta che ti ho vista, COME SEI BELLA!!

Cristiano

______________________________________________


Gisti, groupe
d’information
et de soutien
des immigrés

Paris, le 9 février 2008

En souvenir de Fanny Garzya

Pendant l’été 2007, Fanny éclairait le Gisti par son ardeur.
Malgré la rigueur de sa formation en droit, malgré les réalités rencontrées au Gisti, Fanny restait optimiste : Aucun juriste expérimenté du Gisti ne pouvait la convaicre de l’absence d’issue juridique à certaines situations ; elle persistait à dialoguer longuement avec les étrangers concernés afin d’imaginer une issue et de leur donner espoir.
Fanny aspirait à un droit respectueux de tous les hommes ; elle l’exprimait avec véhémence dan nos échanges quotidiens. Les membres du Gisti qui l’ont connue lui gardent estime et affection :
Le Gisti s’associe à la douleur de la famille et des proches de Fanny et leur adresse ses trés sincères condoléances.

Nathalie Ferré

Présidente

_____________________________________________

Fanny Garzya, in abito da Esmeralda, poche ore prima della sua tragica fine, avvenuta a Castel Volturno il 6 febbraio 2008 (foto scattata a Napoli da Enzo Larizza)

ADDIO FANNY
di Maria Rosaria Compagnone

Con Fanny ho frequentato tre corsi all’Institut Français de Naples (Le Grenoble) e accanto ai ‘ritratti’ delineati in questi giorni dagli amici e dalle persone che l’hanno amata vorrei anch’io abbozzare una breve descrizione della Fanny che ho conosciuto.
Per me come per tutti i compagni di classe del Grenoble e in modo particolare per l’insegnante, mr. Frédéric Taboin, Fanny era la Fanny di “Posez-moi de vraies questions” come le ripeteva in continuazione ogniqualvolta alzava la mano. Partiva sempre in quarta, facendo domande a raffica, alcune delle quali volontariamente studiate per punzecchiare l’insegnante. Da qui la celebre frase che ci siamo ritrovati a stampare su una t-shirt a fine corso per ringraziare Frédéric e che, a distanza di tanti anni, affiorando sulle nostre labbra ormai di adulti, resta indissolubilmente legata al nome di Fanny.
Era ancora la Fanny “des rêves”, quella che aveva tanti progetti da realizzare e che per il momento rifletteva su quale facoltà scegliere all’università, se lettere o biologia.
E infine la Fanny “du tiroir”, la fedele e discreta amica pronta a ricevere le confidenze e a metterle al sicuro come nel cassetto di un comodino.
Poi ci siamo un po’ perse di vista, ognuno continuava per la sua strada e quando ci siamo rincontrate per caso, tre anni fa, mi sono resa conto di quante cose avessimo in comune: l’amore per la Francia, il Cammino di Santiago de Compostela partendo da Saint Jean Pied de Port, gli studi a Parigi. Fanny però non ha esitato né rimandato i progetti a data da destinarsi. Veder poggiare il bastone del pellegrino e la conchiglia di Santiago sulla sua bara è stato un momento di commozione profonda. Quel bastone che per trenta giorni l’ha accompagnata attraverso la Spagna del nord, sotto il sole come sotto la pioggia, su una delle strade più antiche del pellegrinaggio cristiano, quel bastone era là per accompagnarla anche nell’ultimo viaggio.
Una vita spedita, senza temporeggiamenti, che ci insegna che le cose vanno fatte. Una vita stroncata troppo presto. Quante altre cose avrebbe potuto ancora fare? Perché è accaduto? Tante sono le domande che ho sentito al funerale e che anch’io mi sono posta. La risposta che mi sono data è che Dio l’ha chiamata a sé poiché un segno l’aveva già lasciato. Qualcun altro ha detto: No, non è così! È la vita che se l’è portata via”. La verità è che questo è un mistero troppo grande per essere indagato con la sola ragione umana, forse entrambe le cose sono vere : quella sera qualcuno ha scelto di andare troppo veloce e Dio ha permesso che salisse in cielo. Addio Fanny.

