DALL’OTTAVA ALLA TREDICESIMA RACCOLTA: “L’AMOUR ET LE VIOLON”; “UN ANNO”; “UNA SPECCHIERA”; “PETTIROSSO”; “I SASSI PARLANO”, NAPOLI 2012-2016

GIACOMO GARZYA, DALL’OTTAVA ALLA TREDICESIMA RACCOLTA DI POESIE: “L’AMOUR ET LE VIOLON”; “UN ANNO”; “UNA SPECCHIERA”; “PETTIROSSO”; “I SASSI PARLANO”, NAPOLI 2012-2016

Ischia, Forio, “Giardini La Mortella”, 1° aprile 2007 ( foto di Giacomo Garzya)

GIACOMO GARZYA, “L’AMORE COME IL VENTO. POESIE (2011-2015)”, NAPOLI 2019, IUPPITER EDIZIONI

PER FANNY

Il bastone del pellegrino è lì dove l’ho riposto, accanto a te esanime, così la conchiglia e la tua gioia di vivere, spenta sull’asfalto in una notte.

Napoli, 19 febbraio 2018

 

In memoria di Fanny
di Paola Celentano Garzya

Quando mio marito Giacomo ha deciso di pubblicare in due volumi – questo, dal titolo L’amore come il vento, è il pri- mo, l’altro, invece, vedrà la luce nel 2020 – le sue poesie edi- te ed inedite scritte tra il 2011 e il 2019 per commemorare il decennale della tragica scomparsa di nostra figlia Fanny (Napoli, 16 marzo 1983 – Castelvolturno, 6 febbraio 2008), ho subito pensato di contribuire anche io al ricordo con una riflessione a lei dedicata, sotto forma di lettera, affian- candomi così, in punta di piedi, alle tante poesie che Gia- como ha scritto per lei. Cara Ninni, sono passati dieci anni, densi, impegnativi, fruttuosi. Il do- lore è sempre acuto, crescente, radicato: ti sentiamo tutti in qualche modo presente, sicuramente in una dimensione di beatitudine, in pace con Dio, e questo ci conforta; nello stes- so tempo la tua presenza fisica, le tue gioiose manifestazio- ni vitali, ci mancano sempre di più. Il tuo esempio in ogni caso ci guida e ci sprona a mante- nere vivo il tuo ricordo, con un fervore improntato sul rigo- re morale e, per me in particolare, sul valore cristiano, il più elevato da te concepito: eredità preziosa da custodire e met- tere sempre a frutto. “Quando busserò alla Tua porta avrò fatto tanta strada…”. Le parole di questo brano religioso, mi sono risuonate spesso alla mente dopo il 6 febbraio 2008, quando hai la- sciato questo mondo. Sì, perché nella tua breve esistenza ne avevi percorsa di strada e non solo a piedi. Sicuramente em- blematico in tal senso è stato il Cammino di Santiago, da te compiuto nell’agosto 2006, metafora della tua stessa vita: questa impresa simboleggia, infatti, efficacemente la tua capacità di aver saputo affrontare e sopportare le difficoltà con tenacia, per arrivare alla meta, la tua fiducia nel prossi- mo, la piena adesione al valore della libertà, il tuo amore per la natura, che si esprimeva col tuo genuino stupore per la bellezza del Creato, quando, per esempio, rivolgevi il viso verso il cielo terso, per contemplarne le stelle, la tua co- stante, sincera, ricerca di Dio, il senso puro della gioia, che avevi dentro di te, trasmesso contagiosamente a chi ti sta- va accanto. Il tuo tracciato esistenziale, intendo, è anche ricco di se- gni di altra matrice, che tu hai lasciato come monito vivo, per la ricerca di un senso migliore da dare al nostro quoti- diano. Tu l’hai dimostrato col tuo modo di essere non con- venzionale, supportato da una logica filosofica, che propo- neva ipotesi alternative al modo corrente di pensare, in ap- parenza inconcepibili, ma nell’attuazione quasi sempre in- dovinate. Sì, perché con la tua crescita come persona, arricchita dall’amore per la lettura e dal contatto immediato, franco, leale col prossimo, avevi inteso appieno il messaggio evan- gelico, quello interpretato da San Paolo, che attribuisce al- la Carità un valore fondante. Ed è per questo che riuscivi, a prescindere dalle tue umane inclinazioni, a considerare l’al- tro, quale persona degna di rispetto e di attenzione, perché da amare, innanzitutto, come fratello. Quante volte, come madre, ho ricevuto da te insegna- menti, inizialmente non compresi e solo in seguito degna- mente apprezzati: tu riuscivi, per esempio, ad individuare con naturalezza strategie pacifiche nella risoluzione di con- flitti, da me giudicati inestricabili. Se tentavi di aprirmi gli occhi, io miope li chiudevo, forte della mia presunta adul- tità; scoprivo, poi, sorpresa che con la tua lungimiranza, avevi colto nel giusto: quella via che non avevo ancora esplo- rato si rivelava praticabile e promettente. Quante volte mi hai aperto gli occhi al perdono! È questo uno dei testimoni più preziosi che mi hai la- sciato, che ci hai lasciato: saper amare senza riserve, con slancio e tenacia, guardando lontano, oltre il confine del- l’immediato. Ora penso a te come ad un vero Angelo: sento che conti- nui a soccorrermi, scongiurando col tuo sostegno che cedi- menti e smarrimenti abbiano il sopravvento, con l’indicar- mi quella strada sicura espressa dalla parola evangelica, che mi alimenta e mi aiuta, talvolta, anche a sorridere. Ancora una volta ti dico grazie Fanny e, nonostante tut- to, ti prometto di non arrendermi a una vita senza senso.

Con l’amore di sempre, la tua Mamma.

