GIACOMO GARZYA, “SOLARIA”, NAPOLI 1998, M. D’AURIA EDITORE.
PREMESSA
Devo gran parte delle poesie qui pubblicate al-
1′ amore, profondamente radicato in me, per la Grecia.
A cavallo degli anni Sessanta e Settanta, in viaggi
formativi, ma talora estenuanti, avevo già avuto
l’occasione e la fortuna di cogliere i messaggi significativi
della civiltà classica, cui tanto dobbiamo. Rivisitando
la Grecia in questi ultimi anni la mia attenzione
si è allargata, aggiungendo all’interesse squisitamente
storico-archeologico, il contatto con ambienti
incontaminati e con persone che non hanno
perso il senso delle proprie radici. In particolare,
l’incontro col calcare è stato un felice rivivere emozioni
già provate a Capri, in Costiera amalfitana e
nel Salento, terre greche anch’esse.
La simbiosi di tali interessi mi ha permesso di
riscoprire i valori della cultura occidentale, il Mediterraneo
che è in me, e di dar voce a sensazioni profonde,
attraverso la fotografia e la parola scritta, nel
tentativo, nel mio intimo credo riuscito, di fissare i
momenti essenziali di una esperienza non solo di ricerca,
ma anche di vita. Così, dopo quelle dedicate
alla Grecia, seguono alcune poesie in cui emergono,
in maniera più diretta, sentimenti, speranze e nodi
esistenziali.
Devo, infine, una spiegazione per la scelta del
titolo della raccolta e un sentito ringraziamento.
Solaria perché Solaria è la libertà di esprimersi;
perché tutti noi siamo alla ricerca di un mondo ideale
in cui vivere; perché l’utopia è forza, energia e
luce; perché i momenti difficili e gli ostacoli della
vita si superano con l’amore, con la fede in se stessi
e in qualcosa che sta lassù, che sia il sole, Dio o il
giudizio della Storia.
Il grazie a Te, Rudyard Kipling, che con Se… mi
sei stato Maestro di vita.
Napoli, settembre 1998
GIACOMO GARZYA
(GIACOMO GARZYA, iI 28 febbraio 2014, presentò all’Humaniter di Napoli il libro di Aurora Cacopardo e Francesco D’Episcopo “Napoli: luoghi letterari”, Napoli 2011, Iuppiter edizioni (vedi Giacomo Garzya, “Napoli: luoghi letterari”, in “Chiaia magazine”, IX, n.1-2, febbraio/marzo 2014); il 18 maggio 2016 presentò, con Francesco D’Episcopo, al PAN (Palazzo delle Arti di Napoli), il libro di Aurora Cacopardo “Sotto un contorto ulivo saraceno”, Napoli 2015, Iuppiter edizioni.
