Raccolte di poesie edite (1998 -2011)

 

 

RACCOLTA DI POESIE (SESTA), IL VIAGGIO DELLA VITA


GIACOMO GARZYA

IL VIAGGIO DELLA VITA, Napoli 2010, M.D'Auria Editore

All'adorata figlia Fanny, che sempre mi veglia, a due anni dalla sua tragica scomparsa,
nel fiore della sua giovinezza.

Napoli, 6 febbraio 2010.

 

 

 

 

 

 

 


Con la gentile autorizzazione dell'Editore, Francesco del Franco,
in questa sesta raccolta, ho riversato anche le mie poesie, già pubblicate
in GIACOMO GARZYA, "Pensare è non pensare", Napoli,
Bibliopolis, 2009, qui però in parte rivedute. Ringrazio, pertanto,
l'Editore del Franco, per il segno d'amicizia mostrato.
Giacomo Garzya


                                                                             

 

                                                                             PREFAZIONE
A passo d'uomo


L'eco del viaggio, lungo ormai e ininterrotto, che Giacomo Garzya compie da molti anni e che risuona inesorabile ancora in questi versi, è un'eco di passi umani. Non solo di reattori, motori a scoppio o ruote di treno, ma eco di passi lenti e cadenzati di un uomo che a piedi percorre la sua strada, e poiché cammina a piedi ha modo e tempo per fermarsi a guardare, a sentire e a ricordare.
La parola del viandante che discorre con se stesso, e ci rende a tratti partecipe dei suoi pensieri, dà voce ai colori dei paesaggi rivisitati, all'evocazione di persone e cose antiche e recenti, al silenzio di un vuoto irrimediabile. Il diario, scandito dalle date e dai nomi di luogo che suggellano i componimenti, disegna un itinerario che tocca località vicine e lontane, scenari diversi e contrastanti come gli stati d'animo del pellegrino che si racconta.
Col suo patrimonio ricco di umanità e di cultura Giacomo percorre il suo cammino, sempre più erto e accidentato, senza rinunciare a porsi con sommessa e pudica ostinazione le domande che nessuno dotato di senno e sensibilità può sperare di eludere, e che si trovano anche qui ad ogni pagina, esplicite o sottintese, e specialmente, in modo esemplare, nelle poesie "Le nostre vecchie chiese" e in "Dio è la natura". Gli interrogativi dell'uomo che cammina e che pensa rimangono aperti: sono consegnati al lettore perché continui - o incominci - lui stesso a viaggiare guardandosi attorno, e a riflettere guardandosi dentro.
Un giorno, molti anni fa, io mi trovavo alle pendici della collina napoletana su cui la mia famiglia vive da quattro generazioni. Una interruzione improvvisa nel servizio della funicolare mi induceva ad affrontare a piedi la salita, dal momento che la mia congenita impazienza insofferente mi precludeva la possibilità di speranzose attese di un sollecito ripristino o di lunghi giri contando su inaffidabili mezzi alternativi. Ad un crocicchio tra i vicoli dei quartieri spagnoli incontrai Giacomo che scendeva, a piedi anche lui per tradizionale e antica educazione familiare. Sostammo a parlare per un poco. Quando gli dissi del mio proposito e gli mostrai la strada che mi accingevo ad imboccare, lui fece quietamente un mezzo giro su se stesso e con un ampio e lento gesto del braccio indicò una via a me ignota che si apriva dietro di lui, e mormorò: " Di là si arriva anche prima ".
Nei versi pregnanti e pieni di risonanze di questa silloge io vedo per me un'altra volta l'indicazione - preziosa, forse perché inconsapevole - di una strada. Questa volta però non mostrano una strada lineare. Quella che, dall'incerta fede di varie poesie conduce alle domande senza risposta dell'ultima, è una via che si muove attraverso il tempo e lo spazio disegnando non più la tradizionale linea retta tracciata dalla collaudata visione cristiana dell'esistenza, ma i cerchi concentrici che, con la pioggia di sassate che si abbatte sulla superficie in apparenza stagnante della vita, intersecano passato e presente, storia e immaginazione, speranze e rimpianto.
Le parole, che Giacomo ha intrecciato nella corona di passioni, reminiscenze e smarrimenti formata dalle sue poesie, chiedono al lettore di essere comprese nel senso pieno e vero. Cercano una sponda. Ognuno di noi è perentoriamente chiamato a rispondere come sa e come può. La risposta mia alla voce colta e gentile, ma anche severa e implacabile di Giacomo, mi sembra di averla trovata in una pagina di quello sconfinato libro di Dolores Prato che è Giù la piazza non c'è nessuno: " Sballottamento di passato, presente e futuro è la vita dell'individuo; sballottamento di terremoti, valanghe e guerre la vita della terra, che insieme butta all'aria case, animali, alberi e uomini. Gli sballottamenti coprono e scoprono, seppelliscono e disseppelliscono ".

                                                                                                                                             RICCARDO MAISANO


 

PREMESSA DELL'AUTORE


La poesia non è l'esclusiva ragione della mia vita, ma vi si riversa la mia esperienza, la mia inquietudine, la profondità degli affetti, il lutto, ora, per la perdita precoce, tragica, della mia adorata figlia Fanny. Lo stile nella scrittura ha un peso specifico : De Sanctis diceva che "la forma è la cosa". Nel mio caso la determinazione delle parole non lascia molto spazio a più livelli di lettura, se mai è la poesia nella sua interezza che può aprire a più interpretazioni. È in questo, sempre nel mio caso, che la poesia si distacca dalla prosa. L'immediatezza con cui molte poesie sono state scritte non vuol dire scrittura spontanea, ma pensieri sedimentati, che fuoriescono quando devono e, se il labor limae segue spesso veloce, non vuol dire che ciò sia un peccato di leggerezza, ma un modo personale di rapportarsi alle parole nel loro significato. Il mio percorso poetico e fotografico vuole essere come un diario dell'anima, non della mia anima soltanto, ma di tutte le anime portate a pensare, a riflettere sul significato della propria esistenza, nel suo scorrere. Forse il ricorrere delle stagioni, delle varie età dell'oro o del ferro, possono indurre a pensare a una ciclicità delle cose, ma si sa che le situazioni cambiano come il tono dei suoni o i colori o la luce nei quadri. Le mie poesie, come le mie fotografie, sono un giornale intimo che non è intimista. Sin da piccolo mi è stato inculcato il valore dell'universalità e quando scrivo o fotografo interrogo me, pensando agli altri. Il mio scrivere, il mio fotografare, spesso vissuto in prima istanza con le persone care, vuole essere anche una risposta al mondo in cui viviamo, dove certi valori vengono dimenticati, i valori primi intendo. Le radici, i luoghi, la natura, gli affetti entrano nel mio percorso, ma su tutto, il vento, che domina il nostro vivere, come il mare. Credo che la sostanza del mio fare sia un invito a vivere con gioia le cose belle, in contrapposizione dialettica al dolore, al dramma della morte, che comunque sono il vero motore dell'esistenza e che inducono alla creatività e alla libertà.

GIACOMO GARZYA, Napoli 22 gennaio 2010.


 

      VIAGGIARE

      Forse viaggiavo
      per cercare quelle immagini
      che avevo da sempre
     nella mia mente,
      forse viaggio
      per ritrovare il senso primo
      che mi tormenta da sempre,
      forse il viaggio
      è un tornare indietro
      per preservare qualcosa
      di allora,
      per non perdere quella natura
     che percepivo col candore
      di quell'età dell'oro,
      dei fiori del male
      inconsapevole.

       Napoli, 27 febbraio 2006


 

      INTRA MOENIA

      Piovischio di tristezza imbeve
      piante e palme sotto i busti
      severi di Palazzo Firrao.

      Ora l'acqua impreveduta
      travolge e un amico,
      di Aleksandr Blok,
      sparge i versi nell'aria
      senza tempo e luce.

      Dietro un vetro riparati
      la poesia ogni malinconia
      dilava
      e tavolini deserti guardano
      gli occhi sorpresi.

       Napoli, 7 luglio 2006


 

      VERDEMARE

      I tuoi occhi verdemare
      spari nella notte
      luce danno al dolore
      e al buio della vita.

      I tuoi occhi cangianti,
      come le linee del tuo viso,
      al tremolio delle torce
      le corde toccano
     delle anime assetate
     d'amore.

      Siracusa, 28-29 agosto 2006


 

      PARAFRASANDO UNA POESIA

      Se è vero che ho fede in me,
      posso sperare che Tu ne abbia
      in me?

      Siamo punti finiti
      in ciò che non è spazio
      o granelli ocra in un deserto
      infinito privo di speranza?

      La vita che viviamo e la morte
      sono le uniche certezze,
      le uniche cose vere,
      come l'amore dei datteri per
      l'acqua nell'oasi di un rigoglioso
      oltrevita?

       Napoli, 14 maggio 2007

       [leggendo "Ho tanta fede in te"
         di Eugenio Montale]



      

      HOMO FABER, HOMO LUDENS


      Ciò che sfugge a me
      povero di Dio
      è ciò che si vorrebbe
      nelle braccia stringere
      per accollarsi i grovigli della vita.

      Ciò che non sfugge a me,
      povero di Dio, è che l'esistenza
      è un dono,
      di per sé permette d'esser faber,
      nel giogo della vita, e poi ludens,
      nei giochi della vita.

        Napoli, 18 maggio 2007



 

      L'ALFA E L'OMEGA

      L'alfa e l'omega,
      come il ruscello che cresce
      e muore nel fiume,
      ma forse il fiume
       non è anche il ruscello?
       Tante vite in una,
      ma anch'essa destinata
      a fluire nel mare.

      In Qoèlet predicatore
      non sopravvivono nel ricordo
      degli uomini i faber e i ludens,

      da noi in Occidente, invece,
      ciò che è ben costruito
      (il Pont du Gard ho visto)
      al tempo resiste, al ricordo,
      come i grandi poeti,
      come le strade dell'anima
      in cerca di fede.

        Napoli, 19 maggio 2007


 

      IL PRIMA E IL DOPO

      Se un tenue filo ci lega
      al fiore, al petalo odoroso
      è perché vogliamo vivere
      tra l'arancio delle buganvillee
      di Miseno

      e gli oleandri ionici purpurei
      e bianchi.

      Non conosco vie di fuga
      nell'architettura del vivere,
      che non siano quelle
      dell'affetto per le mie terre,
      per i miei paesaggi del cuore,
      vissuti con la trepidazione
      di chi non sa che non è
      possibile averli nel sangue
      sempre, perché l'amore e
      la terra sono terra e amore ora.

      Dopo vorrei incontrarvi di
      nuovo nella luce soffusa
      dell'aurora.