 

L’AMOUR ET LE VIOLON

À mon cher Papa

Prefazione di Emanuela D’Amelio

In punta di piedi mi accosto alla nuova raccolta di poesie di Giacomo Garzya L’amour et le violon, onorata di aver po- tuto assistere alla genesi di questi versi in qualità di amica e di lettrice. La sua nuova opera, prima di essere stata scrit- ta, è stata vissuta andando a cercare la parte di sogno che gli spetta di diritto e di cui ci fa prezioso dono. Il poeta è qualcuno che gioca con le parole o forse una per- sona il cui cuore si riversa su un foglio di carta o ancora, più semplicemente, un uomo che ama «raccontarsi» delle sto- rie: Garzya si racconta a se stesso ancora una volta, i pen- sieri e i sentimenti sedimentati nella sua mente fioriscono, nero su bianco, come la cascata di perle di una collana rot- ta all’improvviso e la sua mano diventa muscolo involonta- rio guidato dal cuore. Delle venticinque poesie di questa nuova raccolta è evi- dente una interposizione tra natura, colori, sentimenti ed at- mosfere in un viaggio nella quotidianità degli affetti. Quel che emerge è un susseguirsi di fili che si intrecciano tra lo- ro a formare una trama di parole, un quadro dipinto attin- gendo colori da una tavolozza, quella della vita, che appa- re spesso sbavata e stinta, altre volte, invece, carica di mille colori sgargianti. Le poesie mirano a mantenere costante un sobrio controllo sulle emozioni, ad incanalarle, forgiarle, evocarle e mescolarle con immagini, atmosfere e colori. L’accurata scelta della disposizione dei versi, il variare del- la loro lunghezza ed il loro diverso timbro indicano una pas- sione formale mai sopita che in nessun caso soffoca od al- tera la dolcezza, lo spessore e il vibrare dei contenuti. I colori accesi o cupi, i paesaggi mediterranei o nordici, la «pioggia battente», le «nebbie di Venezia», la «sabbia bian- ca coperta di brughiera» o il «tramonto rosso» non fanno so- lo da sfon do ai versi ma definiscono piuttosto stati d’ani- mo che si alternano frequentemente. Ai momenti di pas- sione e di speranza fanno infatti seguito attimi di tristezza e solitudine, come avviene nell’animo di tutti gli esseri uma- ni: la poesia di Garzya diventa fotografia dell’anima ed è impossibile non rispecchiarvisi. In L’amour et le violon le poesie evocano pienezza («la luce tu vedrai nel fondo del ma- re») e nostalgia («Non posso accarezzare i tuoi capelli sus- surrando parole d’amore»), speranzosa attesa («I nostri sen- timenti segreti usciranno con le rondini per librarsi nell’a- ria»), disillusa solitudine («Tu non arrivi, tu non verrai, per- ché non dovevi partire…»), a ritroso nel viaggio dell’anima. La poesia diviene dunque salvezza e liberazione, catarsi atta a superare ed allontanare il dolore e la nostalgia per il fatto stesso di riuscire a parlarne ed a conviverci, arginan- doli attraverso un anelito di lotta per apprezzare le bellezze della vita («E le labbra cercavano le labbra, la pioggia bat- tente») e viverle pienamente. Lungi dall’essere intimista, la poesia di Giacomo Garzya diventa umanistica, universale. Ci sono parole che catturano, colpiscono e non si sa se sia- no un pugno nello stomaco o una carezza all’anima, che per- mettono di riflettersi guardandosi in uno specchio, di sen- tirne il profumo sfuggendo al controllo dal tempo. Al cen- tro dei suoi versi c’è sempre il cuore dell’uomo in tutta la gamma delle sue percezioni, in tutti i suoi battiti. I temi so- no molteplici. Dalla lettura delle poesie di «L’amour et le vio- lon» emerge che il perno dei suoi versi sia l’amore espresso in un linguaggio immediato, essenziale eppure profondo ed attento. Le poesie d’amore possono essere una risposta emotiva ad un evento o ad un momento passionale, altre vol- te sono più riflessive e cercano di donarci il senso di un’e- sperienza che si dilata ad un campo più ampio della vita, ad un amore senza tempo ed universale dove l’immagine di una donna evocata è solo il pretesto, lo spunto per ritrovare il bat- tito del nostro cuore spesso sopito e la consapevolezza che le emozioni sono linfa vitale dei nostri giorni. Amore nel senso ampio, dunque, che include una profonda rivaluta- zione dei valori primari della nostra esistenza, quali il tema della morte e della fede («Non passa un giorno senza che lei non preghi per me»), del ricordo della terra belga dell’in- fanzia e dunque delle proprie radici («Correvo per la Cam- pine… sulla sabbia bianca d’erica coperta».), dell’amor fi- liale per il padre («un bacio filiale per un padre inerme»). Ed ancora amore per il valore dell’amicizia («i raggi del sole una bella amicizia riscaldano») e per la pienezza della vita («ora ti abbraccio, fuoco… ed è musica il crepitio dei tron- chetti che ardono»). Lascio per ultimo l’amore più grande della vita di Giaco- mo Garzya, quello per l’adorata figlia Fanny che ora vola al- to accanto al sole e che lo sostiene amorevolmente nel suo dolore senza fine. Non citerò i versi specifici, mi pare di li- mitare, se non addirittura di «profanare», un ricordo ed un amore che appartengono solo a Giacomo e sua moglie Pao- la. Il lettore rintraccerà facilmente le due delicatissime poe- sie e saprà comprendere.

EMANUELA D’AMELIO

 

Un sentito ringraziamento va a Emanuela D’Amelio, che con entusiasmo ha seguito dal suo nascere questa raccolta di poesie e ha dato buoni con- sigli per un uso corretto della lingua francese.