PRESENTAZIONE DI GIACOMO GARZYA DEL LIBRO DI AURORA CACOPARDO E FRANCESCO D’EPISCOPO, “NAPOLI: LUOGHI LETTERARI”
È con vero piacere che mi accingo a presentare, in questa benemerita sede dell’”Humaniter”, il libro “Napoli: luoghi letterari” di Aurora Cacopardo e di Francesco D’Episcopo, edito nel 2011 dalla emergente Casa Editrice Iuppiter Edizioni di Napoli. Aurora Cacopardo, ora insegnante qui all’”Humaniter”, è stata una valente docente di materie letterarie nei Licei ed è una colta, sensibile, acuta critica letteraria napoletana, che ho avuto modo di apprezzare personalmente negli ultimi anni leggendo le sue recensioni agli ultimi miei libri di poesie. Ella ha infatti dato ottima prova di sé collaborando con riviste quali Il Cerchio, Essere, Napoli City, nonché scrivendo sulle pagine culturali del Roma, del Danaro e di Chiaia Magazine, un periodico questo di grande importanza civile, sociale e culturale non solo per il quartiere Chiaia,ma per Napoli tutta. Francesco D’Episcopo, autore di numerosi volumi e saggi sulla Letteratura italiana, insegna questa materia alla Federico II ed è un critico letterario, con al suo attivo vari riconoscimenti ufficiali alla sua pluridecennale attività. Il libro che si presenta ora, riguarda quattro autori, che hanno lasciato una traccia profonda nella cultura napoletana, pur con esiti diversi : Carlo Bernari, Luigi Incoronato, Domenico Starnone ed Erri De Luca, i primi due, avendo avutouna fortuna non proporzionata al loro effettivo valore. Gli ultimi due, a noi contemporanei, depositari di numerosi riconoscimenti sia da parte della critica che dal pubblico di lettori. Scopo principale delle pagine critiche di questo libro è non solo spingere alla lettura di pagine su Napoli talora dimenticate e difficili da reperire, è il caso di Bernari, ma quello di riscoprire due autori, Bernari appunto e Incoronato, che hanno dato nei loro scritti un’immagine realistica, anzi meglio dire neorealistica, della città di Napoli e confrontarli con due autori, Starnone ed Erri De Luca, che nel raccontare la loro città, perché di racconti si tratta e non di romanzi, hanno dato sì un taglio realistico, ma soprattutto lirico, in particolare Erri De Luca, ma anche Luigi Incoronato, nella scena alla Stazione centrale e al suo vagare tra i binari, insieme al protagonista anonimo, che si identifica, come ben dice Francesco D’Episcopo, con l’autore stesso. La scelta di Aurora Cacopardo e Francesco D’Episcopo di analizzare l’opera di questi quattro autori, tuttavia non prescinde dal voler mettere in evidenza i luoghi i cui si svolgono le storie e lo stesso narrare: via Speranzella, Scala a San Potito, via Gemito, Monte di Dio. I luoghi, i siti hanno sempre rappresentato e rappresentano momenti evocativi di grande valore emotivo sia per chi vi nasce, sia per chi li vive e sia per chi li visita da forestiero. I luoghi sono la storia dentro e fuori di noi e di essi non si può fare a meno se è vero che la memoria non ossida il tempo, cioè se la memoria permette che il tempo inteso come vissuto di un singolo e/o della collettività resista all’oblio. Ciò vale per tutti i luoghi che hanno un vissuto da raccontare, Napoli e la Gerusalemme di Erri De Luca, nel nostro caso. La Napoli, qui raccontata, è una Napoli fatta di eroi e antieroi, penso, in particolare, da una parte, al ragazzino protagonista in “Montedidio”, dall’altra, all’anonimo protagonista, con Giovanni, in “Scala a San Potito”, ma anche una Napoli disperata nella sua miseria, lontana anni luce dalle rappresentazioni festose, carnascialesche, folkloristiche di certa ben nota letteratura. Il colore della miseria, della solitudine, che prevale in molti passi di queste opere e nei suoi personaggi è il grigio, un grigio che dà poco spazio alla speranza, se si escludono le avventure salvifiche nel racconto di Erri De Luca. In “Napoli: luoghi letterari” Aurora Cacopardo tratta in primis della figura letteraria e artistica di Carlo Bernari, un autore di spessore, che Domenico Rea non esitava a proclamare, nel 1958, come “l’unico scrittore napoletano degno di questo nome” e che avrà una vita spesa tra giornalismo, riviste letterarie e sceneggiature cinematografiche. Ebbene Carlo Bernari, autodidatta, come non pochi scrittori negli anni ’20 e ’30, antifascista, frequentatore delle idee crociane, nonché, durante un breve soggiorno a Parigi, di André Breton, padre del Surrealismo, produsse nel 1934 il suo primo romanzo “Tre operai” in una collana diretta da Cesare