(Articolo pubblicato l’11 febbraio 2008, in “www.napoli.com” )

____________________________________________________

Liberté – Égalité – Fraternité
RÉPUBLIQUE FRANÇAISE

PREMIER MINISTRE

HAUT COMITÉ POUR LE LOGEMENT DES PERSONNES DÉFAVORISÉES

Signora e Signor Garzya
Corso Vittorio Emanuele 168
80121
NAPOLI
ITALIA

Parigi, 12 febbraio 2008

Gentile signora, gentile signor Garzya,

Siamo rimasti profondamente addolorati nell’apprendere la morte di sua figlia Fanny e Vi indirizziamo le nostre sincere condoglianze.

Fanny aveva lavorato all’Alto comitato per 3 mesi nel 2007, nell’ambito di uno stage legato ai suoi studi. Abbiamo apprezzato la sua gentilezza, il suo entusiasmo e la sua spontaneità. Fanny si era dedicata con passione al lavoro di ricerca legale che le avevamo affidato.
Aveva una grande motivazione nello svolgere il suo lavoro soprattutto perché si trattava di trovare delle risposte concrete, efficienti, per assicurare l’alloggio a persone espulse. Sentivamo quanto Fanny si interessasse agli altri e quanto fosse desiderosa di mettere tutto il suo impegno in azioni di solidarietà.
Il lavoro che ha svolto per noi con una collega è di grande qualità. È stato pubblicato in allegato ad un rapporto che abbiamo presentato al Presidente della Repubblica Francese il 15 ottobre 2007. Desideriamo indirizzarvi una copia.

Vi esprimiamo tutto il nostro affetto e appoggio in questa prova così dolorosa.

Distinti saluti.

Xavier EMMANUELLI
Ex ministro
Presidente

Bernard LACHARME Segretario genarale


______________________________________________

Fanny,

J’ai eu l’infini plaisir de faire ta connaissance en faisant partie de ce master droits de l’homme
à Paris et plus particulièrement lors de la préparation de ce concours ” Jean Pictet ” de droit humanitaire auquel tu voulais prendre part. Je me souviens de ce dimanche où nous sommes restés longtemps au ” crdh “, cette bibliothèque si particulière, et durant lequel tu nous avais aidé à corriger nos réponses aux questions. Je me rappelle que tu étais si passionnée par ce travail que tu ne voyais pas le temps passé.
Ho avuto la fortuna e il piacere di fare la tua conoscenza durante il master per i diritti dell’uomo a Parigi e specialmente durante la preparazione per il concorso “Jean Pictet” per i diritti umanitari per il quale tu volevi partecipare. Mi ricordo ancora di quella domenica dove siamo rimasti a lungo al “crdh” (quella biblioteca così particolare), tu ci aiutavi a correggere le nostre risposte alle domande. Mi ricordo la tua passione per questo lavoro che ti faceva dimenticare il tempo che passava.
Cette passion, elle se voyait également en cours lorsque les professeurs disaient des choses qui te choquaient et alors, tu serais le poing et même, tu pleurais, par passion. Je n’oublierai jamais le jour où je t’ai vu pleurer parce que les mots ne suffisaient pas à exprimer ce que tu voulais dire et j’éprouvais une grande admiration. Pourquoi ? Parce que peu de personnes se laissent autant aller dans leurs convictions, c’est très rare. Tu avais cette rareté en toi et chose encore plus rare, tu savais la partager.
Questa passione si vedeva ugualmente durante le lezioni quando i professori dicevano qualcosa che ti scioccava e allora tu serravi i pugni e talvolta piangevi, a tal punto eri appassionata. Non dimenticherò mai il giorno in cui ti ho visto piangere perché le parole non bastavano a esprimere ciò che sentivi e ti ho ammirato intensamente. Perché? Perché poche persone sono capaci di lasciarsi trascinare così dalle loro convinzioni, è veramente raro. E tu avevi questo dono e ancora più importante lo sapevi condividere con gli altri.
Tu savais aussi être sincèrement heureuse pour les autres, (tu l’avais été pour moi à un certain moment !) et cela aussi, c’est très rare.
Alors tu vois Fanny, quand je pense à toi, ce n’est que grandeur, force et respect que j’éprouve, alors tout simplement, merci.
Tu eri anche capace di essere sinceramente felice per gli altri (lo sei stata per me in un certo momento !) e anche questo è un dono molto raro.
Quando penso a te, Fanny, penso alla grandezza d’animo, alla forza e al rispetto e allora semplicemente grazie.