      Forse è così che l'occhio vedrà
      le cose.

       Napoli, 21 maggio 2007



 

      MELANCONIA

      Se nella notte del desiderio
      i tuoi occhi nell'immenso vedo
      brillare,
      come Sirio la stella più bella,
      dovrei pensare a te come eterna
      nella mia vita.

      Ma come caduche sono le foglie,
      così i tuoi occhi e le stelle,
      quando la melanconia del buio
      preferisci alla luce,
      la penombra alla stella più bella.

      Forse è però come tu dici:
      il buco nero in cui cade
      la luminescenza
      porta a una nuova luce,
      quella che ritrovi con gioia,
      quando esci al mattino.

       Napoli, 23 maggio 2007



      

       AL MIO GATTO

      Il rigo agli occhi,
      la linea tra il visibile
      e l'invisibile demarca,
      come lo zenit,
      che è al centro delle tue pupille,
      mio Arturo.

      Si vede non si vede, però c'è,
      ne sono sicuro, il nonsense
      nella tua vita felina.

      Ora bevi acqua corrente,
      ora miagoli e strusci
      per un po' più di paté,
      ma alla fine ti sono indifferente,
      invisibile, senza materia.

      Esisti solo tu e, nella memoria
       egizia, regni sovrano.

        Napoli, 24 maggio 2007


 

      MORIRE COL SOLE?

      Si alza il sole
      e una luce si irradia
      negli occhi ciechi per una notte
      insonne.

      Hanno visto tenebra e si sono
      spenti
      nel dolore del buio,
      che è nella mente quando
      si pensa al destino di noi tutti,
      lontani dai raggi che danno vita.

      È questo il dopo?
      Morire col sole?

       Napoli, 31 maggio 2007



 

      RIMARRANNO LE TUE
      PAROLE?

      È fatale che tutto finisca
      tu dici, Agnello della mia anima,
      anche il sole e gli astri tutti.

      Nel vortice abissale tutti,
      nell'elicoide del Palazzo d'Urbino
      tutti, come in Matteo
      con "il cielo e la terra passeranno".

      Ma nel dopo rimarranno le Tue
      parole?

      A volte, se penso alla storia degli
      uomini,
      credo che Tu sia morto invano.

       Napoli, 31 maggio 2007



 

      PASSER, DELICIAE
      MEAE PUELLAE

      Dal mio angolo di mondo,
      in questa Napoli irreale, silente,
      un pigolio insistente di uccelli
      di nido l'aurora accompagna
      verso un nuovo mattino,
      come sulla Certosa quando
      manca il vento,che muove
      le foglie.

      Poche linee grigie nel cielo
      cilestro
      da pentagramma fanno alle note
      più riposte.

      Vorrei cantare un peana di gioia,
      perché ora penso a te,
      ma ieri è morto il tuo passero,
      non cinguetta più il tuo passero,
      non vola più e tu non sei più
      libera.

       Napoli, 1° giugno 2007

 


 

      LES ABEILLES, LES TERMITES,
      LES FOURMIS

      È possibile creare idee nuove,
      dare risposte nuove,
      quando tutto è già scritto?

      Cellette di cera sottile in esagoni,
      immutabili rimangono nella loro
      perfezione.

     Perché le api un ordine hanno,
      come le termiti nei loro termitai
     o le formiche operose e guerriere.

      Voi, regolate da una ragione,
      che meccanica sembra, molecole
      siete del nostro essere sociale?

      Ma se penso alle formiche di
      Maeterlinck,
      alle strategie di battaglia,
      arrivo a credere a una fantasia
      della natura,
      che richiama quella che è in noi.

      È possibile creare idee nuove?

      Sì, quando la fantasia è nel vento.

       Napoli, 3 giugno 2007

       [avendo letto, con grande ammirazione,
        i saggi naturalistici del poeta belga
       Maurice Maeterlinck, Premio Nobel
       per la Letteratura nel 1911, grazie
       soprattutto alla sua produzione teatrale]


 

      PELLE D'UOMO

      Il tuo profumo è la lavanda,
      quella che sento nell'aria
      qui in Provenza,
      o qualcosa di simile,
      comunque buono, odoroso.

      Il mio profumo è pelle d'uomo,
      che cerca una strada,
      per crescere ancora.

      Sarà lungo il Cammino,
      ma ho muscoli e tendini forti,
      ma di più la volontà,
      per vedere e sentire e pregare.

      Amami aria d'estate
      E sarai ripagata dal suono
      delle cetre, che ho nella mente.

       Nizza, 9 luglio 2007



 

      MONTAUBAN

      Vedo la tua terra, le case
     all'alba affollata di nuvole
     e penso a quando ragazzo
      per le campagne di Francia
      a perdifiato correvo,
      per cogliere zolle ricche
     di vita,
     per godere quel senso
     del passato,
     che avevo colto nei libri,
      per non perdere campanili,
     cerchie murarie e quei colori
     immutati nel tempo,
      ancora fissati nei quadri.

     Il treno corre lungo un canale
     e alberi e nuvole in esso
     tanti narcisi.

     Se questi sono i giochi
     della luce,
     è bello giocare così.

        Tra Montauban e Agen,
       10 luglio 2007



 

      SAINT JEAN-BAPTISTE

      Da tempo, da Fanny,
      in testa avevo il Cammino.

      Ora nel tuo gotico interiore
      i pellegrini vedo pregare e
      accendere i ceri.

      Ha senso per me un cero
      per meglio varcare la Porta
      di Spagna?

      Roncevaux a otto ore,
      per rivivere la Chanson
     de Roland
      e la sconfitta più celebre,
      che non è più nell'animo
      di tanti bambini.

       Saint Jean-Pied-De-Port,
       10 luglio 2007

       [il mio Camino de Santiago,
       iniziato all'alba dell'11 luglio
       si fermò a Pamplona il 13 luglio,
       dopo ottanta km, per un' infiam-
       mazione alle ginocchia, causata
       dallo sforzo per aver valicato
       i Pirenei, in pessime condizioni
       climatiche, laddove mia figlia
       Fanny, l'anno precedente, aveva
       completato il suo percorso fino
       a Santiago, in poco più di un mese]



 

      LEONOR MARTINEZ

      Hey Jacomo!!
      jejeje
      - il tuo grido,
      per la salita incombente,
      dura, molto dura,
      come lo è tutto
      il Camino de Santiago-
      vamos
      la vitta è cossì
      Jacomo!!

         Per Arre-Villava,
        13 luglio 2007



 

      KARNAK

      Un vento caldo mi accoglie,
      dolce come il miele,
      e il sole e l'oca
      e l'ape e il giunco.

      Figlio del sole
      e Re dell'Alto e Basso Egitto,
      questo, o grande Ramesse,
      di te dicono i segni sul Tempio,
      essenza di quella che è stata
      la tua gloria nella valle verde
      sul deserto sovrana.

      Ora fellah stanchi,
      immagini immote nel tempo,
      timore incutono per la povertà,
      tra case di terra battuta
      e un via vai senza futuro,
      in cui il sogno passa attraverso
      il fumo dei narghilè.

       Karnak, 13 agosto 2007

 


 

      DESERTO ARABICO


      Mi sfiora il piede
      m'inonda la risacca,
      onda di mare su onda,
      nell'infinito silenzio
      d'una notte stellata.

      Un nero punteggiato
      di lucciole,
      una lattea contrada,
      che solo qui
      si esalta nel suo splendore,
      il Tropico a un passo.

      Marsa Alam, il deserto tange
      il mare
      e all'aurora prendono luce
      le dune,
      come i profili dei monti, nude
      linee,
      che fanno pensare a ciò che
      è dietro,
      lontano lontano, la Storia,
      Tebe e la valle del Nilo.

       Marsa Alam (Utopia), 15-16 agosto 2007

 


 

      MAR ROSSO


      A guardia dei coralli,
      i pagliacci e intorno i farfalla,
      i pappagalli, i balestra,
      i chirurghi dalla coda gialla.

      È tutto colore festante di pesci,
      placidi senza paura,
      ma oltre la Barriera,
      murene, mante,
      squali e barracuda sono a caccia.

      Due mondi insieme:
      i colori
      con i grigi, i neri, i bianchi,
      in un'acqua manichea,
      ora alta ora bassa,
      come le maree nella gioia
      e nel dolore della nostra vita.

      Marsa Alam (Utopia), 16 agosto 2007

 


 

A MIA MOGLIE PAOLA


      Al Faraglione di terra
      rigòglio di gabbiani tesi
      nel volo,
      il controluce aggira,
      confine tra buio e argento,
      ansia e gioia di vita.

      È dolce planare sul riflesso
      verde della tua chioma,
      all'ombra dei tuoi occhi
      corvini,
      - questi gli scherzi della luce -
      mentre il tuo sguardo il campo
      apre a nuovi orizzonti, solcati
      da una barca,
      che pesca la profondità marina,
      come anima riflessa in cerca
      di luce.

      Ora s'allontana l'odore del pino,
      sospeso sulla roccia e il rosmarino,
      e sciolto l'abbraccio, il mare ci
      prende nel suo infinito.

       Capri, 20 gennaio 2008



 

      TRAGARA

      Senso di pace dà l'infinito,
      è come annullare la morte,
      che bussa alla porta, per un
      momento.

      Come invidio l'anima secolare
      di certi alberi, pronti a tutto
      per sopravvivere.

      A Capri la salsedine inalano
      e lo iodio e il privilegio
      godono
      d'albergare su un'isola,
      lungi dall'abbattimento,
      lungi dal malsano odore,
      che sulla terraferma ora si
      abbatte,
      lungi dal malsano odore
      dell'uomo,
      quando più la dignità non ha
      di comportarsi da Uomo.

       Capri, 20 gennaio 2008


 

      A FERRARA,
      UN MARTEDÌ GRASSO

      Dopo i carnasciali
      a piazza San Marco,
      qui, Martedì grasso,
      a Corso Ercole d'Este,
      già via degli Angeli,
      il silenzio,
      dall'acciottolato,
      fin su le cime dei pioppi,
      giovani, precoci, spogli,
      in filiera, a ornare dei
      diamanti, l'antica strada.

      E poi ancora silenzio,
      profondo, senza confini,
      a San Cristoforo alla Certosa,
      luogo d'arte e di sepoltura.

      Ferrara, 5 febbraio 2008

       [all'adorata figlia Fanny, Angelo
        del Paradiso, segno premonitore
        della sua tragica fine, avvenuta
        poche ore dopo, lontana dal suo
        papà]



 

      AI NOSTRI MORTI

      Spesso sui muri
      Sui muri dei cimiteri d'Emilia
      Sui muri del Castello estense
      Sui muri di via del Pratello
      Sui muri di piazza Maggiore
      Su quelli di via Saraceno
      o Mazzini, non ricordo,
      elenchi, effigi di martiri,
      memorie sono di dolorose storie.