Zavattini, che non ebbe che poco pubblico, anche se una buona critica. “Tre operai” rappresenta il manifesto sociale dello scrittore, che preannuncia un lavoro di scavo ventennale sulla sua città, che si condenserà in due volumi, la “Bibbia napoletana” – “considerato uno dei libri più affascinanti non solo su Napoli ma “di Napoli” – e “Speranzella”, il suo capolavoro, uscito nel 1949 e vincitore ex aequo del Premio Viareggio, con buon successo, questa volta, di lettori e di critica. Aurora Cacopardo, dopo aver ben disegnato la biografia di Bernari senza nascondere l’astio che nei suoi confronti aveva avuto Elio Vittorini, come è noto, intellettuale organico del Partito comunista e quindi diffidente nei confronti di chi conservava una propria libertà di scelta e di giudizio, si ferma a parlare a lungo del romanzo “Speranzella”, ambientato nella Napoli a cavallo del ben noto Referendum Monarchia-Repubblica. Questa disamina critica di Aurora Cacopardo si sofferma sui punti principali dello spirito narrativo di Bernari, nonché sulla sua tecnica narrativa e sull’uso del dialetto, sulla scia dell’esperienza di Verga e di Alvaro, senza dimenticare la lezione di Di Giacomo, Viviani, Murolo, per non parlare del Cortese, del Basile, del Velardiniello. Importante è la considerazione della Cacopardo, quando dice che “i personaggi di Bernari…non cadono mai nel bozzetto, perché lo scrittore vi trasferisce con naturalezza l’elemento storico-documentario”, cioè fa un lavoro di scandaglio di natura storicistica, nella migliore tradizione crociana. Quindi nessun folklore, niente pietismo né macchiettismo. L’analisi di Carlo Bernari di Aurora Cacopardo si conclude, in modo analogo, con analogo metodo, nella trattazione della vita e dell’opera di Erri De Luca, alla luce, in paticolare del racconto “Montedidio”, dove, anche se in modo molto diverso, lo scrittore mette in luce la sua visione di Napoli rapportata al sogno salvifico del volo a Gerusalemme di Rafaniello, ebreo errante, che trova rifugio nella Napoli devastata dalla guerra, dalla fame e dalla miseria, una Napoli europea nella sofferenza per dirla con Curzio Malaparte e la sua visione di Napoli rapportata al bumeràn atrettanto salvifico, nonché liberatorio, del protagonista ragazzino, onesto nelle sue movenze, come il padre scaricatore di porto, in una Napoli corrotta e ferita, vedi la vicenda triste del padrone del palazzo e di Maria. Aurora Cacopardo felicemente conclude il suo itinerario critico dicendo che Erri De Luca “riesce, spesso,a scavare in profondità con risoluta delicatezza”, trattando “così il comico, il tragico, la ricerca del sacro”, senza perdere, aggiungo io, la sua vena poetica e fantastica. Francesco D’Episcopo, da parte sua, analizza l’opera di Domenico Starnone e del meno fortunato Luigi Incoronato. Meno fortunato se si considera il tragico epilogo della sua vita, che, leggendo attentamente il suo racconto “Scala a San Potito”, può dirsi già in nuce tanti anni prima. Studioso di Incoronato, D’Episcopo ne tratteggia pienamente la biografia, elemento primo di ogni analisi successiva, sottolineando l’anno 1960, in cui non solo vince il Premio Napoli con il romanzo “Il Governatore”, ma fonda la rivista “Le ragioni narrative”, insieme a scrittori come Compagnone, Pomilio, Prisco e Rea, nonché accademici come Salvatore Battaglia e Leone Pacini Savoj. La notorietà di Incoronato nasce, tuttavia, nel 1950 con “Scala a San Potito”, edito da Mondadori, emblema della precarietà, delle gravi difficoltà di sopravvivenza che il popolo napoletano incontrò nell’immediato dopoguerra. D’Episcopo, analizzando “Scala a San Potito” nota acutamente che l’anonimo protagonista del racconto “si identifica, nella sostanza, con l’autore stesso, il quale “sente… lo strano bisogno di tornare…sulle scale, che avevano ospitato una stagione straordinaria della sua vita, legata all’amicizia con l’altro personaggio centrale…Giovanni”, tragicamente ucciso da se stesso e dalla sua disgraziata vita. Non è il caso di entrare nella trama del racconto e la stessa cosa vale per “Via Gemito” di Starnone, per invitare i qui presenti a leggere personalmente questo libro “Napoli: luoghi letterari” che fa una lucida sintesi e invoglia a leggere questi autori, di cui si possono ora reperire i titoli in libreria. Tale sorte non è quella di Bernari, che costringe i lettori a recarsi in Biblioteca, il che farebbe pensare comeottima cosa la ristampa da parte di qualche buon Editore, almeno di “Speranzella”.