 

Le coucher du soleil rouge m’étourdit et me prend au lit dans le rêve de toi.

Stordisce il tramonto rosso e mi porta a letto nel sogno di te.

Naples, le 10 décembre 2011 Lorsque la brume touchera ton visage quand le désir touchera tes yeux quand les larmes toucheront ton coeur dans le fond marin, tu verras la lumière. Quando la bruma toccherà il tuo volto quando il desiderio toccherà i tuoi occhi quando le lacrime toccheranno il tuo cuore la luce tu vedrai nel fondo del mare. Naples, le 25 décembre 2011 Je ne peux pas caresser tes cheveux, en chuchotant des mots d’amour. Je ne peux pas baiser tes yeux. Tu es lointaine, au froid de ton pays, qui est aussi partie de moi quand je rêve ma jeunesse, mais je vois que mon souffle chauffe la vitre, qui nous sépare, pour écrire que je t’aime. Non posso carezzare i tuoi capelli sussurrando parole d’amore. Non posso baciare i tuoi occhi. Tu sei lontana, al freddo del tuo paese, che è anche parte di me quando sogno la mia gioventù, ma ora vedo che il mio respiro scalda il vetro che ci separa, per scrivere che io ti amo. Naples, le 26 décembre 2011 Il n’y a pas de nuages, tout est arrêté, aussi mon coeur bat plus lentement, dans cette journée d’hiver ensoleillée. J’essaie de trouver ton visage dans une foule de visages inconnus parmi les arbres sans feuilles, mais à la fin je te vois allongée sur le lit défaite par le sommeil. Tu dors dans mes bras, je ne suis jamais sorti. Non ci sono nuvole, tutto è fermo, anche il mio cuore batte più lentamente in questa giornata soleggiata d’inverno. Cerco di trovare il tuo viso in una massa di visi sconosciuti fra gli alberi spogli, ma alla fine io ti vedo allungata sul letto disfatta dal sonno. Tu dormi tra le mie braccia, io non sono mai uscito. Naples, le 27 décembre 2011 Il est tellement agréable d’entendre ta voix lointaine il est tellement agréable de multiplier tes douces paroles il est si agréable de regarder le ciel et suivre les traces des avions qui conduisent à toi ce qu’il est beau que de t’écrire des mots d’amour. Le soleil s’est couché, il y a maintenant un éspace pour rêver dans la nuit un baiser qui va jusqu’à l’escalier de l’univers, où tu souris. È così piacevole ascoltare la tua voce lontana è così piacevole moltiplicare le tue dolci parole è così piacevole guardare il cielo e seguire le scie degli aerei, che portano a te, è così bello scriverti parole d’amore. Il sole è tramontato, vi è ora lo spazio per sognare nella notte un bacio che va fino alla scala dell’universo, là dove tu sorridi. Naples, le 27 décembre 2011 La rue est vide, froide, une ligne droite sans horizon. L’attente est longue, interminable. Je t’ attends avec un battement de coeur, comme un garçon timide, qui fait ses premières armes. La rue est vide les arbres muets comme des pierres et je me regarde seul, seul avec moi, alors que l’horloge sans pitié fait sentir le coup du temps qui passe et dit que tu n’es pas ici. Pas une âme dans la rue, une rue vide e froide sans toi. Tu n’ arrive pas, tu ne viendras pas, parce que tu ne devais pas partir, parce que tu n’existe que pour tes bruyères. La strada è vuota, fredda, una linea diritta senza orizzonte. L’attesa è lunga, interminabile. Aspetto col batticuore, come un ragazzo timido alle prime armi. La strada è vuota gli alberi muti come pietre e io mi guardo solo, solo con me, quando senza pietà l’orologio fa sentire il peso del tempo che passa e dice che tu non sei qui. Non un’anima nella strada, una strada vuota e fredda senza te. Tu non arrivi, tu non verrai, perché non dovevi partire, perché tu non esisti che per le tue brughiere. Naples, le 28 décembre 2011 Quand le soleil rouge ardent met le feu à la mer, comme les coeurs rougissants mettent le feu à l’âme des amoureux, il faut regarder l’aube de l’Egée et fermer les yeux pour un moment, dans un désir d’amour. Le soleil rouge ardent ne met pas toujours son feu à la mer, mais laisse un ciel libre et propre, à toi, à moi. Quando il sole rosso fuoco brucia il mare, come i cuori ardenti quando danno fuoco all’anima degli innamorati, occorre guardare l’alba dell’Egeo e chiudere gli occhi per un momento, in un desiderio d’amore. Il sole rosso fuoco non brucia sempre il mare, ma lascia un cielo libero e pulito, a te, a me. Naples, le 28 décembre 2011 Par la Campine je courais et quelquefois je tombais sur le sable blanc de bruyère couvert, comme cela arrive aux petits enfants. Elle parfumait mes cheveux, comme ma mère disait souvent en Italie, elle qui aimait son pays, fait aussi de champs et dunes de nature sauvage et ancienne. Le parfum de bruyère dans mes cheveux elle à sa terre portait, la terre belge de mon enfance. Et moi par la Campine je courais et j’étais fier d’être un sang-mêlé, du Nord et du Sud. Correvo per la Campine e, come capita ai bambini, ogni tanto cadevo sulla sabbia bianca d’erica coperta. Essa profumo dava ai miei capelli, come diceva spesso in Italia mia madre, che adorava il suo paese, fatto anche di campi e dune di natura selvaggia e antica. Il profumo d’erica nei miei capelli, portava lei alla sua terra, la terra belga della mia infanzia. E io per la Campine correvo e ero fiero di essere un mezzosangue, del Nord e del Sud. Naples, le 29 décembre 2011 Dans le ciel et la mer sans fin, je vois un bateau, c’est mon bateau solitaire où mon coeur blessé cherche Fanny, qui vit avec le soleil et aide ma douleur. Pas un jour ne passe qu’elle