À Fanny
A Fanny

Aurélie

Paris, 24/02/2008.

______________________________________________

(lettera inviata a Maguy Garzya)

le 25 février 2008


Chère Madame,

C’est avec beaucoup de tristesse que, comme tous ses anciens professeurs et ses anciens camarades du Centre de recherche sur les droits de l’homme et le droit humanitaire de l’Université Paris II, j’ai appris la disparition brutale de Fanny. Devant une telle tragédie les mots les plus sincères sont impuissants et ne peuvent que raviver la peine de sa famille et de tous ceux qui l’aimaient. Permettez-moi de vous dire combien je me sens proche très personnellement de votre chagrin et vous prier de transmettre à vos parents toutes mes condoléances dans cette douloureuse épreuve.

Fanny était une étudiante particulièrement attachante, discrète mais chaleureuse et vive, sérieuse et intelligente, pleine de confiance et d’enthousiasme pour la vie. Tant de causes généreuses et de projets utiles l’attendaient…En écrivant ces lignes, je regarde sa fiche d’inscription avec une petite photo d’identité, où elle a un sourire radieux, un regard pétillant. Elle s’était parfaitement intégrée dans sa promotion, perfectionnant sa double formation juridique menée à bien en Italie et en France, et avait obtenu des résultats très prometteurs pour une carrière de juriste international.

Son rayonnement, sa flamme intérieure, se traduisent bien aujourd’hui par l’émotion ressentie par tous ceux qui avaient eu l’occasion de l’approcher pendant ses études à Paris, par tous ceux qui l’ont connue. Ses qualités humaines font mesurer le vide qu’elle laisse parmi nous, mais elle restera dans le souvenir de chacun, avec émotion, par la pensée et la prière. Ses amis se sont déjà réunis à l’aumônerie de l’Université Censier et ils comptent le faire également dans le cadre de l’Université Paris II, avec l’association des anciens étudiants du CRDH. Fanny nous a quitté trop vite, mais nous resterons fidèles à sa mémoire.

Veuillez croire, chère Madame, à l’expression de mes sentiments cordiaux et attristés


professeur Emmanuel Decaux

______________________________________________

Bonjour,

Je suis confuse de ne pouvoir vous écrire en italien, et j’espère de tout coeur que vous pourrez me lire. Je tiens d’abord à vous adresser mes plus sincères condoléances, à vous, et à toute votre famille dont Fanny m’avait tant parlé. J’ai trouvé votre adresse sur votre site internet, et j’ai pensé que vous pourriez si vous le voulez bien ajouter le message qui suit à la page consacrée à Fanny.