      La memoria fa rivivere i morti,
      ne perpetua l'onore:
      dice che è valsa la pena per l'idea
      la rinuncia alla vita,
      la cosa più bella.

      Bologna, 5 febbraio 2008

       [all'adorata figlia Fanny, Angelo
       del Paradiso, segno premonitore
       della sua tragica fine, avvenuta
       un' ora dopo, lontana dal suo
       papà]


 

      UN FIORE RECISO
      Il tuo sorriso
      il tuo gioioso canto
      a tanti mancano.
      Ben chiaro avevi il senso
      della vita
      e lievitava il tormento tuo
      per l'ingiustizia diffusa
      e per i non ricambiati affetti,
      tu così solare e bella.
      L'amore era nel tuo vivere,
      come acqua fresca di fonte,
      che purifica dal male.

      Ben chiara avevi l'essenza
      dell'umana natura e agivi
      perché potesse in meglio
      mutare.

      Ora serena l'universo puoi
      contemplare,
      le stelle che amavi, le nostre
      stelle di Zante e Monemvasia,
      ma sempre resterai nel cuore
      di tanti,
      per l'umile esempio d'amore,
      che hai dato, Fanny, figlia mia.


       Cetara, 24 febbraio 2008


 

      SEDICI MARZO 1983


      Sulla nuca vento marino,
      freddo,
      come lo sono io dentro,
      oggi che avresti festeggiato
      i tuoi venticinque anni.
      Riscaldami col tuo sorriso,
      ora che senza di te ho perso
      una parte di me.
      Non è più gaio il mare,
      come quando vivevamo insieme
      lo Jonio e l'Egeo in quegli anni
      felici,
      plumbeo lo vedo e ostile,
      non grembo di mamma,
      non elemento primo,
      ma luogo di marinai insepolti.
      A riviverlo con gioia aiutami,
      nel ricordo di te, che tanto l'amavi.
       

       Napoli - Ischia, 16 marzo 2008


 

      UN CRUDELE DESTINO
      Si può accettare un crudele destino,
      che ha lacerato il cuore in modo
      così violento, da renderlo privo
      di palpito?

      Si può distogliere la mente dal
      terribile impatto,
      che ha stroncato un fiore fresco
      e colorato di bello?

      Si può ancora amare il colore
      cangiante del mare
      o i riflessi di luce cadenti dall'alto
      dei monti,
      dopo una pioggia liberatoria?

      Si possono ammirare le ombre
      cinesi, quando il pensiero corre
      al corpo inanimato sul ciglio
      di una strada remota?

      Si può pensare di vivere senza
      la tua costante presenza,
      senza il tuo incommensurabile
      amore?


         Napoli, 18 marzo 2008



 

      PRIVA DI VITA

      Marmi ben scolpiti, vellutati
      sono al tatto
      e all'occhio trasfondono mito,
      realtà, bellezza.

      Il marmo canoviano, che ho
      davanti,
      la fantasia anima, come i sensi,
      e calore dà
      al cuore e alla mente, non così
      la tua lapide,
      senza speranza, che al tocco
      dolce della mano,
      resta gelida e muta.
       

       Napoli, 22 marzo 2008



 

      FANNY E IL GABBIANO
      JONATHAN

      Spesso in me rivive l'anima
      del tuo Jonathan:
      è un modo per parlare con te,
      per condividere ancora
      l'emozione forte dei cumuli
      e dei cirri visti dai diecimila,
      per scendere in picchiata su
      quel mare in perenne conflitto,
      in perenne tempesta,
      per andare oltre i limiti
      consentiti,
      per godere le scogliere nel
      loro contrasto unico col mare.
      Mare, terra, cielo, Jonathan
      Livingston
      e la grande poesia di Neil
      Diamond,
      così, insieme, si godeva
      la potenza della natura
      e il suo essere libera
      nonostante l'Uomo.

      Se ripercorro la tua breve e
      intensa vita, Fanny,
      credo che tu sia stata davvero
      un' amica di Jonathan
      e per vederti, guardo sempre
      in alto il volo dei gabbiani.
       

       Napoli, 26 marzo 2008



 

      DA JERANTO


      Ogni sera ulivi secolari
      il tramonto su Capri, con occhio
      incantato
      e stupito guardano, perché se
      la tavolozza
      è sempre la stessa, i colori sono
      sempre diversi,
      come il cielo terso e le nuvole.

      E delle nuvole quante infinite
      forme!

      Le ulive nelle reti aspettano
      il mulo
      per lasciare il luogo incantato
      dove sono cresciute;
      le aspetta il frantoio, perché
      diano di Jeranto
      l'essenza del sole arroventato
      dietro i Faraglioni calante;
      il cosmo primigenio, ormai
      le antiche ferite sanate;
      l'eterno ritorno, quello dei
      vivi e quello dei morti.

       Napoli, 27 marzo 2008


 

      IL CECUBO


      È vero ch'ero vinto dal cecubo,
      ma le tue mani forti hanno stretto
      le mie mani forti, nel vortice d'una
      danza,
      che fremeva desiderio e ardore
      oltre ogni ragionevole dubbio.

      Tanta è stata la voluttà dettata
      dai gesti e dalle parole,
      da far presagire un'altra danza
      bacchica,
      con mani strette con più forza a
      mani,
      che con più forza risponderanno,
      nel segno di un'attrazione,
      che richiama il tragico
      dell'esistenza
      e insieme l'assoluta voglia
      di vivere.

       Napoli, 30 marzo 2008



 

      4 APRILE 2008

      Di per sé gli occhi parlano,
      tutto possono dire di te,
      che ami, che soffri, che gioisci,
      che non sei più, anche dietro
      una maschera funebre o di
      Carnevale.

      Vita e morte convivono, come
      la gioia e il dolore,
     e allora espressione vitale è una
      danza misterica,
      che il fiato toglie e porta a
      rimuovere il pensiero
      della fine, così che i miei occhi
      vivi rimangono
      e nei tuoi si specchiano.

      E i tuoi, veri, vivi, brillanti, ricchi
      di luce sono,
      come quelli d'una donna minoica,
      che raccogliere
      spighe ho visto, chinata nel suo
      dinamico e giovane corpo flessuoso.

       Napoli, 6 aprile 2008



 

      L'URLO

       L'urlo scomposto, trascendente,
       gotico,
      manifestare può tanto la vita
      come la morte,
      come l'urlo liberatorio dopo
      un travagliato parto,
      come l'urlo straziato per la
      scomparsa d'un figlio,
      che coltivato si è per un tempo
      troppo breve.

      Anche l'amore ha il suo urlo,
      di piacere,
      e questo, nel riso e nel pianto
      della convulsione,
      con l'esistenza concilia e
      la certezza dà di vivere.

       Napoli, 8 aprile 2008


 

      JONATHAN

      Non una stella stanotte,
      nuvole, nuvole e ancora nuvole,
      né gabbiani vedo volare, non ne
      ho mai visti di notte, eppure ora
      cerco il nostro Jonathan, amico
      amorevole e vero, quando si trattava
      di sognare insieme una vita libera,
      fuori lo spazio e il tempo,
      noi come Argonauti moderni
      sospesi sul mare.

      All'alba fa' un cenno Jonathan,
      solo tu sei il suo tramite, vagare
      negli Inferi non posso, perché sempre
      più forte è in me l'ansia di perdermi
      o di percepire solo un'ombra tra le
      ombre, quando cerco invece il suo
      sorriso, il suo parlare sensato,
      il suo benevolo, umano affetto
      di figlia.
      

      Napoli, 11 aprile 2008


 

      CONSCIO E INCONSCIO

      Ognuno di noi nel cuore conserva
      quaderni scritti e non scritti, di sé,
      i primi,
      ricordare vorrebbero memorie
      di vita,
      gioie, sofferenze e tanti perché.

      Complesso è il processo mentale,
      che il reale porta a interpretare
      e allora ciò che è scritto, l'analisi
      sembra di ciò che appare, degli
      eventi che ogni esistenza segnano,
      delle emozioni, del reattivo fare
      di ciascuno di noi,
      per convivere in un definito
     contesto.

      Ciò che non è scritto, il ricordo
      frammentato è
     di essere andati oltre il tangibile,
      oltre l'emozione,
      oltre la vita, per sconfinare nel
     nulla di nulla,
      nel vuoto cosmico, oltre il freddo
     o il caldo,
      al di là della coscienza,
      al di là del bene e del male.

      Napoli, 12 aprile 2008


 

      SAN LIBERATORE

     Di San Liberatore è questo
     cetrangolo, amaro,
     come a primavera un giorno
     di pioggia
     in un colorato paesino
     del Mezzodì.

     Ma quando i suoi spicchi aspri
     con zucchero di canna assaggi,
     viene fuori ciò che è la vita
     d'un uomo,
     un amaro e un dolce commisti,
     con note ora alte, ora basse.

     A Jeranto ventosa e gialla
    di fiori,
    il dolce prevale, quando
    la baia in pace,
    si può contemplare, l'amaro,
    invece,
    quando si è costretti a partire.

      Jeranto, 13 aprile 2008



 

       FERITE

      Vibrano le corde quando
      nel cesto,
     alle foglie secche d'autunno,
     si aggiungono petali di fiori
     vivi colti in primavera.

     Amoroso è il petalo carnoso
     e alla morte subentra,
     ma questo è solo un gioco
     di metafore
     sui cicli vitali, perché le ferite,
     che puoi percepire negli occhi
     d'un uomo,
     tutti noi dentro portiamo e non
     si cancellano con la bella stagione.

     La morte è in agguato sempre,
     ovunque,
     e la vita annienta.

     Napoli, 15 aprile 2008



 

       IL PRUGNO

      I bianchi, i rosa, del mandorlo
      e del pesco, rivedi insieme
     nel prugno,
     come l'amore d'una donna e
     d'un uomo
     rivedi nel figlio.

     Così va, che il figlio porta
     con sé
     il patrimonio dei padri e
     come prugno
      cresce per poi maturare
     propri frutti,
     purché non venga bruciato
     dal fulmine.

      Candida, 20 aprile 2008



 

      PRIMAVERA MATRIGNA?

      Forse oggi la natura non vedo più
      in modo benevolo, non più rifugio
      dalle ansie della vita nel vortice
      sociale,
      bensì meccanicistica e soggetta a
      regole,
     che lo spettacolo irrazionale delle
     fughe di nuvole o dei mari
     increspati travalicano.