ne s’envole libre avec les mouettes, pas un jour ne passe sans qu’elle ne prie pour moi. Nel cielo e nel mare infiniti, vedo una barca, è la mia barca solitaria dove il mio cuore ferito cerca Fanny, che vive col sole e lenisce il mio dolore. Non passa giorno ch’ella non s’involi libera con i gabbiani, non un giorno passa senza che lei non preghi per me. Naples, le 29 décembre 2011 Mes lèvres cherchaient tes lèvres, la pluie battante, puis en descendant de la colline, la tête dans mon manteau, tu cherchait la chaleur dans ma poitrine. Deux âmes seules s’aimaient et les lèvres cherchaient les lèvres, la pluie battante. Le mie labbra cercavano le tue labbra, la pioggia battente, poi scendendo dalla collina, la tua testa nel mio cappotto, tu cercavi calore nel mio petto. Due anime sole si amavano e le labbra cercavano le labbra, la pioggia battente. Naples, le 30 décembre 2011 Je ne voulais rien perdre de la Perle du Sud. Luc et Lorraine me suivaient, curieux, sur les traces des Almoravides, sous le soleil implacable du mois d’août, dans une ville chaude comme le Sahara. Et alors voilà les jardins de la Menara, de Koutoubia, le Palais de Bahia. Tout portait au son frénétique des tambours à Djemaa El Fna, à mon Café Argana, aux serpents cobra, aux cracheurs de feu, aux vendeurs de dents, aux épices du souk, aux peaux de maroquin rouge, brun, tannés au sumac et à la noix de galle, aux étoffes de laine, de soie, de lin, de coton, dans une myriade de couleurs, opposées, contrastées. C’etait le souk, c’était Marrakech et Luc et Lorraine, des amis inoubliables. Non volevo perdere nulla della Perla del Sud. Luca e Lorena mi seguivano curiosi, sulle tracce degli Almoravidi, sotto il sole implacabile del mese d’agosto, in una città calda come il Sahara. E allora ecco i giardini della Menara, di Koutoubia, il Palazzo di Bahia. Tutto portava al suono frenetico dei tamburi a Djemaa El Fna, al mio Caffé Argana, ai serpenti cobra, ai mangiatori di fuoco, ai venditori di denti, alle spezie del souk, alle pelli di marocchino rosso, bruno, conciati col sommacco e con la noce di galla, alle stoffe di lana, di seta, di lino, di cotone, in una miriade di colori, opposti, contrastati. Era il souk, era Marrakech e Luca e Lorena, degli amici indimenticabili. Naples, le 31 décembre 2011 Pendant quatre mois entre la vie et la mort dans une salle d’hôpital autant technologique qu’aseptique, attaché au tube à oxygène, comme un enfant nourri au sein, il s’est efforcé de parler et il n’arrivait pas à prononcer un mot, mais à la fin j’ai lu sur ses lèvres: bise quatre lettres, quatre mois de souffrance. Une bise filiale à un père désarmé, si peu et si tant pour un gentil sourire. Durante quattro mesi tra la vita e la morte in una corsia d’ospedale così tecnologico e asettico, attaccato al tubo d’ossigeno, come un bambino al seno della madre, si sforzava di parlare e non arrivava a pronunciare una parola, ma alla fine ho letto sulle sue labbra: bacio poche lettere, quattro mesi di sofferenza. Un bacio filiale a un padre inerme, così poco e così tanto per ricevere un sorriso gentile. Naples, le premier janvier 2012 J’ai rêvé dans la nuit tes yeux, une nuit couverte de nuages, une nuit sans étoiles, seulement tes yeux brillaient d’un regard amoureux, rassurant. J’ai rêvé Venise avec ses brouillards, qui se révellait de son torpeur, et les gondoles noires en balançant sur nos corps nus, nous embrassés, doucement embrassés. I tuoi occhi ho sognato nella notte, una notte coperta di nuvole, una notte senza stelle, solamente i tuoi occhi brillavano con uno sguardo amoroso, rassicurante. Ho sognato Venezia con le sue nebbie, che si svegliava dal suo torpore, e le gondole nere dondolanti sui nostri corpi nudi, noi abbracciati, dolcemente abbracciati. Naples, le 3 janvier 2012 Je flâne sous les arcades de cette ville savante, les arcades qui cachent les baisers furtifs des amoureux. La pierre rouge chauffe une journée froide et tes mains sont froides et aux miennes se serrent affectueusement. Qu’est-ce-que l’amour sinon se donner un baiser et se serrer fortement dans les bras? Girovago per i portici di questa città dotta, i portici che nascondono i baci furtivi degli amanti. La pietra rossa riscalda una giornata fredda e le tue mani sono fredde e alle mie si stringono con tenero affetto. Cos’è l’amore se non darsi un bacio e stringersi forte? Bologne, le 6 janvier 2012 Les souvenirs rassemblés devant l’âtre, le temps passe inexorablement pour ne pas revenir et les cheveux deviennent blancs, pas l’esprit qui note avec ironie ce qui n’est pas allé dans le même sens. Maintenant je t’embrasse feu, seulement toi, tu donne de l’espoir, seulement toi, tu donne de la joie et c’est de la musique le craquement des tricoises, qui brûlent, comme l’amour que j’éprouve pour toi, femme lointaine, mais si proche. Raccolti intorno al focolare i ricordi, il tempo passa inesorabile e non torna indietro e i capelli si fanno bianchi, non lo spirito che osserva con ironia ciò che non è andato per il suo verso. Ora ti abbraccio fuoco, solo tu dai speranza, solo tu dai gioia ed è musica il crepitio dei tronchetti che ardono, come l’amore che provo per te, donna lontana, ma tanto vicina. Bologne, le 7 janvier 2012 Je ne peux pas oublier ta voix aussi fraîche qu’ un ruisseau, qui apporte les sons de ton coeur, et moi à la mer en attendant que tu viennes chez moi avec tes paroles belles