AI CARI AMICI COMUNICO L’USCITA DELLA MIA DICIOTTESIMA SILLOGE DI POESIE: “È LA VITA”, CON PREFAZIONE DI ALESSANDRO QUASIMODO, VILLANOVA DI GUIDONIA 2024, ALETTI EDITORE.
Anche in questa mia diciottesima raccolta “È la vita”, come fin dalla prima “Solaria” del 1998, sento non poche mie poesie, figlie dell’ “Io lirico”, un’autobiografia dell’anima, un’introspezione non intimista, bensì universale. Gli amori, gli affetti, i luoghi, la natura, le mie radici mediterranee e nordiche, sono delle costanti da quando penso in versi, ma ora, in questa silloge, vi si legge una maggiore sensibilità verso l’uomo nel suo divenire storico, morale, religioso, negli anni drammatici in cui viviamo. Credo che il mio poetare sia un invito, ancor più oggi, a vivere il bello dell’esistenza, l’opera d’arte, il trascendente, i soli doni atti a lenire il dolore, il pensiero della morte.
Riporto il questionario/intervista per redatto per il successivo comunicato stampa.
“E’ la vita”. Perché la scelta del titolo e da cosa nasce l’idea di scrivere questa silloge?
Il titolo vuole significare che l’esistenza è un dono e bisogna accettarla come viene, nella gioia e nel dolore. La vita di per sé è un gran privilegio, non va assolutamente sprecata, va vissuta pienamente e dà la possibilità di vivere attimo per attimo il presente, guardando con speranza al futuro, ma anche ripercorrendo a ritroso i momenti belli della vita.
Come definirebbe, in breve, la sua opera?
Questa mia diciottesima raccolta “È la vita”, come già la prima “Solaria” del 1998, vuole coltivare l’ “Io lirico”, essere un’introspezione non intimista, bensì universale, un diario dell’anima, un “romanzo della vita”, alla Umberto Saba.
Possiamo considerare la poesia una forma di continua ricerca verso se stessi, che coinvolge tutti i sensi?
Sì una continua ricerca esistenziale: gli amori, gli affetti, i luoghi, la natura, le mie radici mediterranee e nordiche, sono delle costanti da quando penso in versi.
Quali elementi stilistici sono tipici della sua scrittura?
Sicuramente, come è stato già notato nel 2001 da Giuseppe Galasso nella prefazione al mio libro “Maree”, ” i versi di Garzya sono…lievi, scorrono con la naturalezza della spontaneità che li ha dettati anche quando sono densi…di nomi famosi, di tòpoi storici e letterari”. Anni dopo, il poeta e filosofo Eugenio Mazzarella, nella prefazione alla mia quinta raccolta “Pensare è non pensare”, affermava: “la semplicità pensosa del dettato poetico…non perde tuttavia vivacità nella compostezza del verso di ‘spontanea levità’. Una poetica colloquiale che…trova nella topica del viaggio il suo scenario e la sua metafora”.
In che misura si intrecciano realtà e fantasia?
Meglio dire che in non poche poesie, scritte in trent’anni e più, si incontrano la realtà e il Mito fantastico, più che la mera fantasia.
Quali argomenti sono più ispiratori dei suoi versi?
Oltre agli affetti, ai paesaggi descritti con occhio fotografico, la mia attività di fotografo complementare alla poesia, in questa silloge si legge una maggiore sensibilità verso l’uomo nel suo divenire storico, morale, religioso, negli anni drammatici in cui viviamo.
Che ruolo riveste il passato, dunque la memoria storica, nel presente?
Un’ importanza rilevante – vista la mia formazione di storico – e la mia poesia, fin dall’inizio, ha voluto essere un antidoto contro l’oblio del tempo, onde preservare i valori universali della nostra civiltà e tenere sempre vivi gli affetti e la memoria di quelli perduti.
Cosa vuole trasmettere al lettore?
Credo che il mio poetare sia un invito, ancor più oggi, a vivere il bello dell’esistenza, l’opera d’arte contrapposta al kitsch, il cattivo gusto ripudiato da Gillo Dorfles, il trascendente, i soli doni atti a lenire il dolore e il pensiero della morte.
Giacomo Garzya