GIACOMO GARZYA
(Questo testo da me letto il 28 febbraio 2014, è stato in gran parte pubblicato in “Chiaia Magazine”, Anno IX,numero ½ – febbraio/marzo 2014).
PRESENTO AL PAN IL LIBRO “SOTTO UN CONTORTO ULIVO SARACENO” DI AURORA CACOPARDO.
È con grande piacere che mi accingo a presentare questo nuovo libro edito nel novembre 2015, da Iuppiter Edizioni , Napoli (pp.1-164) di Aurora Cacòpardo, di formazione crociana ( è su Benedetto Croce la sua tesi di laurea in Filosofia teoretica). Aurora Cacòpardo, prima di tutto amica, poi nota scrittrice e saggista napoletana, collaboratrice di numerose riviste tra cui “Essere”, “Il Cerchio”,”Napoli City”, delle pagine culturali del “Roma” e del “Danaro”, mi ha onorato negli ultimi anni presentando i miei ultimi libri di poesie a Palazzo Serra di Cassano, con numerose recensioni sulla stampa, mi riferisco al “Chiaia Magazine”, una rivista che bene accoglie gli umori del quartiere e della città di Napoli. Per conto mio nel 2014 ho di nuovo avuto modo di apprezzare le sue qualità di critica letteraria e la sua vasta cultura recensendo su “Chiaia magazine” (IX, n.1-2, febbraio/marzo 2014), un suo libro “Napoli: luoghi letterari”, scritto da lei e da Francesco D’Episcopo e presentandolo il 28 febbraio dello stesso anno alla Fondazione Humaniter, a Piazza Vanvitelli. Ora, in questa prestigiosa sede del PAN, “Sotto un contorto ulivo saraceno” di Aurora Cacòpardo mette di nuovo in luce non più la saggista, ma la scrittrice di numerosi libri tra cui vale ricordare “Un colpo inaspettato e altri racconti”, “Carlo Emilio Gadda e il romanzo giallo”, “La via che conduce a te”. “Sotto un contorto ulivo saraceno” è il titolo del libro, che in questa sede si presenta, ed è anche il titolo del racconto che l’Autrice vuole porre in primo piano, tra i tanti che compongono il suo libro. Ad una prima lettura sommaria dei racconti, si percepisce, spesso, la presenza della natura, una nostalgia per il nostro passato ricco di eventi, di arte, di archeologia e di cultura. Partendo dal dato concreto che il paesaggio, che spesso si incontra nei luoghi in cui viviamo e siamo cresciuti ed educati, non sia avulso dalla sua storia, una grande storia, quella della Magna Grecia, in primis. Un paesaggio marino, rurale a noi familiare, quello del Tirreno, del Mediterraneo, caratterizzato dalla sua celebre macchia mediterranea, da piante simbolo come l’ulivo contorto saraceno di Aurora Cacòpardo, su tutti e su cui aleggia la grande figura dello storico Fernand Braudel, celebre per tante opere, tra cui “Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni” e per la citazione cui fa riferimento Aurora Cacòpardo: “Il mare è destino”…”. I viaggi in luoghi lontani ed esotici potranno emozionare sicuramente, nelle albe, nei tramonti, nelle acque cristalline, e così via, ma avranno sempre qualcosa di incompiuto, di algido, considerando l’assenza di fatti, di eventi decisivi per lo sviluppo di una civiltà, di una qualsiasi civiltà. Tuttavia questa realtà mediterranea idilliaca, bucolica, se vista nell’ottica romantica o di chi fa dell’amore per la natura una ragione di vita, non nasconde per la Cacòpardo e per tutti noi osservatori della realtà effettuale, aspetti inquietanti, quali il degrado ambientale favorito da insediamenti industriali di grande impatto ambientale, quali, per citarne