et douces, pour que je puisse boire ton eau claire. Non posso dimenticare la tua voce, fresca come le acque d’un ruscello, che porta i suoni del tuo cuore, e io al mare che aspetto che tu venga da me con le tue belle e dolci parole, per bere la tua acqua chiara. Naples, le 9 janvier 2012 On est au coeur de l’hiver et les arbres vivent seulement grâce à leur sève, nous aussi, nous attendons les rayons du soleil du printemps et nos sentiments secrets, cachés dans un angle solitaire de nous même, sortiront avec les hirondelles pour nager dans l’air, libres d’aimer. C’est vrai, il y a des sentiments cachés dans un angle de notre coeur, ainsi que les arbres sans feuilles cachent leur douleur. Si è nel cuore dell’inverno e gli alberi vivono soltanto per la loro linfa, anche noi aspettiamo i raggi del sole di primavera e i nostri sentimenti segreti, nascosti in un angolo solitario di noi stessi, usciranno con le rondini per librarsi nell’aria liberi di amare. È vero, vi sono dei sentimenti nascosti in un angolo del nostro cuore, come gli alberi senza foglie che nascondono il loro dolore. Naples, le 10 janvier 2012 Je me suis endormi dans tes bras et le lendemain j’ai pris pour toi des roses rouges de passion. Tu n’est pas seulement de passage tu n’es pas un météore tu n’es pas une épine qui mord la chair tu es comme la palette des peintres toutes les couleurs sont à toi tu décides l’image, l’arc en ciel de mes jours. Nelle tue braccia mi sono addormentato e l’indomani per te ho preso delle rose rosse di passione. Tu non sei solo di passaggio tu non sei una meteora tu non sei una spina, che morde la carne, tu sei come la tavolozza dei pittori tutti i colori sono in te tu decidi il quadro, l’arcobaleno dei miei giorni. Naples, le 11 janvier 2012 Je cherchais ton corps dans le noir de la chambre, mais dans la pénombre j’ai vu un superbe clair de lune un oeil qui nous regarde un oeil qui regarde ton essence de femme. Ce sont trois jours que la lune est pleine de toi, mais maintenant, aux premières lueurs de l’aube, je vois son frère le soleil et ton corps est merveilleux, chaud dans sa nudité. Cercavo il tuo corpo nel buio della camera, ma nella penombra ho visto uno splendido chiaro di luna un occhio che ci guarda un occhio che guarda la tua essenza di donna. Sono tre giorni che la luna è piena di te, ma ora, ai primi chiarori dell’alba, vedo tuo fratello sole e il tuo corpo è meraviglioso, caldo nella sua nudità. Naples, le 12 janvier 2012 L’encre ne suffit pas pour décrire tes larmes, mes larmes pour notre départ, on ne se voyait pas depuis longtemps et le premier embrassement eut lieu dans le murmure du vent et le premier baiser eut lieu encore dans le murmure du vent. Non è sufficiente l’inchiostro per descrivere le tue lacrime, le mie lacrime al nostro commiato, non ci si vedeva da tempo e il primo abbraccio ebbe luogo nel mormorio del vento e il primo bacio nel mormorio del vento. Naples, le 12 janvier 2012 La rosée est fraîche sur ton visage je crois en toi quand tu murmures d’amour parce que je crois en moi même quand je te baise dans une campagne, ta campagne, parsemée de fleurs je crois en toi quand tu me caresses les joues parce que je crois en moi même quand je fixe tes yeux sur une terrasse ensoleillée de Fès je crois en moi même quand je vois ton visage fraîche de rosée je crois en toi. È fresca la rugiada sul tuo viso io credo in te quando sussurri d’amore perché io mi credo quando ti bacio in una campagna, la tua campagna, cosparsa di fiori io credo in te quando tu mi carezzi le guance perché io mi credo quando fisso i tuoi occhi su una terrazza soleggiata di Fès io mi credo quando vedo il tuo viso fresco di rugiada io credo in te. Naples, le 12 janvier 2012 Comme ne pas pouvoir se rappeler de ce jour avec les amis connus parmi les fjords de la Norvège et maintenant ensemble avec moi dans le petit village de pêcheurs de l’île de Mimanthe doucement endormie dans les Champs Phlégréens, où seulement les mouettes et le tintement des cloches brisent le silence où seulement ici à la Corricella les couleurs pastel des maisons ensemble les unes sur les autres se réflechissent dans la mer et les arc-boutants touchent le ciel. L’âme de chacun de nous peut contempler ici ce qu’est vraiment le silence le silence éternel en hiver. Quelques gouttes d’eau changent ce paysage irréel, mais pas pour longtemps, tout retourne au calme et les rayons du soleil réchauffent une belle amitié, nous assis autour d’une table en plein air avec du bon vin blanc et bien froid. Come non ricordarsi di quel giorno con gli amici conosciuti tra i fiordi della Norvegia e ora insieme con me nel piccolo borgo marinaro dell’isola di Mimante dolcemente addormentata nei Campi Flegrei, dove solo i gabbiani e il tocco delle campane rompono il silenzio dove solo qui alla Corricella i colori pastello delle case le une sulle altre arroccate si riflettono sul mare e gli archi rampanti toccano il cielo. L’anima di ciascuno di noi può qui contemplare ciò che veramente è il silenzio il silenzio eterno in inverno. Qualche goccia di pioggia cambia questo paesaggio irreale, ma per poco, tutto torna alla calma e i raggi del sole una bella amicizia riscaldano, noi seduti all’aria aperta attorno a una tavola con del buon vino bianco e ben freddo. Naples, le 13 janvier 2012 Derrière la vitre embuée, une femme qui regarde avec les yeux perdus dans le vide. Une fille dans