Je suis française, et j’ai vécu pendant neuf mois avec Fanny, l’année dernière. Je vis loin de Naples, mais l’annonce de sa mort m’a plongée dans une profonde douleur, toujours aussi vive après un peu plus d’un mois – tant et si bien que cela me semble une éternité.
J’ai toujours eu conscience en l’observant, en lui parlant -longuement et passionnément- qu’elle était l’une des plus merveilleuses personnes que je connaissais. Sa bonté, sa sagesse et sa joie de vivre me semblaient sans limites, de même que le plaisir avec lequel elle les transmettait. Faire son deuil est d’autant plus douloureux que l’image que j’ai d’elle demeure celle de quelqu’un qui vivait intensément, si chaleureuse, si vivante : passionnée. Elle me demandait toujours, depuis son retour en Italie, de venir la voir à Naples. Je regrette tellement de n’avoir pu le faire. Je pense aussi à notre rendez-vous manqué de septembre, un mardi venteux et froid au Jardin du Luxembourg.
Sa chambre parisienne pleine de photos de sa famille et de ses amis, de citations, de livres et de paroles de chansons, son sourire, sa voix, ses plats délicieux, les chansons italiennes qu’elle chantait et qu’elle me traduisait, nos promenades sur les quais, nos longues conversations sur la littérature, les langues, sur nos vies,…sont des choses que je ne pourrai jamais oublier. Il est impossible de saisir sa présence devenue si brutalement absence par des mots, elle leur échappe. Elle nous échappe, et un immense vide demeure. Mais elle avait une personnalité marquante qu’elle fait partie de tous ceux qui l’ont rencontrée. Rien ne pourra plus nous séparer désormais. Elle nous a quittés avec une grande partie de nous. A travers mes larmes j’essaie de lui sourire et de collecter, un peu comme un chercheur d’or, mes souvenirs. Ils sont si nombreux et pourtant l’idée de sa disparition fait d’eux un point vacillant. A à mon amie italienne, à celle qui lisait en moi comme dans un livre ouvert, ces livres que nous aimions tant… – je ne cesse de lire et de relire ceux que tu m’as offerts, ceux que tu aimais, – pour toujours, avec toute mon amitié et mon affection.


Je vous présente encore toutes mes condoléances, je pense beaucoup à la famille de Fanny et imaginant combien cela peut être difficile, je vous souhaite beaucoup de courage.

Emmanuelle

Paris, 16.03.2008.

______________________________________________

Sant’Agata sui Due Golfi, 23 Marzo 2008

Cari Paola, Giacomo e Maguy,

Sono un ragazzo di Napoli che ha avuto la fortuna di conoscere Fanny durante alcuni anni passati insieme al Sannazaro. Come lei, ho deciso di intraprendere la carriera universitaria all’estero, in Inghilterra. E’ per questo che questa mia giunge a mesi di distanza da quella tragica notte: dall’estero e dopo tanti anni, mi è stato per molto tempo impossibile trovare un recapito a cui scrivere, fino a quando non mi sono imbattuto nella pagina internet messa insieme dal vostro incredibile affetto.

In quella pagina, oltre a trovare il vostro recapito, ho avuto la possibilità di leggere tante testimonianze della vita di Fanny, scritte da gente che la ha accompagnata per tratti più lunghi di quanto non abbia potuto fare io. E’ difficile pertanto aggiungere qualcosa di nuovo, ma, da quando ho saputo dell’incidente, ho sentito comunque il bisogno di scrivervi, spinto in parte dal desiderio di parlare a voi e in parte dal senso di vuoto che mi ha lasciato l’assenza di Fanny. C’eravamo cercati negli ultimi mesi dell’anno passato, speranzosi di rivederci per raccontarci le nostre rispettive avventure e per riprendere il continuo confronto d’idee che avevamo intrapreso al Sannazaro. Per varie ragioni, non eravamo riusciti ad incontrarci: un semplice rimandare, avevo pensato, prima che il rimpianto per tutte le parole non dette prendesse il posto della speranza di rincontrarsi.