qualcuno nel Sud: Augusta, Taranto, Bagnoli, insediamenti determinati da errate e miopi politiche governative, ma soprattutto il degrado causato da devastazioni vere e proprie, vedi nel casertano, la famigerata “terra dei fuochi”, della delinquenza organizzata: Mafia, Camorra, N’ndrangheta, Sacra Corona Unita, che senza alcuno scrupolo etico, e per la realizzazione di profitti spropositati e con la complicità di tanti colletti bianchi, hanno distrutto aree vaste, riducendole a terre mortifere, aree, in cui tra l’altro, abitavano da generazioni. Aurora Cacòpardo divide il suo libro in tre sezioni: “Azioni”, “Parole”, “Sentimenti”. Si tratta, in tutto, di ventuno racconti brevi, connotati, alcuni, da una sottile ironia, altri da una direi quasi surreale investigazione poliziesca, rientrando a pieno titolo, questi, nel genere del giallo, ma di un giallo ben distinto da quello di tanti autori, oggi di moda, che ne hanno fatto un genere di successo, ma nella sostanza non discostandosi da trame e riti consueti. Il genere giallo della Cacòpardo, si esaurisce in brevi ma efficaci pennellate, che mettono in luce la società attuale e non, senza perdere il senso dell’humor, in questo caso tipicamente napoletano e britannico, che come è noto, viaggiano sullo stesso binario. La sezione “Sentimenti” si apre col racconto dell’ulivo contorto saraceno e si divide in due parti ben distinte, la vecchia Myriam, madre di Ester, che muore, “il sole allo zenit”, “sotto l’ulivo, sul viso sereno un accenno di sorriso, i capelli scompigliati dal vento, le braccia al seno e le mani giunte sul cuore quasi in segno di preghiera”, lei che vent’anni prima, credo, aveva vendicato la figlia Ester, suo malgrado, implicata in fatti di spionaggio, più grandi di lei, uccidendo con due revolverate il responsabile della sua morte. Dal racconto esce uno spaccato non della città vecchia di Gerusalemme, città che per chi ha avuto, come me, la fortuna e l’occasione di visitarla, ha un fascino ineguagliabile, ma dei quartieri recenti, dove la paura di subire un attentato è permanente. Non a caso Myriam si salva dall’esplosione di una bomba ad opera degli eterni nemici Palestinesi. Un racconto, quindi, in cui la serenità della morte è commisurata alla giustizia compiuta, che traspare in un passo della Cacòpardo (p.123), in cui si dice: “solo una cosa non si può condividere, il sogno di una giustizia veramente giusta”. Molto lirico, commovente, romantico di un non ancora sopito romanticismo, è il racconto “Un fiore dei mari del Sud”, la storia di un amore coltivato lentamente, per poi sbocciare in un fiore impossibile, che morirà con Eugenio prima del tempo, per delle ferite di caccia, rendendo vana l’attesa della donna amata, col naufragio nei Mari del Sud di un matrimonio mai concretizzato, mai consumato. Di sapore tardo rinascimentale la vicenda del povero professor Ricori, zoologo e botanico di fama, ucciso dal veleno imbevuto nelle pagine di un libro di caccia dei tempi di Caterina de’ Medici. In queste pagine Aurora Cacòpardo dà prova di maestria e, di nuovo, di grande e sottile ironia. Il professore già segnato dall’assalto di alcuni borseggiatori e non più in possesso delle sue precedenti facoltà mentali, doveva pur prima o poi morire per la sua passione scientifica e antiquaria! Non meno divertente è la storia, pare