la fleur de ses années elle a perdu, elle a tout perdu et les douces paroles ne sont pas suffisantes pour remuer le regard perdu dans le vide. La mort est la soeur de tous et elle nous accompagne à travers le rues désertes, par les champs brûlés par le gel, sur la mer houleuse et sombre et nous attendons qu’elle arrive avec sa faucille. Dietro il vetro appannato, una donna che guarda con gli occhi perduti nel vuoto, una figlia nel fiore degli anni ha perduto, tutto ha perduto e le dolci parole non sono sufficienti per rimuovere lo sguardo perduto nel vuoto. La morte è sorella di tutti e ci accompagna attraverso le strade deserte, attraverso i campi bruciati dal gelo, sul mare increspato e oscuro e noi aspettiamo che arrivi con la sua falce. Naples, le 14 janvier 2012 Des notes tombent dans l’air soudainement et le piano et le violon caressent mon âme seule. Aujourd’hui je suis en plein solitude et les arcs s’étirent vers le passé, tandis que le piano vire vers le présent, je ne sais pas pourquoi. Il aurait mieux valu qu’ils aillent à l’unisson parce que le passé est aussi le présent. Je ne veux pas tourmenter moi même avec cette mélodie dite et redite, la solitude est triste pour tous et les arpèges de mon âme sont aussi les tiennes lorsque les notes tombent ainsi dans l’air. All’improvviso delle note cadono nell’aria e il pianoforte e il violino carezzano la mia anima sola. Oggi sono in piena solitudine e gli archi si tendono verso il passato, mentre il pianoforte guarda verso il presente, non so perché. Sarebbe stato meglio che andassero all’unisono perché il passato è anche il presente. Non voglio tormentare me stesso con questa melodia trita e ritrita, la solitudine è triste per tutti e gli arpeggi della mia anima sono anche i tuoi quando le note cadono così nell’aria. Sant’Agata dei due Golfi, le 15 janvier 2012 Tu es triste je ne sais pas pourquoi, tu ne me le dis pas. L’or est dans tes cheveux, il ne s’oxyde pas il reste luisant, comme les oliviers quand le soleil brille dans les jours d’hiver. La tristesse n’est q’un moment quelquefois et la joie revient quand mes caresses apportent le sourire à ton visage le sourire doux d’une nymphe, le sourire des femmes que j’ai connues dans ma vie et qui me soutient maintenant dans mon âge mûr, avec des memoires joyeuses et tristes. Tu sei triste non so perché, tu non me lo dici. L’oro è nei tuoi capelli, non si ossida, resta lucente, come gli ulivi quando brilla il sole nei giorni d’inverno. La tristezza non è che un momento qualche volta e la gioia ritorna quando le mie carezze portano il sorriso al tuo viso, il sorriso dolce d’una ninfa, il sorriso delle donne, che ho conosciute nella mia vita, e che mi sostiene ora nella mia età matura, con ricordi gioiosi e tristi. Naples, le 16 janvier 2012 UN ANNO A Paola, per una vita Presentazione di Silvana Lucariello Sono grata a Giacomo Garzya per l’invito a presentare il su nuovo saggio di poesie Un anno, non solo per la testi- monianza di stima nei miei confronti, ma soprattutto per- ché mi ha offerto l’opportunità di riavvicinare e riesplorare il mondo della poesia che percorre dimensioni emozionali con quei tracciati che arrivano diretti “al cuore”. Per me che poeta non sono e che avvicino nel mio lavo- ro psicoterapeutico la complessità del mondo umano con i suoi numerosi volti, spesso cupi, indecifrabili ed invalidan- ti lo scorrere dell’esistenza, questo testo mi ha permesso di assaporare e ripercorrere itinerari interni con modi e lin- guaggi che solo la poesia può descrivere con efficacia. Leggendo il testo da subito si è immersi in uno scenario suggestivo e corposo, fatto di immagini, ma soprattutto di odori, sapori, colori e suoni in cui umano e natura si in- contrano per consegnarci una miriade di stati d’animo dal- le mille sfaccettature. Sullo sfondo di tutte le produzioni poetiche della raccol- ta, si staglia il dolore silenzioso e riservato dell’autore, cui è permesso accedervi in punta di piedi e con estremo rispet- to. Il dolore che traspare nelle poesie di Giacomo Garzya ap- partiene a quella dimensione tragica dell’uomo che si in- terroga sul suo esserci nel mondo, sul mistero della vita e del- la morte, sul significato di esperienze e vicissitudini che po- polano l’esistenza di ciascuno, cogliendoci sorpresi, dispe- rati o muti nel“patire” la vita. La nostalgia del passato, la for- za delle emozioni, l’incedere superbo della morte nei sen- tieri della vita, si intrecciano nelle varie composizioni, la- sciandoci rapiti nel riprovare e ritrovare atmosfere del pre- sente e quelle del tempo che è andato: amore, solitudine, in- quietudine, stupore, inganni, malinconia, condivisione, so- lidarietà e molto altro ancora si ritrovano nel testo del poe- ta. L’errare dell’uomo dentro e fuori se stesso è portato da immagini di luoghi e terre inondate dal sole, in cui sacro e profano si mescolano e si fondono nel Luogo della «terra ma- dre, lì dove ha tutto origine». L’amicizia di affetti lontani e sempre presenti, il sorriso mi- sterioso del femminile, la bellezza sconvolgente della natu- ra, introducono l’autore in altri luoghi esterni ed interni che gli propongono il movimento incessante della vita che si condensa nel silenzio opprimente della morte. È quanto si ritrova nel componimento Il Buio nero nel- l’immagine della grotta di Pertosa o sotto S.Anna di Palaz- zo: «quando spengono le lampade, il silenzio assoluto al