Non ho visto Fanny per molti anni. I miei ricordi si fermano ai corridoi del Sannazaro, alle discussioni sulla scuola, sulla politica, sull’arte e sul teatro che con lei si riuscivano sempre a fare. C’era rispetto e tanta stima reciproca nelle nostre conversazioni, ma anche un sottile fare polemico dettato, più che altro, dalla giovanile inesperienza. Una leggera sospettosità reciproca che oggi ci avrebbe fatto soltanto sorridere. La sua, per il mio fare giullaresco, scanzonato, forse a volte un po’ sbruffone. La mia, per quella sua esigenza di prendere i problemi della scuola, di Napoli, dell’Italia terribilmente sul serio, nella consapevolezza che, su queste cose, c’è davvero poco da scherzare. La sua incredibile maturità mi ha sempre colpito e spesso, devo ammetterlo, spiazzato. L’ho imparata ad apprezzare a distanza, col tempo e con la crescita, stupendomi di come lei l’avesse acquisita così presto.

Davanti a me scorrono le immagini di quel caffé che ci saremmo dovuti prendere a Dicembre. Sicuramente avrei avuto, come al solito, idee simili alle sue, ma al contempo un po’ diverse. Credo però che sarei stato meno guardingo di quando ci incontravamo a scuola. Questo perché i sette anni passati in giro per l’Italia e poi per l’Europa mi hanno fatto comprendere che la volontà e la maturità di quella idealista, pragmatica, cosciente sognatrice di Fanny erano doti davvero rare, che, solo per un colpo di fortuna, io avevo avuto la possibilità di incontrare sin da piccolo. E che non è possibile, non è giusto siano scomparse così presto.

Vi abbraccio come se abbracciassi lei, anzi, no, più forte. In quest’abbraccio lascio gli auguri di una Pasqua di speranza ma anche di consapevolezza. Perché siate coscienti che le idee, le convinzioni, le visioni di Fanny hanno lasciato molto più di un segno in me, come nei tanti altri che hanno avuto la vera fortuna di conoscerla e apprezzarla.

Con tanto affetto,

Ferdinando Giugliano (Lincoln College, Oxford)

 

ATTESTATI DI FANNY GARZYA

INSTITUT INTERNATIONAL DES DROITS DE L’HOMME
INTERNATIONAL INSTITUTE OF HUMAN RIGHTS
fondé par / founded by René CASSIN

La laurea in Legge, i viaggi a Parigi e l’impegno nel sociale.

POUR QUI DE DROIT

Dans le cadre du master 2 “Droits de l’homme et droit humanitaire”, Mademoiselle GARZYA a suivi mon enseignement de droit européen des droits de l’homme. Elle a participé activement au séminaire portant sur le ” contentieux européen des droits de l’homme “. Par ailleurs, elle a rédigé, sous ma direction, un mémoire traitant du ” statut de la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme dans l’ordre juridique italien “.
Mademoiselle GARZYA a été une étudiante intéressée : elle a énormement investi dans son année de master 2. Dotée d’une personnalité avenante et attachante, elle a témoigné une intelligence vive qui, il est vrai, s’est davantage manifestée à l’oral qu’à l’écrit. Je suis convaincu que Mademoiselle GARZYA dispose de la formation intellectuelle et des qualités humaines requises pour oeuvrer dans une organisation non gouvernementale telle que la vôtre. C’est pourquoi, je me permets de recommander sa candidature à votre attention.

Paris, le 3 octobre 2007.

Jean-François FLAUSS
Professeur à l’Université Panthéon-Assas (Paris II) Secrétaire général de l’Institut international des droits de l’homme.