     La contemplazione delle variabili,
     a immaginare la natura come arte,
     come trascendenza, spinge,
     ma la sua cruda nudità, la furia
     degli elementi,
      una violenza congenita nasconde,
     quella della vita,
     che combatte la morte, quella della
     morte, che sopraffà la vita.

     Forse la natura di per sé non è
     il sublime
    e l'uomo vi vede solo ciò che
     vi vuole vedere.

        Napoli, 21 aprile 2008


 

      UN HOMME, UNE FEMME

      Voglio pensare Madre Terra che tu
      sia felice,
      posso immaginare che sia ancora
      inondata di luce,
      tu che volevi provare l'ebbrezza
      d'un mare greco
      agitato, maschio e antico; tu che
      i sensi annegare volevi
      nel risucchio del gorgo dei corpi,
      groviglio inestricabile
      di ciò che è amore.

      La tua volontà aveva reciso
      il nodo gordiano
      e la nostra vita era divenuta
      un tutt'uno,
      tu terra, io mare, complementari
      nel disegno divino
      e ora che sei di nuovo lontana
      dal mio sguardo,
      ti vivo nel desiderio di riaverti.

        Napoli, 23 aprile 2008



 

       RUGHE

      Un medagliere della vita sono
      le rughe su un volto vissuto,
      così è per il marinaio
      roso dalla salsedine e dal sole
      impietoso,
      così è per un uomo, che ha
      vissuto il dolore e l'inquietudine,
      così è per una donna,
      che ha sopportato l'infelicità
      e l'abbandono.

      Napoli, 2 maggio 2008


 

      PROFUMI

     I tuoi sguardi intensi
     e profondi,
     nell'angolo più riposto
     d'uno scrigno,
     come gemme preziose,
    conservo geloso.

      E se ricordo una sera anni
      fa a Taormina,
     se penso alle sue zagare,
     ai suoi gelsomini,
     non posso non associare
     i tuoi sguardi di ninfa
     a quei profumi.

     Perché questi sono essenza
     di vita,
    come il volto d'una donna
    nella sua primavera,
    avanti che appassisca,
     come i fiori senz'acqua.

      Napoli, 3 maggio 2008


 

      RUE DE LA BROSSE

      Quante volte ho bussato
      a rue de la Brosse
      e quante volte a via Augusto
      Righi?
      Non eri a casa dicevano,
     e dove?
     Per trovarti, disperato, sono
     entrato nel labirinto,
     che è nella mente, e ho ucciso
      quel Minotauro
     che mi diceva che eri stata sua
      vittima sacrificale,
      significando ciò, che non ti avrei
     più vista viva.
     Il filo di Arianna, me, alla luce
     della ragione ha riportato,
     ma la realtà è comunque che tu
      non apri a chi ti bussa
      e non torni alla tua casa.
     Tu non tornerai più gioia
      delle gioie, perché l'atroce sogno
     è cruda realtà.

       Napoli, 3 maggio 2008


 

      LUTTO PERENNE

      Vorrei ora una guancia sfregiata,
      iniziazione alla vita e segno d'onore
      per uno Junker, lutto perenne per me,
      che, senza requie, soffoco nel dolore,
      costretto a vivere d'immagini e di
      ricordi, nel suono lontano della tua
      voce.
      

       Napoli, 4 maggio 2008


 

      IMMAGINI

      Nell'atmosfera tante bollicine,
      ognuna un'anima, tanti velieri,
      che gli scogli
     del mare celeste aggirano,
     virando a dritta
     o a babordo, in una danza lenta,
     in un corpo a corpo, che unisce e
     separa e che libra nell'aria
     amore libero, fuori dagli schemi
     consueti.

     Sulla terra legate due anime,
      bollicina ognuna
     in un vaso di vetro, nell'amplesso
     si stringono
     per superare gli affanni e
     si liberano in una danza
     dal tamburo ritmata, propiziatoria,
     che dà speranza, forza e non dolore.

       Napoli, 7 maggio 2008


      DOLCE FANNY

     Dalla larva, la crisalide e,
      la primavera dopo,
     ai campi, la metamorfosi offre
     la farfalla leggiadra.
     Breve è la vita, ma quanto basta
     per dare un segno d'amore, con
      scaglie colorate sulle ali, che
    danzano tra spighe dorate.
     Tu sei stata come farfalla
     figlia mia,
     a ornare col tuo generoso sorriso
     i campi di girasole,
     dalle foglie a cuore, come il tuo,
     tanti cuori, che sorridono
     al mondo senza temere l'onta
     del temporale.
    

         Napoli, 9 maggio 2008


      

       NORD

      Non vedo altro che grandi distese
      di nuvole,
      basse, immobili, incise nel cielo
      nei loro forti grigi e bianchi.

      Ciò con gli occhi solo qui si tocca,
      qui tra lapponi e renne, betulle e
      pini insieme,
      come il giorno e la notte senza
      confini.

      In questo brumoso, gelido mare
      di Botnia,
      vita e morte navigano sulla stessa
      barca,
      come se non esistessero l'inizio e
      la fine,
      come se la luce volesse congiungersi
      al buio, per rimuovere le tenebre
      dall'esistenza.

      Ma quando torna l'inverno, queste
      di nuovo
      prevalgono e solo l'aurora segni dà
      di luce.

       Rovàniemi - Oulu, 14-17 giugno 2008


 

        MONTE SAN COSTANZO

      Ho seguito i tuoi passi
      ho visto con i tuoi occhi,
      mi sono aggrappato ai ricordi
      di te,
      ai luoghi della contemplazione.
      La ruggine nella mente,
      non è riuscita a scalfirne alcuno.
      Jeranto, San Costanzo su tutti,
      dove il silenzio parlava di te,
      della tua generosa anima, già a
      un passo dal cielo.

      Marina del Cantone,

       
2 novembre 2008



 

      BOLGHERI

      Lungo i filari, cipressi, geometrie
      parallele,
     dall'ombra alla luce, e insieme
     guardo l'occasum solis, proprio
     di fronte San Guido,
     proprio davanti l'orizzonte marino.

      La suggestione è inarcare, affondare
      l'immagine del sole nel mare,
      quando la morte arriva talora avanti,
      prima di esistere.

       Bolgheri, 29 dicembre 2008


 

      PUNTA CANNONE

      Alle bocche di Capri,
      i tuoi occhi castani di tristezza
      velati, il sorriso cercavano
      in un'isola di macchie e pini.

      E il sorriso, inconfondibile,
      radioso e bello, a Punta Cannone,
      arrivò per il mio sguardo
      e irradiò di sé un mare blu,
      smeraldo;
      il sorriso di te, gabbianella,
      che nell'abisso nero,
      nelle immense profondità
      del mare, scendevi in picchiata
      per sublimare, col rischio
      del volo, ciò che era amore.

       Capri, 26 aprile 2008 -
       Volterra, 30 dicembre 2008



 

      SABBIE E PIETRE

      Tutte care
      le sabbie, le pietre della mia vita.

      In vasetti di vetro agiti il dono e
      prende vita l'amorfo,
      senti il vento e vivi colori vividi
      e storie distanti.

      Da Fanny viaggiatrice e sognatrice,
      le sabbie colorate dei cieli distanti
      e mai così vicini.
      Da Luisanna, la rossa sabbia di
       Vadi Rumm di El Aurans e
      l'arancio algerino del Sahara.
      Da Valeria, delle Maldive il bianco
       prezioso corallo, les islas del Rosario,
      Bali e Capo Verde picchiettata di neri
      puntini.
      Da Maurizio e Grazia, Ohau North
      Shore, Kailva Kona, Miyajima sacra,
      Rancho luna-Cienfuegos, Stromboli
      nera lucente e Formentera.
      Da Patrizia, Tulum e Varadero Punta
      Frances.
      Da Anna, Akumal e Leptis Magna.
      Ragusa Ibla da Chiara, sorella.
      Da Antonia, Cheope e da Antonio,
      il viola Venezuela.
      Da Nancy, Coral Pink Sand Dunes
     finissima e calda.
     Da Franco ischitano, Ustica e di
     Lefkada, Egremni, tra loro così
      diverse le pietre.

      L'isla de Chiloé e Calvi, la spiaggia
      d'oro, poi di Arutas, bianchi sassolini,
      da chi non ricordo.

      Da me, Cala Violina Maremma,
      l'ocra di Gozo Ir-Ramlia, Nallikari di
      Botnia lontano Nord e del Sud estremo
      indiano mare, Tamarin e l'isola dei
      cervi, Mauritius.
      Il sale turco di Tuz Gölü e della Grecia
      amica
      Melidoni, Sfinari, Elafonìsi, Balos e
      Falàsarna.
      L'alabastro di Luxor, infine, a lenire
      il dolore, che ci portiamo dentro.

      Si viaggia anche così, nel ricordo
      degli amici.

       Napoli, 29 settembre 2007-
        Cala Violina (Scarlino), 2 gennaio 2009



 

      SOPRAVVIVERE

      Alla Cala Violina, di nuovo
      s'inizia,
      dopo un terribile bisesto, in cui
      il pensare
      è stato proprio un non pensare.

      Qui, come allora, come sempre,
      questa sabbia armonica a un
      concerto di pace fa sperare,
      fra la forza del mare e l'incudine
      della dura roccia,
      tra la Madre e il Padre, con nel
      cassetto gli affanni e nelle mani
      grani finissimi, ogni grano un
      ricordo.

      Tanti sono quelli che ognuno
      di noi porta con sé, soprattutto
      quando perde l'aquilone,
      pur inseguito con forza nell'aria.

      Cala Violina (Scarlino), 2 gennaio 2009


 

      L'IO DIVISO

      Scegliere
      tra l'etica e il chiaroscuro,
      tra il duraturo e il fuggevole
      il riconoscente e
      l'irriconoscente, l'amore
      e l'odio,
      è qui l'Io diviso.

      Scegliere
      tra il pieno vivere
      o il lasciarsi andare
      nella quiete delle ombre,
     che ora nuvole pigre
     disegnano sul mare, sino
      a lambire Montalto,
      vero muro tra le emozioni
      di Jeranto
      e la geometrica normalità,
      è anche qui Io diviso.

        Marina del Cantone, 11 gennaio 2009


      

       BEI RICORDI

      Fanny, vivo con te nell'Egeo,
      sempre con te, tanti ricordi
      e le mosche di kafenìon,
      che ci pizzicavano le caviglie,
      tu a leggere, io a scrivere,
      in una Diafàni senza tempo,
      ma piena di luce.

       Napoli, 19 gennaio 2009


 

      LACRIMATOI

      Pietre, legni, corde, ferro,
      tutte le età dell'uomo,
      in lacrimatoi di terracotta,
      aggrovigliati,
      come cornucopie sbagliate
      della dea Fortuna,
      in cui il pianto, per te, era
      ancestrale dolore.