vera, della principessa russa con “al dito indice un grosso rubino che manda bagliori di sangue”, che va a gabbare l’artista innamorato, immemore della profezia d’una gitana. E viene spontaneo pensare che a queste donne dal fascino di una Carmen, sempre bisogna dare retta. I rumori della guerra si snodano a Bagdad nel racconto più lungo, che chiude il libro, “Bagdad addio”. Una vicenda umana e sofferta, che si svolge tra le due guerre del Golfo, e vede protagonisti Floriana e il Barone siciliano Ruggero Fonti di Santa Rosalia. Un amore delicato come le zagare di Sicilia, in un paese dove il profumo della sabbia si mischia con l’odore dello zolfo e degli spari dei mortai. Si perderanno i protagonisti per un lungo tempo, ma lei, ormai suor Elisabetta, con nel ricordo il sorriso enigmatico della Sfinge a Giza, quasi a preconizzare un destino infausto, si occuperà dei feriti negli ospedali da campo della seconda guerra del Golfo, molto più cruenta della prima e che farà di Bagdad un cumulo di macerie. Tra i feriti incontrerà il suo Ruggero, ormai moribondo, e vegliandolo, morirà anche lei “fredda, ai piedi del lettino” di lui, di dolore. Una storia che non può non commuovere, una delle tante nei teatri di guerra, di tutte le guerre. Nella sezione “Parole” vi sono quattro racconti, ma è nel primo “Mezzanotte all’Aquarium” che Aurora Cacòpardo esplicita in modo emblematico e drammatico, il dramma della società di oggi, già emerso all’inizio della mia presentazione, a proposito della preponderanza delle mafie, della lotta non sempre vincente contro di esse, rappresentando esse una piovra dai mille tentacoli. Il nichilismo, il qualunquismo imperante, soprattutto nella società meridionale, la politica come professione non più come una vocazione, l’assenza di valori nobili e di ideologie nelle nuove generazioni, porta a un pessimismo a volte disperato che può spingere un trentenne come Carlo al suicidio. Ma il paradosso è che a uccidersi con un colpo preciso al cuore sotto due platani nella Villa comunale, dopo mezzanotte, sarà Stefano, che aveva salvato Carlo dall’insano gesto, ma che ripercorrendo come in un flash la sua professione di Giudice, era arrivato a determinare un bilancio passivo nella sua lotta alla criminalità, un bilancio che tra il dare e l’avere non lo aveva compensato per il tanto lavoro svolto, lui “uomo straordinario, energico, combattivo, un grande oratore”, per dirla in poche parole un uomo dal forte carisma. Con questo racconto brevissimo di quattro pagine, Aurora Cacòpardo mette in luce tutto il suo malessere di cittadina, di intellettuale, di donna, verso una società malata di un cancro non facilmente estirpabile e che dà poco spazio alla speranza. La Prima parte del volume “Azioni” è la più ricca di racconti (dieci) ed emergono, in non pochi di essi, un’atmosfera spesso surreale, un certo pirandellismo di fondo, penso in primis a “Nero, il persiano”, a “Menes il giustiziere”, il cui finale è decisamente esilarante. In essi si trova l’humor noir, il genere giallo confezionato con malizia e con una scrittura decisamente favorevole a creare sorrisi di compiacimento. Lascio al pubblico di lettori, dopo questo breve excursus, il piacere di gustare questa pregevole opera di Aurora Cacòpardo, prima di tutto amica e poi infaticabile scrittrice.
GIACOMO GARZYA
Napoli, 7 maggio 2016