(Mia figlia Fanny aveva ottenuto poco prima il diploma di MASTER DROIT, mention droit international spécialité DROIT DE L’HOMME ET DROIT HUMANITAIRE finalité recherche, rilasciato il 28 settembre 2007, Université Paris II ; l’anno precedente aveva ottenuto la MAÎTRISE DROIT, Mention DROITS FRANÇAIS ET ETRANGER, spécialité DROITS FRANÇAIS ET ITALIEN , Université Paris I – Panthéon – Sorbonne. A Firenze, il 10 ottobre 2005, Fanny aveva superato l’esame finale di laurea in Scienze giuridiche : doppia laurea italo-francese; nell’aprile 2008, sempre a Firenze, avrebbe dovuto sostenere l’esame di laurea quinquennale in diritto internazionale, relatore il Prof. Giorgio Gaja, il quale, a proposito della sua tragica fine ha scritto: ” la tristissima notizia mi è giunta ieri. Sono rimasto senza parole e anche ora ho difficoltà a trovarne. Ho sempre considerato che seguire una tesi sia l’attività privilegiata per un docente: quella in cui può cercare di dare qualcosa che serva davvero alla formazione, forse non solo giuridica, di una persona più giovane. Occorre per questo che vi sia la disponibilità di chi scrive la tesi ad affrontare le difficoltà, anche nella ricerca materiale delle pubblicazioni da esaminare, e a riflettere su un tema poco studiato; è un momento bello quando, superate le prime difficoltà, la stesura della tesi si avvia nel modo migliore. Fanny Garzya aveva raggiunto quel momento. Ricorderò sempre la sua volontà di progredire ed il suo sorriso”).

_____________________________________________
Gisti, groupe d’information et de soutien des immigrés

Paris, le 25 octobre 2007

ATTESTATION

Fanny GARZYA, étudiante dans le cadre d’un double diplôme franco-italien (master 2 en droits de l’homme et droit humanitaire à l’université Paris 2 – laurea in Giurisprudenza à l’université ” degli studi di Firenze “) a effectué un stage au Gisti du 2 juillet à la fin du mois de septembre 2007.
Elle y a d’abord activement contribué au travail de notre permanence juridique de conseil et recours en droit des étrangers. Dans ce cadre elle a été amenée à répondre à des demandes très diverses provenant souvent des étrangers eux-mêmes, parfois de travailleurs sociaux ou associatifs qui les accompagnent. Elle a ainsi acquis ou précisé une bonne maîtrise du droit des étrangers et de ses multiples pratiques. La participation à une formation de cinq jours organisée par le Gisti lui a permis de mieux cadrer et confirmer ces connaissances. Le dossiers traités par la permanence juridique du Gisti sont synthétisés par un logiciel ” Gististat ” qu’elle a contribué à actualiser.

Chaque mardi, le Gisti tient une permanence téléphonique de conseil aux étrangers retenus en zones d’attente. Cette intervention, menée dans le cadre de l’Association Nationale d’Assistence aux Frontières des Etrangers (ANAFE) s’ exerce toujours dans l’urgence et requiert beaucoup d’intelligence et de discerrnement pour guider les personnes retenues et, si possible, engager les procédures juridiques adaptées. Fanny Garzya a participé à cette permanence pendant toute la durée de son stage.

Fanny Garzya est une juriste très compétente. Cela ne la prive pas d’un fort engagement humain auprès de certaines personnes. C’est ainsi qu’elle a suivi de près les cas suivants : un demandeur d’asile en prison, un demandeur d’asile en procédure prioritaire, un déserteur…Elle a ainsi été amenée à assister à des audiences de la Commission de Recours des Réfugiés, du tribunal administratif de Paris ou du Juge des libertés et de la détention de Bobigny. Elle a aussi accompagné un étranger sans domicile fixe dont les deux enfants avaient été placés en foyer pour l’obtention d’un logement apte à les accueillir.

Autour du droit des étrangers, il y a les politiques d’immigration et d’asile françaises ou européennes. Le Gisti analyse les évolutions de ces politiques, le plus souvent au sein de collectifs d’associations. Fanny Garzya s’est associée très activement aux réflexionss quotidiennes des salariés, bénévoles et stagiaires. Elle a contribué aux débats collectifs mensuels des membres du Gisti, participé à des manifestations du Réseau éducation sans frontières ou du réseau ” Uni(e)s contre l’immigration jetable ” (UCIJ), suivi une rencontre entre l’UCIJ et les parlementaires autour de la nouvelle loi ” Hortefeux ” sur l’immigration.