      Il sogno è un viaggio nella vita
      e può produrre lacrime di pietra.

      Nei tuoi lacrimatoi, ieri, io vidi
      le tue,
      le mie, oggi, su una gelida lastra
      di marmo, tu vedi.

      Napoli, 4 maggio 2007-1° febbraio 2009

       [dopo aver guardato una mostra
        del caro amico scultore Francesco
        Alessio]


 

      LE NOSTRE VECCHIE CHIESE

      Quante cose hanno visto i sagrati
      delle nostre vecchie chiese.
      Quanto hanno visto.

      Amori, promesse mai mantenute,
      diritti d'asilo e chi le bronzee porte
      non riusciva a varcare, massacrato
      tra le colonne, tra le bestemmie
      di chi trapassava da parte a parte
      e le sue.

      Quanti pentimenti sui sagrati
      delle nostre vecchie chiese e
      quanto parlare, quanto sparlare,
      quanto il ceto ostentare,
      quanto desiderare
      quanto amare,
      quanto odiare.

      I sentimenti tutti,
      sui sagrati delle nostre vecchie
      chiese,
      come le esequie e le nozze,
      i battesimi, che a esser cristiani
      portavano, senza consapevolezza
      alcuna.

      Quanto pregare nelle nostre
      vecchie chiese,
      quanto vedere l'abbraccio
      consolatore del Crocifisso.

      Quanta fede hanno visto
      le nostre vecchie chiese
      e quanta poca fede,
      anche la mia.

       Napoli, 5 luglio 2009


 

      EROS E THANATOS

      A Beatrice Niccolai

      Vita e nulla inesistente contrapposti,
      come l'oblio e il ricordo,
      ma tu donna del Mugello,
      che canti
      gli amori perduti, il mistero dei campi,
      delle tue stagioni sparse nella memoria,
      tu vuoi esistere nel ricordo di una
      cantina, ubriaca di lui, umida dei suoi
     baci, che hai ancora in seno e sulle
     tumide labbra,
      come lui di te il temporale.

      Tu vuoi esistere
      e vivere le cose semplici della vita,
      non vuoi morire al pensiero della morte,
      che tutti attende,
      e sai bene che l'assenza del ricordo
       è come morte dell'anima,
      di qui anche il presente, fino in fondo.

       Napoli, 5 luglio 2009


 

      QUANDO DORMIAMO


      Quando dormiamo siamo più belli,
      dicono le mamme, le mogli, le amanti.
      È il tremore della vita,
      che ci indurisce nello stato di veglia,
      che indurisce il ricordo delle ore felici.
      Ma queste, il vento mormora nell'anima
      di chi ha amato e come uragano danna
      quella di chi il confine dell'odio ha
      varcato.


      
Napoli, 6 luglio 2009


 

      MUSIQUE DE CÉLINE
      MONTMASSON

      a Céline,
      fotografa dell'anima

      Musica componi con
      le immagini.

      Note fatte di colori, di piani
      su piani,
      in uno spartito, in cui il blu
      traluce
      dall'acqua di un rivo di
      Francia,
      il giallo dalle spighe di grano
      maturo,
      il rosso fuoco dell'amore
      dai fiori.

      In tutto si specchia il quadro
      del tuo animo, tra freddo
      e caldo il contrasto,
      come per te lo sono
      la tristezza e la gioia.

       Napoli, 7 luglio 2009


 

      IL VIAGGIO DELLA VITA

      A Chiara sorella

      Tante sequenze i miei viaggi,
      come foto su celluloide fissate
      dagli occhi
      attraverso finestrini in corsa
      col vento.

      Pianure, monti, pascoli, fiumi
     da ponti di ferro, alberi quanti
     alberi, casolari, case su case,
     porti, confini di stato, pullulare
      di volti,
      attraverso finestrini di auto e
      di treni in corsa.

      Tante sequenze, quanti ricordi,
      questi i viaggi con Chiara sorella,
      fino ai vent'anni.

      In lotta col tempo che passa,
      senza tornare indietro,
      il viaggio della vita continua,
      e quell'anfora,
      che viene dal mare, lì al centro
      del quadro,
      tutti li contiene i ricordi, proprio
      tutti, recenti e remoti.

      Né togliendone il tappo,
      i mali del mondo e la morte
      agli uomini darebbe Pandora,
      bensì la vita, la gioia di vivere e
      ancora vivere,
      che solo il viaggio e gli affetti
      possono dare,
      anche quelli per sempre perduti

       Napoli, 8 luglio 2009



 

      A UNA DONNA DEL SUD

      Il viso che si riflette sul vetro,
      tenue, pensosa rende
      la tua mediterranea bellezza
      e un ricordo indelebile lascia
      nella memoria,
      non uno fra i tanti segni,
      che puoi incontrare nella vita,
      ma quello, che hai trovato
      in una donna
      appena smorzata dal tempo,
      che anche i fiori appassisce.

      Dietro la dolcezza per gli anni
      vissuti,
      la bellezza interiore, data dalla
      luce,
      che emanano gli occhi vivi,
      i tuoi occhi di donna,
      che sanno vedere il fondo
      dell'anima.

       Napoli, 9 luglio 2009



 

      LETTERA APERTA A
      AUNG SAN SUU KYI

      Al tempo dei re assoluti,
      delle dittature in Europa,
      come da te in Birmania oggi,
      il carcere, il rogo, il lager,
      il gulag
      per punire i dissensi politici,
      i Giordano Bruno, le streghe
      o chiunque, dalla vendetta
      ingiusta e sottile, dall'odio
      razziale, religioso, fosse stato
      colpito.

      Ora penso a te Aun San,
      con la forza zittita,
      come penso ai moriscos,
      ai marrani, al tempo di
      Torquemada,
      al quale una parola, un rigo,
      per spegnere un'esistenza,
      bastavano.

      Al tempo d'oggi, delle
      cosiddette democrazie,
      cara Aung San Suu Kyi,
      diversamente capita, ma
      quando la menzogna
      e l'ingiustizia colpiscono,
      i rimedi spesso sono anche
      peggiori,
      perché col giudizio infamante
      della gente stolta,
       con l'isolamento e la morte
      civile e morale,
      la vita ugualmente stroncano.

      Chi meglio di te,
      l'ingiustizia conosce,
      quella che il tuo popolo subisce,
      e sai anche che ciò può portare
      alla sfiducia verso il proprio simile,
      gli amici più cari, persino i parenti,
      come avveniva a Mosca, a Berlino,
      a Pechino, o oggi a Teheran o nella
      tua Yangon,
      dove sei stata detenuta e di nuovo
      detenuta,
      per aver difeso i diritti violati.

      Cara Aung San Suu Kyi,
      alla violenza non hai risposto
      con la violenza,
      come accade invece a chi la
      Virtù non possiede,
      non solo quella cristiana.
      È questa la tua forza, la tua
      straordinaria forza,
      che a tutti è di lezione.

         Napoli, 10 luglio 2009



 

      IL SILENZIO

      Dall'omega all'alfa,
      per riaprire i cicli vitali,
      quelli, che partono dai silenzi
      degli stiliti
      in cima a una colonna,
      per arrivare ai suoni
     delle campane nei borghi e
      poi nelle città anonime, solo
      animate dal calpestio di masse
      senza nome,
      senza religione, senza cuore.

      Ma questo suono della
      coscienza l'individuo,
      come singolo uomo inteso,
      riaprire può
      e parlargli intensamente
      di ciò che è il colore dei
      campi.

      Napoli, 11 luglio 2009


     

      AMORE, AMORE, AMORE

      Alla tua carezza sorridevo,
      amore.
      Al tuo abbraccio fremevo di
      desiderio, amore.
      Al tuo bacio provavo il tuo
      languore, amore, e,
      nell'amplesso, i miei occhi
      erano i tuoi, amore.

      Al commiato, ero distrutto e
      la notte senza te malinconia
      pura, amore, e il tuo cuore di
      donna si stampava sul mio,
      fino ai primi albori, amore,

      e tutto con te riprendeva fino
      a sera, amore,
      come oggi a Capri,
      a Pizzolungo, amore,
      sovvertendo noi la fisica degli
      umani e librandoci nel vuoto
      della falesia, tra l'energia dei
      quanti, che era in noi,
      e lo spazio e il tempo dilatati
      da ciò che era amore.

       Napoli, 10 luglio 2008 - 11 luglio 2009


 

      NASSYRIA

      Al Caporal Maggiore
      paracadutista, Alessandro
      Di Lisio, caduto oggi,
      in Afghanistan,
      in un vile agguato.

      Dal tuo abile scalpello, dal tuo
      generoso ingegno, tu che come
      aquila hai volato sul Lago Vittoria
      a difendere i deboli di Chiga, dalla
      quercia dura, poi bronzo lucente,
      un gruppo terso nell'anima,
      un gruppo di Martiri, oblunghi,
      stretti nella morte, levigati nei volti,
      come anonimi nel sacrificio, dono di
      sangue di chi per la pace trarre ha
      voluto
      dal dolore il sorriso.

        Napoli, 14 luglio 2009

       [guardando la scultura, prima in legno,
        poi in bronzo, di Osvaldo Moi - Premio
       Nobel per la pace, New York 1988 -
       realizzata in memoria dei 19 Martiri di
       Nassyria e simbolo dei caduti di tutte le
       guerre]


 

      SULLE AFFINITÁ ELETTIVE

      La chimica due corpi
      avvince,
      quelli d'un uomo e
      d'una donna, e l'animalità,
      che è in noi, terreno
      fertile trova e inizio dà
      all'innamoramento, meglio,
      alla reciproca ineluttabile
      attrazione.

      Dal bacio appassionato,
      vera prova di erotica affinità,
      all'amplesso dei corpi, al fare
      l'amore nel trasporto,
      nell'intreccio inestricabile,
      unico, indimenticabile,
      al viaggio insieme nella vita.

      Il nostro passato, le sofferenze
      patite, gli ostacoli materiali,
      le mille paure, noi nell'animo
       ancora ragazzi, l'umore instabile
      nel giorno, tante e ancora tante
      variabili si frappongono,
      tra ciò che si ha e ciò che
      si vorrebbe per sempre.

      Quindi alla fisicità, alla chimica,
      all'eros comuni, aggiungere
      occorrono le affinità elettive,
      che vedo nella reciproca simpatia,
      nell'assonanza d'idee,
      nelle caratteriali compatibilità.

     È qui che la durata dell'amore alla
      prova si mette, come i sentimenti.
      È qui che il razionale e l'irrazionale
      vengono a congiungersi.
      È qui che l'amore fisico diventa
      Amore.