buio è opprimente, così deve essere dentro una bara quan- do si spengono gli occhi per sempre». Per l’autore il tempo scandito dall’orologio avanza con im- passibile ineludibilità ed in esso giocano, come dentro le ma- glie di una sottile filigrana, il dolore della mancanza, della perdita, delle separazioni; il tempo interno, invece, rimane custodito nel presente vivo e costante della mente: potere della memoria, archivio della memoria, condivisione rap- presentano le uniche sponde di spazio senza tempo, in cui passato e presente si coniugano nel «niente è morto». Tempo, spazio e memoria mi sembrano, infatti, gli assi portanti su cui Giacomo Garzya costruisce il suo linguaggio poetico dove il dolore di cui ci parla, e penso alla poesia Cinque anni, non arriva solo dalla mancanza, ma dalla ti- rannia dell’oblio che interviene inesorabile e con ritmo im- placabile a consentire per chi rimane in vita l’amara e strug- gente consapevolezza della propria sopravvivenza. La carica emozionale che suscita la produzione poetica di Giacomo Garzya mi ha riportato alla mente l’intimo le- game esistente tra poïesis e sogno, messo in risalto anche in numerosi studi psicoanalitici. Infatti, Jung in particolare, fra tutti gli psicologi del pro- fondo, segnalando nel 1961 una significativa analogia tra poesia e sogno, scriveva nel suo saggio Simboli ed interpre- tazioni dei sogni che: «si ha l’impressione che nel sogno sia all’opera un poeta». Al riguardo mi piace ricordare un passo illuminante di F. Hölderlin in cui l’autore descrive mirabilmente la poesia come capacità di percepire in maniera nuova ed originale il mondo e le cose del mondo: «Quando il poeta, in tutta la sua vita intima ed esterna, si sente unito con il puro risuonare della sua sensibilità originaria, e si guarda intorno nel mon- do, questo gli appare nuovo e sconosciuto; la somma di tut- te le sue esperienze, del suo sapere, della sua intuizione, del suo pensiero, l’arte e la natura, come essa si presenta den- tro e fuori di lui, tutto gli si presenta come per la prima vol- ta e, proprio per questo, nuovo e indefinito, ridotto a pura materia e vita…». Nel sogno l’inconscio si manifesta attraverso costruzioni simboliche e metaforiche che parlano per immagini al so- gnatore ed individuano, se ascoltate, nuovi fronti e risposte ai problemi della vita; allo stesso modo, come ci ricorda Hölderlin, la poesia in quanto comunicazione e linguaggio, prefigura e consegna soluzioni originali agli interrogativi dell’uomo. Nel linguaggio della poïesis e del sogno si intrecciano me- tafore che si espandono e si rivelano in immagini che apro- no uno scenario di orizzonti semantici, da cui è possibile creare una nuova trascrizione di se stessi e del mondo: en- trambi in quanto pensiero-sentire vivo, rappresentano quel dinamico fluire che lambisce inesauribili sponde a nuove prospettive. Per dirla con Galimberti lo spazio del simbolo è il luogo della «parola-guida (Leit-wort) che non dice, non enuncia, si limita a mostrare una connessione, o meglio una vici- nanza, una prossimità che custodisce una ricchezza di si- gnificati non contenuti dalla parola, ma in cui la parola è contenuta». In questo senso la parola, nella poesia come nel sogno, di- venta da parola parlata parola psichica che rivela ed illumina le immagini, incontrando le cose e rinvenendone il senso che, come rileva Galimberti: «non è ancora del tutto spen- to nella parola». Il linguaggio “originario” della poesia e del sogno rimandano all’immaginazione creatrice, quale unità in cui l’esperienza stessa si muove e si svela; esperienza, co- me osserva Masullo, di un sapere simbiotico che precede la scomposizione della realtà in tanti variegati aspetti, in cui tutto, circolando in ogni parte, lascia emergere il Senso. Ritornando al tema del Tempo, tra i protagonisti delle poesie di Giacomo Garzya, mi sembra che l’autore intenda questa dimensione come collegamento tra cambiamenti, come legame tra eventi trasformativi della propria vita, den- si di rinnovate progettualità. Il Tempo, da questo vertice di lettura, è l’accadimento con cui il nostro essere è invaso e scosso dalla differenza e dalle oscillazioni della vita; esso, come affiora con toccante profondità dalle poesie del testo, scompaginando le nostre continuità e certezze, porta in sé la percezione dolorosa del- la lacerazione e della rottura, ma anche il riavvicinamento alla vita ed all’ascolto delle differenti note del nostro esser- ci nel mondo. In tal senso il linguaggio della poesia e del sogno esplo- rano quella dimensione interna che coglie e dà forma ad emozioni, segnalando il richiamo ad una differenza che, se avvertita, è capace di parlarci e farci intravedere altri confi- ni. Nella nostra epoca in cui è forte la tendenza a negare e ridurre le differenze, il linguaggio della poesia e del sogno esprimono in modi diversi, il desiderio della vita che, come osserva G. Gaglione: «non può che desiderare di differen- ziarsi e di continuare ad essere vita nel differenziarsi, pro- prio nel suo essere nel mondo e nella storia». Queste mie brevi considerazioni, sollecitate dalla lettura del testo Un anno, mi appaiono un importante e profondo invito a riflettere su quanto, specie in una epoca di dis- orientamento, possa costituirsi come autentico riferimen- to. Tale potrebbe essere quel Senso che sgorga dalla poïesis e dalle immagini del sogno, come nuova sondabilità alla