Le Gisti a beaucoup apprécié l’intelligence et la sensibilité de Fanny Garzya. Elle a sans aucun doute acquis ou affiné pendant ce stage diverses compétences. Elle a aussi apporté au Gisti sa réflexion pertinente et son analyse comparative des concepts et pratiques juridiques en France et en Italie.

Marie Duflo
Secrétaire générale du Gisti

______________________________________________

Liberté -Egalité -Fraternité


RÉPUBLIQUE FRANÇAISE
PREMIER MINISTRE

HAUT COMITÉ POUR LE LOGEMENT DES PERSONNES  ÉFAVORISÉES

Objet :Recommandation de Mlle Fanny GARZYA

Madame, Monsieur,

Dans le cadre des ses études en master 2 droits de l’homme et droit humanitaire à l’Université Panthéon-Assas (Paris II), mademoiselle Fanny GARZYA a effectué son stage de fin de recherches au Haut Comité pour le Logement des personnes défavorisées, du 3 avril au 30 juin 2007.

Rattaché aux services du Premier Ministre, le Haut comité a pour mission de faire des proposition au Président de la République et au Gouvernement sur les questions relatives au logement des personnes défavorisées.

Pendant les trois mois passés ici, mademoiselle GARZYA a effectué, en collaboration avec une autre stagiaire, un travail de recherche juridique visant à définir le moyen d’assurer le maintien dans les lieux de ménages expulsés de bonne foi. Cette recherche a débouché sur una proposition de mesure que le Haut comité a soumise au Comité de suivi de la mise en oeuvre du droit au logement opposable. Preuve de la qualité du travail fourni par Mlle GARZYA, celui-ci a été publié en annexe du premier rapport annuel de ce Comité, rapport qui a été remis le 15 octobre 2007 au Président de la République Française.

Mademoiselle GARZYA s’est toujours montrée disponible et rigoureuse dans son travail. Outre ses compétences juridiques et une réelle préoccupation pour la cause humanitaire elle a fait montre d’une vraie capacité relationelle, d’un sens du travail en équipe et de capacité d’initiative.

Je vous prie d’agréer, Madame, Monsieur, l’expression de ma considération distinguée.

Fait à Paris le 28 décembre 2007,

Bernard LACHARME
Secrétaire général

______________________________________________

GAIA’S HORSE

(Listening to Nature, Learning from Nature, Being Nature)

To the Memory of Fanny Garzya
This site is dedicated to the memory of a good friend of mine who left this world aged just 24. Fanny Garzya was probably the most extraordinary person that I have ever met and I had the good fortune to live with her for 10 months in Florence, Italy and in the process be inspired by her dogged determination to stick to her ideals and her dream of working for human right once she finished her studies in Law.
Since she was knocked down and killed in Naples earlier this year I have made a special effort to pursue my own dreams in the hope that I can fulfill some of the dreams that she always encouraged me to fulfill. I want to bring some of her energy into Gaia’s Horse, some of that determination and that drive to understand herself and others from every walk of life. I want to remind myself every day of the energy that one person can have and how she would struggle to keep going even when she had used up every last ounce of that energy.
Unfortunately Fanny was killed shortly after she had finished her studies and so she never got to do all that she dreamed of. But she has left her memory behind in her friends and we must honour that memory by never giving up on our dreams.
When I lived in Italy I found my heart and Fanny was one of those people who helped me find it. Once she said I was like her guardian angel, now she is mine.
Thank you Fanny,
Niente si crea, niente distrugge, tutto si transforma. Mi raccomando!!

(vedi www.gaiashorse.com)

 

GIACOMO GARZYA IN GRECIA CON LE SUE FIGLIE FANNY E MAGUY

Finikoundas, 23 luglio 1995 (foto di Paola Celentano Garzya)

Pantalica , 23 aprile 2000 ( foto di Giacomo Garzya )