      Oppure tutto è vissuto
      in modo ossessivo, anaffettivo,
      un sesso folle e i progetti solo un
      nulla, un reciproco carpe diem,
      che porta a vivere giorno per giorno,
      senza che i sentimenti si radichino,
      senza il necessario rispetto, nel
      litigio continuo, per arrivare all'odio,
      all'odio puro, distillato, partorito
      dall'incomprensione
      e dall'incapacità di capire
      e di amare.

       Napoli, 17 luglio 2009


 

      COLORI DI LAURA

      Ocra e azzurro
      nei tuoi paesaggi dell'anima,
      come soffi di vento rosa,
      il tuo animo tormentato di
      donna
      addolciscono e stemperano
      i freddi duri come il ferro,
      che nei corpi vivi trovi,
      ma tratteggiati
      da linee d'angoscia,
      che si confondono nei fucsia
      blu bordeaux verdi,
      gelidi nella loro disarmonica
      crudezza.

      Col rosso del tuo cuore
      contrastano
      gli aculei neri delle erbacce,
      che rompono il campo visivo,
      ma quel campo di colori in
      fuga
      il profondo tocca e è rottura
      e continuità
      nell'arancio del deserto,
      che ritrovi nella superba marina,
      con quei blu vari, profondi,
      che demarcano la terra dal mare,
      il finito dall'infinito.

      Ancora minacciose nuvole
      incalzano,
      in lotta tra loro, come tromba
      d'aria,
      e non sono che l'uragano,
      che è in te
      e che ti trascina verso una luna
      arcigna, che guarda i tuoi
      scatenati elementi contro l'isola,
      che è dentro tutti noi,
      tanti Robinson Crusoe
      in cerca della via maestra,
      che ci riporti in un porto
      sicuro,
      non in un porto sepolto.

       Napoli, 23 luglio 2009

       [guardando i quadri della cara
       amica Laura Bottaro]

       IL DESERTO E IL NILO

      Sabbia morta è il deserto
      e senza terra di nessuno il mare
     baci
      e come muraglia cinese, linea
      infinita,
      un mondo dall'altro dividi.

      Sabbia senz'acqua,
      dolce al sole arancio,
      solo per le tue piste vivi
      e per il ghibli caldo,
      secco, che dal sud improvviso
      sconvolge le dune.

      Ma ecco il Nilo di Nefertari
      tanto bella e divina,
      ecco la forza dell'acqua regina,
      che il deserto divide
      e lascia Osiride custode dei morti
      al suo amaro destino.

      Ecco il loto che a valle scende per
      abbracciare il papiro,
      ecco il verde del Nilo e rettangoli
      infiniti ricchi di messi
      ecco le palme nubiane e quelle
      che fino al delta vedi
      ecco la vita che cancella la sabbia
      senz'acqua.

       Napoli, 4 agosto 2009



 

      ANCORA SU "L'IO DIVISO"

      Germoglia l'odio,
      come l'amore, nella natura
      umana,
      e amore genera amore,
      come odio genera odio
      e dall'amore può discendere
      l'odio,
      come dall'odio il prossimo,
      come se stessi, si può arrivare
      a amare,
      come Paolo di Tarso, persecutore.

      Ecco allora l'Io diviso, non
     manichea scelta, tra il bene e il male,
      ma giusta misura da dare a amore
      odio,
      odio amore e l'ago della libra verso
      l'amore spostare.

      Nel bene vi è anche il male, anche
      l'odio cova e in antitesi non sono,
      ma in misura diversa in noi sono,
      a seconda delle nostre particolari
      storie,
      a seconda dei vari accadimenti della
      vita di ognuno di noi.

      Come se l'integralismo
      non fosse intolleranza - odio
      come se l'invidia per la ricchezza
      altrui non fosse invidia - odio
      come se le ideologie
      non portassero a divaricazioni - odio
      come se il colore della pelle
      non portasse a discriminazione - odio
      come se l'amore
      trasformarsi non potesse in odio
      e poi, succede, di nuovo in amore.

      Tuttavia nessun bambino ha l'odio
      in nuce,
      ma poi più grande arriverà a conoscerlo.

      Tuttavia nessuno odia, è tabù, la parola.

      Come se l'odio fosse riprovevole e
      appannaggio di pochi
      come se l'odio non fosse uno degli
      umani sentimenti
      come se le guerre fossero solo delle
      formiche e delle termiti
      come se l'odio fosse solo nella grande
      storia e non nelle nostre
      piccole quotidiane storie.

      Come se Gesù non avesse usato violenza
      nel Tempio.

      L'ipocrisia, la massima ipocrisia è qui,
      dare agli altri l'odio,
      che in noi stessi cova.

      È anche qui Io diviso.


       
Napoli, 18 luglio - 9 agosto 2009



 

      NAPOLI SEGRETA E ANTICA

      Nel cuore della Sanità magica,
      voci misteriche sommesse
      di animulae vagulae et blandulae,
      dal profondo d'un antro cumano,
      scolpito col sangue da mani antiche
      ferite,
      la mente sorpresa invadono e questa,
      inquieta, incredula, scappa e
      il pensiero attonito rivolge alle
      aspidistre, al rosso fuoco delle camelie,
      che la strada aprono
      a limoni aranci cachi e mandarini,
      vera gioia di questo segreto giardino.
      Alle luci delle fiaccole soffuse,
      in una tiepida sera d'estate,
      questo chiostro sereno, inaspettato,
      silente, di millenaria storia pregno,
      che incontrare puoi nel ventre della
      Napoli più antica, il senso dà del
      passato,
      fatto di tufo apotropaico, di blocchi
      di pietra squadrati, solidi,
      che con toni bassi e gravi sussurrano
      di antiche memorie e di antiche storie.
      Radioattivi, elettrici, eterni, da reggere
      secoli, come i versi dei poeti greci,
      in un mondo fatto di corporeo e
      incorporeo,
      di voci che tengono il filo tra la vita e
      la morte,
      tra credenze pagane e cristiane.

        Napoli, 12 luglio - 12 agosto 2009


 

      IL FALCO E L'AQUILA


      A Giuseppe Maggi,
      grande archeologo
      e amico

      Geràki, su una collina appollaiata,
      castello franco, già greca, monti e
      pianure e Sparta lacedemone guardi,
      come da noi Gerace calabra, tra le
      dolci Serre
      e l'Aspromonte selvaggio.

      Voi, la memoria riportate a Hieràcon
      polis, la tua città, Horo,
      dio dal maestoso Tempio,
      da cui tutto il corso del Nilo domini,
      da Abu Simbel a Tebe a Memphis,
      la tua forza unendo l'Alto e il Basso
      Egitto.

      E tu occhi di falco,
      dai potenti artigli e dalle ali lunghe,
      ora sei pellegrino, ora gheppio,
      ora girifalco, ora smeriglio
      e come turbine sulla preda, più
      dell'aquila, veloce, in picchiata ti
      abbatti e la nuca col becco spezzi.

      Tu falco, io aquilotto macedone,
      come quello, che, a Kastorià,
      fiero raccolsi e curai e coccolai,
      sognando ragazzo, la libertà dei
      cieli,
      ora dominio di missili distruttori,
      di vorticose eliche e ultrasonici
      motori.

       Napoli, 20 luglio - 13 agosto 2009.



      FÁRSALO O DELLA
      GRANDEZZA DI CESARE

      al carissimo amico,
      Bruno Ciannelli


      Quando attraversasti il Rubicone,
      il tuo destino segnasti, Caio Giulio
      Cesare, quello del tuo potere e della
      tua morte.

      A Roma, dopo le stragi in Gallia,
      la forza tua temevano.
      Tu, che assediante e assediato
      insieme, il sangue dei tuoi nemici,
      a fiumi, vedesti scorrere a Alesia,
      come i Parti videro quello di Crasso
      a Carre, l'antica e gloriosa Harran,
      come Annibale quello di Lucio
      Emilio Paolo Console, a Canne,
      dopo le Forche Caudine, le due
      grandi cocenti sconfitte di Roma.

      Anche Pompeo ti temeva Cesare
      e le sue legioni contava, tante più
      delle tue, ma senza colpo ferire tu
      la Spagna domasti e poi a Durazzo,
      cingesti lui d'assedio, per inseguirlo
      fino alla piana di Fàrsalo, ora Larissa,
      ove io ragazzo, da mio padre ben
      istruito, l'errore di Labieno vidi
      sull'ala sinistra, che Pompeo portò
      nella polvere, egli sovrastante in
      cavalli e uomini, egli valente, egli
      di vittorie carico, egli gloria
      di Roma.

      Questa è la mia poesia epica, per te
      amico mio.
      Era il 48 ante Christum natum
      e Pompeo Magno la testa offriva a
      Tolomeo vile e tu Cesare, pure
      Magno, ne piangesti la morte,
      quella d'un grande romano e
      l'ira ti prese la mano.

       Napoli, 21 luglio - 13 agosto 2009


      

       IL PIANTO E IL RISO

      È il sole come il cuore
      di ciascuno di noi?
      Allora piange anche lui,
      allora sa piangere
      come le foreste pluviali
      o la terra bombardata
      da meteoriti, oggi da bombe,
      sa piangere,
      come gli uomini e le bestie,
      quando soffrono.

      Ma tu sai che solo a queste
      non è dato piangere di gioia,
      solo a queste non è dato ridere,
      quindi il pianto, che dal tragico
      della vita viene,
      è di tutti, mentre il riso solo
      appannaggio è dell'uomo e
      del sole.

       Napoli, 13 agosto 2009


 

      "LE VENT NOUS PORTERA"

      Nell'ignoto i venti ci guideranno,
      anche la nostra anima ne ha,
      in noi intera è la rosa
      e ci porta lontano
      o ci precipita nell'oscurità.

      Inconoscibile è il domani,
      solo chi guida i venti lo sa.

      "Le vent nous portera"
      il mio tesoro cantava,
      e, come Orsa Maggiore,
      i suoi occhi brillavano,
      ma la vita amare non basta,
      da vivi, occorre viverla.

      È Fanny che oggi guida i venti
      della mia anima, quella di tutti,
      è lei che sorride al destino,
      è lei che ne fa capricci di mare.

       Napoli, 15 agosto 2009



 

      IL BUIO DELL'ANIMA

      Nascosta nella notte
      luna calante,
      in un sussulto i tuoi occhi
      un sogno oscuro hanno
      aperto, come la luce del
      sole li socchiude ai vivi.

      Un buio sporco
      i tuoi occhi hanno aperto.

      Non lo capisci
      non lo ricordi
      lo hai rimosso,
      ma le pupille ormai fissano
      il nulla e le orbite ruotano.

      Neanche un insetto
      solo la tua coscienza
      dice che forse vivi

      in realtà è tanto che sei morta,
      dentro.

       Napoli, 16 agosto 2009



 

      GERUSALEMME

      In nessun luogo,
      più che a Gerusalemme
      Città Santa di un solo Dio,
      vedi cos'è la fede.

      In nessun luogo,
      più che a Sion o sulla
      spianata delle moschee
      o fuori la porta dei leoni
      o nei sinedri
      o nelle sinagoghe
      o nelle chiese sante,
      è più disperata, arrabbiata,
      solenne, arcaica, la preghiera.

      In nessun luogo,
      tutti insieme, trovi
      incenso ortodosso, copto,
      armeno, cattolico, melchita,
      l'olio di nardo,
      con cui Maddalena unse
      Gesù,
      i salmi ritmati degli ebrei,
      gli inviti alla preghiera
      dei mu'adhdhìn.

      È come se la fede,
      l'ultimo tentativo, l'unico
      appiglio, fosse per dare a
      sé stessi una ragione in più
      di esistere come individui,
      come lingua, come razza,
      come popolo.

      In nessun luogo
      tutte le radici della quercia,
      dell'ulivo,
      forza e pace, tanto vicine
      alla violenza e all'odio,
      e quanto è importante
      possedere la chiave di questi
      luoghi santi, sulla tua roccia,
      Gerusalemme.

      La ragione è in tutti. Amen.

       Napoli, 3 settembre 2009


 

      PETRA

      A volte, parla la morte,
      la senti
      a Pantalica necropoli antica,
      immota nel tempo,
      al Cimitero marino di Valéry,
      vero tumulo d'Europa rosa
      dai vermi,
      nei cimiteri di guerra, ovunque
      sparsi, fatti di giovane sangue,
      in rivolta,
      nelle Piramidi o nelle valli dei
      re o delle regine.

      Ne ho viste di tombe, anche la mia.

      A volte parla la morte
      la sua storia urla con le croci più
      varie,
      con semplici nomi, date, luoghi
      o con grandi cartigli di re
      o con tutte le gesta affrescate,
      come Kadesh a Abu Simbel,
      nel Tempio del grande Ramesse,
      doppio l'arco, doppio il braccio
      saettante, doppio il carro.

      Ne ho viste di tombe,
      ultima Petra
      e anche qui ho sentito la morte
      parlare,
      ma nulla di scritto ho visto,
      solo i mille colori nell'arenaria
      scolpiti,
      i mille colori della città rosa,
      che a sera rivive misterica,
      sotto un cielo fiorito di stelle,
      nitide, pure,
      e alle luci di fioche candele
      e al dolce suono del flauto,
      che la scena illumina, senza
      un filo di vento,
      se non quello dei morti.

        Napoli, 12 settembre 2009


 

      FURORE ALTO

      Di fronte a me, un mio quadro.

      Un albero spoglio e, giusto al
      centro, un bianco chiarore, che
      si dilata ai lati.

      Sì, il confine tra mare e cielo
      manca.
      Li abbraccia tutti e due e
      l'orizzonte
      infinito, questa volta, nel nulla
      sparisce,
      perché così si presenta, a volte,
      il giorno e si confonde con
      la tristezza, che, a volte, è in noi.

       Napoli, 26 settembre 2009



 

      PER ALDA MERINI

      Sulla costa scoscesa a gradoni,
      ad pastinandum da tempi remoti,
      biancolella e pepella, degli aromi
      della salvia e del timo si tingono
      e il mare turchese a Marina di
      Praia ingentilisce nel nome di Alda
      Merini,
      dai vivi come dai morti voce
      ascoltata, dalle onde dei marosi,
      come dalla quiete, dalla coscienza
      vigile, come dal tormento,
      che viene dalle grida di anime
      inquiete, che moralmente stare
      non vogliono al gioco delle ipocrisie,
      nel doloroso travaglio della mente.

      Di qui lo scrivere o il fermare per
      immagini, come il pittore, che ho
      incontrato oggi, nel mentre ridava
      anima a colori bruciati dal sole e
      dal tempo e movimento ai cavalli
      nella corsa sfrenati,
      come alla danza delle ninfe
      fecondate dall'ebbrezza del vento
      marino, che sale fin su a Furore
      Alto, dove sussurrano il mito e
      la storia d'Amalfi.

      Tutto questo nel giorno dei Santi,
      che precede il giorno dei Morti.

       Napoli, 1° novembre 2009

       [poesia che ho scritto alla notizia
        della morte di Alda Merini, dopo
        essermi immerso nella mia tanto
        amata Costiera amalfitana e aver
        visto all'opera il mio caro e vecchio
        amico pittore, Antonio Oliveri del
        Castillo, nel tentativo di restaurare
        un suo murales a Furore Alto]

 


 

      MONTE SANT'ANGELO
      A TRE PIZZI

      Su Positano, a Santa Maria
      del Castello,
      rubrato aglianico nelle vene
      scorre, in tuo nome,
      Sant'Angelo a tre Pizzi,
      mentre fitta nebbia, tutto
      ti copre, come le brughiere
      nel lontano Nord,

      tu che domini il mare e avanti
      i monti, fino ai Faraglioni di
      Tiberio Augusto,

      tu che hai visto i barbareschi
      all'assalto di miti e operose
      coste e i pescatori, come tutti,
      fuggire per irte scale di pietra
      su su fino al Castello,

      tu che hai visto quel mio Angelo
      di figlia cogliere pannocchie
      aranciate, su una scala distese,
      che portava a una Chiesa e a
      una Croce, ora la sua.

      E qui, solo pace,
      ché lo Zefiro soffia, dai Campi
      Elisi.

        Santa Maria del Castello,
        8 dicembre 2009



 

      RAVELLO

      D'autunno, l'ultimo giorno,
      il marsia paestum "ogni male
      stuta".

      Non giorno di brume,
      ma come Primo Vere, serena
      luce.

      Qui il Parsifal iniziò
      e qui la normanna regina
      il cuore aprì al sole del
      Mezzogiorno.

      Qui, dove arabi archi a ogiva
      il romanico sposano,

      dove alligna pure il papiro,
      come la ducale pergamena e
     bizantina,

      dove, ora, i colori spenti,
      vivi esploderanno al prossimo
      equinozio,
      in tutta la gamma dei toni caldi
      del cuore
      e parleranno, nel gergo proprio
      dei fiori,
      dell'anima di ciascuno di noi
     e dei momenti felici.

       Scala, 20 dicembre 2009


 

      IL GHIACCIO E IL FUOCO

      Dalla Mer de Glace,
      all'Aletschfirn
      e al tanto caro Langtauferer
      ferner, ghiaccio eterno, tanto
      ghiaccio, puri cristalli, perfetti
      esagoni, che purezza danno,
      come il perenne fuoco dell'Etna,
      quello che è dentro la Terra
      e con l'acqua dà vita a tutte le
      cose.

      Fuoco e ghiaccio,
      opposti e uguali insieme.

      Il ghiaccio il dolore lenisce
      e dà una dolce morte,
      come al cacciatore di Similaun,
      ma permette anche l'immane
      tragedia dei Gulag, o le Retraites
      de Russie, di tanti eserciti
      sconfitti dal gelo.

      Un senso di puro
      e di pace dà il bianco abbagliante
      e porta a sognare e a pregare,
      quando le creste dei monti più alti
      tocchi, là dove l'infinito è sovrano,
      là dove si palpa il divino.

      Il fuoco gli eretici purificava e le
      streghe, da Hus alla santa pulzella,
      arsa a Rouen, a Savonarola e
      Bruno, generatori d'idee.

      Nel cuore dell'Urbe cattolica,
      un Campo de' fiori a nobilitare
      un'abiura mai venuta e
      la Cancelleria tetra, da cui gli eroici
      furori d'un Uomo, il palco, le fascine
      e il fuoco senza paura,
      senza rimpianti guardavano.

      Questi i ricordi più alti.

      Il massacro nei Campi fatti di forni,
      invece, inermi e ignare masse ha
      colpito.
      È stato del tutto insensato
      e nessuna giustificazione a ciò,
      l'uomo, la storia, possono dare.

      Ma il fuoco è anche caldo
      e brucia i panni degli appestati
      e cauterizza e ristora.

      È anch'esso sacro e divino.

       Napoli, 24 dicembre 2009



 

      TOMMASO CAMPANELLA

      "Sono santo! abbi pietà! ohimè,
      Dio, che son morto! ohimè, Dio,
      frate mio! lo letto mio! Marta
      e Madalena! ohimè, cor mio!
      E come mi strengano forte le mani!
      Oh, che son santo e non ho fatto male
      e son patriarca! Aiutami, che moro!
      Mi se' parente e mi fai queste cose?
      oh, mamma mia!, oh, misericordia!
      oh, Cristo mio!
      E l'altra notte fra Dionisio mi portò
      lo breve de la Cruciata e non me lo
      volete dare mo.
      Ohimè, Dio! E come mi strengio
      forte! Io mi stroppio".

      A Castel Nuovo, sotto supplizio detto
      "la veglia", ciò Campanella asseriva per
      fingersi pazzo, per allontanare il ceppo
      e la scure, egli che la sua utopia aveva
      fondata sul sole, egli che non voleva la
      sua testa nel cesto,
      come Tommaso Moro invece volle.

      L'utopia, il principio, la scomoda verità
      alla morte condurre possono,
      come accade che si finga la follia per
      continuare a pensare, a scrivere sul sole,
      ma anche che si dia del pazzo a chi non
      lo è, per evitare la morale gogna,
      il ludibrio, la condanna della storia.

       Napoli, 30 dicembre 2009



 

      IL NARCISO E IL GELSOMINO

      La parvenza dell'essere
      in te narciso e in te gelsomino
      è color corbezzolo carico
      e giallo citrino,
      quando l'olio essenziale poni
      avanti una fiamma.
      L'essere è il profumo estremo
      da quintali di sparsi petali,
      colti negli oceani, nei fiumi,
      nei laghi abitati da ninfee a da
      ninfe figlie del Mito.
      La parvenza dell'essere
      in noi uomini è nel viso,
      specchio dell'anima
      -così i cantastorie dicono.
     Quindi al sorriso angelico
     dovrebbe seguire un soave
      giardino, quando invece può
      essere un demonio, come per
     tutti i Faust, in giro.
     Allora è meglio una Gioconda,
     ambigua e sottile, che pone il
      dubbio, ma che non inganna.
      Ma è vero anche,
      per il narciso e il gelsomino,
     che quando ti rapiscono
      con l'eccesso del loro profumo,
     ti stordiscono e ti abbattono,
     fino a morirne.

     Napoli, 12 gennaio 2010


 

      LA BAIA DI NAPOLI

      Alle quote più alte, oggi,
      laddove un tempo era padrone il fuoco,
      un Vesuvio, rivestito d'un niveo manto,
      le pendici e la piana intorno sovrasta
      e il suo primato sul Golfo più bello
      tuona, la Baia di Napoli, le cui
      meraviglie Goethe spigolò con nordico
      pudore, come i colori contrastati della
      città, dei caratteri, degli umori,
      dell'umana miseria, dello sfarzo altero
      dei potenti.

      Egli non vide che il bianco dell'Etna,
      dalla sommità dei Monti Rossi,
      e dello Sterminator Vesevo,
     il rosso fuoco e, primavera inoltrata,
      il giallo dell'odorate ginestre, che
     Leopardi fece poesia, a un passo
     dalla città che giovane lo rapì,
      una città ferace,
      a volte feroce, ma che sempre ispira.

       Napoli, 13 gennaio 2010



 

      L'ACQUA NON MUORE

      Oggi, il cielo vedo matto,
      una volta cinerina, quando ieri
      alle vele in rotta verso di Sorrento
      il Capo, il suo sorriso spiegava
      il sole,
      su un velo di mare increspato,
      che al nuoto incitava,
      come tra Portovenere e Lerici,
      un tempo i poeti.
      Nuotare tra onde in moto perpetuo
      è come correre tra basse nuvole
      scolpite nel granito per l'assenza
      di vento?
      A Oulu come a Rovàniemi,
      lassù al circolo polare,
      il bacio degli amanti,
      il soffio di Bòrea
      puoi vedere, come Orione
      fulminato dallo scorpione di
      Artemide.

      Ecco il bello del mare.
      Ecco il bello del cielo.

      L'onda si tramuta in nuvola
      e questa può essere scultura
      fantastica, plastica, immobile,
      come astronave pronta al
      decollo,
      per scoprire lo spazio infinito.

       Napoli, 17 gennaio 2010


 

      HAITI, 13 GENNAIO 2010

      A Port-au-Prince,
      come nella piana di Kanto
      o a Nau-Shan o a Tientsin,
      Tangshan o al largo di Sumatra,
      il mattutino, le lodi, i vespri,
      la compieta e tutte le ore dalla
      prima alla nona, cori di morte
      scandiscono, non preghiere,
      e i gregoriani canti
      solo lenire possono il dolore.

      È polifonia di strazianti urla
      di madri in cerca di figli sepolti,
      di figli in cerca di madri sepolte.

      Ora le palme sono spoglie, morte,
      come appassite del tabacco
      le foglie, come piegate dall'odore
      di morte le verdi canne, nel lutto
      inconsolato, che tracima dal lago
      mefitico, corpi privi di vita,

      per uno squasso di terra,
      per il capriccio delle faglie
      o dei magmi incandescenti,
      che senza requie, da sempre,
      morte e pianto portano ai vivi.

       Napoli, 19 gennaio 2010


 

      DIO È LA NATURA

      Dio è la natura, il vento.
      Dio è lo tsunami, il tornado.
      Dio è il Signore della guerra.
      Dio è la shoah e i gulag.
      Dio ha voluto suo Figlio
      in croce.
      Dio ha voluto mia figlia,
      ancora ragazza, morta.

      Tutte prove da sopportare?
      Da creparne?

      Ora a Haiti
      crepa la terra e seguono
      il loro corso le geologie,
      le geofisiche, le geotermie,
      le storie di ciascuno di noi
      ubicati, ora, in terre primarie
      e sicure, ora in terre nuove,
      fratturate, mortali.

      Hegel avrebbe trovato un che
      di razionale, nell'eterno dolore,
      che è la vita?
      Kant la critica del giudizio
      scrisse per dare un ruolo
      salvifico all'arte.

      Dio non può nulla,
      né nel bene né nel male,
      ma il nostro libero arbitrio esiste,
      come esistono tutti gli Elementi
      causali e casuali,
      che determinano il nostro destino.

       Napoli, 19 gennaio 2010



 

      PASSIONI

      Improvvisa giù l'acqua
      è venuta,
      qualche nuvola e l'azzurro
      al mattino, poi altre compagne
      a aggiungersi,
      ora un cielo plumbeo i bollori
      a smorzare,
      ché i sentimenti e i sensi sono
      di fuoco.

      Magma non inerte,
      ma foriero di vita libera
      come quel violoncello,
      che spargerà
      note calde nel sangue,
      quelle di Scarlatti o Vivaldi,
      in un giorno non più indefinito,
      non scelto a caso,
      ma dallo scorrere del fiume
      rosso che è in noi.

       Napoli, 14 maggio 2010


 

      L'AMPLESSO

      Vorrei baciarti amore
      e le nostre due lingue rubre
      a battere e ribattere come onde

      e nella risacca,
      i nostri due corpi avvolti di spuma
      in amplesso eterno, su e giù come
      il mare

      e vorrei godere la dolcezza
      dei corpi avvinti tra loro e godere
      l'umore dei nudi,
      come il treno sulle rotaie,
      quando l'amore fa con lo spazio,
      in sincronia col tempo.

       Napoli, 5 giugno 2010



 

      ALBERI

      Nelle radure delle anime
      sole,
      i salici a piangere gli affetti
      lontani o perduti,
      ma quando non si è soli,
      quando ci si stringe,
      i pini del mare, a guardare
      il sole abituati,
      riscaldano i cuori e i corpi
      e con i loro aghi pungolano
      all'amore.

       Napoli, 6 giugno 2010

 


 

      CALIFORNIA

      I miei occhi sono verdi,
      i tuoi celesti, come la pietra
      turchese
      o come il cielo più bello
      in un sereno d'estate
      o come il mare quando
      lambisce la sabbia dorata
      di una spiaggia di ninfe,
      sorelle tue in amore.

      Una meraviglia i tuoi occhi,
      che cantano parole dolci,
      come rugiada
      e che entrano nel cuore della
      California, nel mio cuore.

       Napoli, 9 giugno 2010



 

      LOVE

      Stringi stretti i fiori,
      tra le mani, stretti, i fiori,
      perché il nostro destino
      già nelle stelle
      del firmamento è scritto,
      come il nostro primo bacio
      un giorno di sole,
      con onde alte e forti
      a proteggere
      il nostro candido amore.

         Napoli, 12 giugno 2010.

 


 

      L'ALBERO

      Non voglio perdere
      una sola stilla del tuo
      cuore,
      una sola tua parola,
      le tue dolcissime,
      come il miele

      e quando l'albero
      si abbatte su di te
      per non farti parlare,
      io soffro.

      Napoli, 13 giugno 2010


 

      MYCONOS

      Oggi, negli occhi,
       il tuo bianco accecante
      di calce,
      calce viva e abbagliante
      di chiese e di case ornate
      di tanti blu,
      calce viva, forte
      come il vento,
      che qui annichilisce i sensi
      e la mente.

      Tutto è fermo e tutto
      si muove di fronte a Tinos
      e da Tinos i cavalloni
      imperiosi, che ti fanno
      percepire il tempo, che
      inesorabile scorre,
      come meridiana, che guida
     l'ombra del nostro futuro,
     segnando il passato di dolori
      e gioie,

      ora di Caronte le anime
      a traghettare, nel vento
      furioso,
      tra Panormos Bay e
      Baios Island,

      ora di noi a guardare i passi
      sul mare, tra Delo incombente
      di sacre memorie,
      Agios Ioannis, Plati Yialos
      e Kalafatis,
      regni del vento più calmo e del
      bisogno di quiete.

      Oggi, negli occhi, il tuo brullo
      colore,
      brullo di una terra senz'acqua
      e regno di erranti pastori,
      sterpi bruciate dal sole,
      che guardano a sud, Naxos,
      verde giardino d'acqua fiorito.

       Myconos, 12-19 luglio 2010.



 

      SAN PIETROBURGO

      A San Pietroburgo
      il mio angelo tormentato
      cerca gli alberi spogli
      sulla Neva,
      per vedere le correnti
      vorticose, prima che
      il fiume ghiacci,
      per vedere le aurore
      del Nord,
      prima che il sole dia colore
      ai palazzi,
      ai vetri delle finestre,
      che riflettono
      la nostalgia dell'amore
      perduto.

       Napoli, 21 settembre 2010



 

      UN ANGOLO DI DONNA

      Le lacrime della solitudine
      il tuo cuore detergono
      in quest'autunno
      ambrato dal vento dell'Ovest
      e l'acqua sconfinata
      è qui per piangere
      gli affetti perduti,
      mentre le tue corde sono
      dell'arpa e del liuto,
      solitari suoni
      del tuo vivere libera
      nello spazio e nel tempo.

      L'uva nera e bianca qui
      è ancora sui tralci
      e le olive
      ancora nelle reti non
      cadono.

       Termini, 26 settembre 2010



 

      SUD

      L'orizzonte a Sud,
      increspato,
      argentato, come filigrane
      in controluce,
      vede due barche multicolori,
      ora negre,
      che dondolano e chiudono
      la spirale della tua luce,
      ora a mezzogiorno,
      mentre Montalto domina
      sul fragore d'onde,
      unico suono su questo lido,
      al limite dell'infinito, che è
      in noi e in te figlia, che riposi
      sul mare.

        Marina del Cantone, 10 ottobre 2010


 

      DA CETARA

      Tra la veglia e il sonno,
      l'oblio e la memoria,
      si è distesi ai piedi della Torre,
      che immobile, altera,
      Punta Licosa guarda
      e respinge i flutti e lo Scirocco
      e le ore della nostra coscienza
      o del nostro far niente
      e il giro del sole attende, per
      volgere lo sguardo su ciò che
      ora è, su ciò che ora non è,
      la notte della ragione,

      la luce del giorno.

       Cetara, 1° novembre 2010


 

      L'ÀNCORA

      L'àncora di ruggine colata,
      remoti fondali nella memoria
      scava,
      come le rughe compagne della
      salsedine danno dell'uomo l'età,
      coacervo d'affanni e sagge parole.

      Alla Marina l'infinito è presente,
      come un tempo andato, le anime
      della chiesetta, che guarda
      Montalto
      e i mulinelli rabbiosi d'acqua
      amara di salso,
      che spingono le pietre poste
      a difesa della nostra quiete.

      Ora a mezzodì,
      la mareggiata dà forza alla linea
      marcata, infinito sguardo verso
      i gorghi argentati, che incantano
      sempre gabbiani e placidi gatti,
      che qui sono a me amici,
      nella solitudine piena.

       Marina del Cantone, 21 novembre 2010