si- gnificazione, in grado di riassegnare a ciascuno un orienta- mento interno che appare proprio nel momento in cui l’uo- mo si rivela a se stesso. Di questo sono grata all’autore. SILVANA LUCARIELLO Relazione Un cerotto sull’anima. Un anno di Giacomo Garzya* di Eugenio Mazzarella Anche quest’ultima raccolta di Giacomo Garzya, Un an- no, conferma il dettato poetico che gli è proprio, e che già Giuseppe Galasso individuava per tempo nella prefazione alla sua seconda raccolta di poesie, Maree, del 2001: la sem- plicità pensosa del dettato poetico, che non perde tuttavia vivacità nella compostezza del verso di “spontanea levità”. Così si esprimeva Galasso, e i versi anche di questa raccol- ta ultima confermano in pieno, credo, quel giudizio. Una poetica colloquiale che anche in questa raccolta, lo notavo già nella prefazione a Pensareènon pensare del 2009, ha il suo scenario e la sua metafora nella topica del viaggio, e in ciò che del viaggio – insieme paesaggio e scenario inte- riore – resta: lacerti di memoria, visioni che dilatano un istante, fanno spazio di un’intuizione (qui credo ci sia il fo- tografo, l’occhio del fotografo di Garzya); tracce che si con- segnano a ricordi, a un ‘raccoglimento nel cuore’ di un vis- suto, di cui quasi ci si sorprende di essere ancora capaci di vivere: la sorpresa di“un’altra notte/ e tu canti ancora/ la tua voce triste…/ tu che hai perso tanto,/ tua madre, tuo padre/ tua figlia” (Un’altra notte). Queste notti che sono ancora date dopo la perdita, car- tografate, annotate, datate in Un anno ancora (e suona in * Relazione tenuta all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Palazzo Serra di Cassano) il 7 febbraio 2014 in occasione della presentazione del volume Un anno. questi versi una continua meraviglia di questo “ancora”) da “pellegrino su questa terra,/ che non è più tua/ dove il pian- to scava il tuo volto”(Saudade), queste notti dove “il quarzo dell’orologio avanza/ e allora altro non resta/ che aprire il meccanismo/ e mandarlo in frantumi” (Amici miei), dove “uscire dal dolore/ è il momento più bello del nuovo gior- no”(Uscire dal dolore), sono le notti che restano dopo Cin- que anni, che Fanny, la figlia adorata, non c’è più. Qui è difficile distinguere l’uomo dal poeta, forse non è neppure giusto, quando si è impegnati a “dimenticare per sopravvivere” (Cinque anni). Quando il cuore ti porta su un’immagine, una voce, un sorriso; e però, per non morire seguendo la tua personale Euridice in quell’immagine, in quella voce, in quel sorriso, su cui non riesci a mettere le ma- ni, che non riesci più a stringere al petto, e solo ricordi co- me bambina correva a stringerti le ginocchia (Euridice, Cam- panule), per non morire, devi mettere la testa da un’altra par- te; non cercare più nemmeno i gabbiani per parlare con lei, perché “danno troppo dolore”(Cinque anni). C’è un “cuore contratturato” (Il contratturato) in queste poesie. Ed è quasi un miracolo che da questa contrattura del- l’anima possa sgorgare qualcosa, che “al suono arcano del mare” possa “scorrere vino verde nelle vene”, ad un piccolo tavolo, al Santa Cruz (si segna il posto, lo si nomina per la sorpresa) con amici (Portugal). Il vino verde, il colore della vita. Come possa ancora scorrere nelle vene, questa è la do- manda, che lancina chi legge questi versi di “un naufrago senza speranza”, un puntino sempre più piccolo all’oriz- zonte; fantasma, naviglio dell’io che va lentamente a fondo (Naufragio). Com’è possibile? Balugina a un certo punto la possibilità della fede, in una fede che veda al di là della vita di qua, dove“il sole appassisce d’inverno”. Al Montedel Tem- pio, “solo su queste pietre/ è resurrezione dei morti”. Ma è un baluginio. Fondamentalmente, a sostegno del lento an- dare a fondo della propria nave, della propria arca di so- pravvivenza di amore, di affetti e ricordi, inesorabile a scen- dere in un mare di cui non si conosce il fondo, c’è la filolo- gia dell’al di qua, la lezione del padre, da cui si impara a di- stinguere la verità che si può distinguere, il primo alfa, dal- la corruzione dei testi (Filologie). La trama degli affetti, e i suoi ambienti (Lecce sacra e antica, e la figura della nonna; Napolisegretaeantica, e le sue passeggiate), di un’anima epi- curea, la densità pensosa che si fa spontanea levità di paro- la (penso alla biografia minima, dialogo conviviale, di Por- tugal, Via Veneto, Ciro). Insomma in Un anno, in queste poesie, Garzya è come se scattasse fotogrammi al suo vedersi vivere, e al suo veder vi- ver, come homo patiens, quasi uno sdoppiamento che lo aiuta a vivere, che lo tira fuori dall’insostenibile (Homo pa- tiens). Una poesia che è un cerotto sull’anima; del poeta, e di chi lo legge e misura alle di lui perdite le sue perdite. Ma anche un insegnamento, che vorrei esprimere con una ci- tazione da Oscar Wilde, che era in quarta di copertina di So- laria (1998), il primo volumetto di versi di Giacomo Garzya: “Coloro i quali trovano nelle cose belle significati belli, so- no persone colte. Per questi c’è speranza”. È questa capaci- tà per la bellezza, di farsi cogliere da essa pur nella pensosa consapevolezza della sua fuggevolezza, prima ancora della capacità di coltivarla, che permette di cogliere, nonostante tutto, il senso di ciò che fugge:“l’attimo di sole” che“illumina il bello della vita” (Momenti di luce), che dà nomi e volti a una vita che il poeta sa di passaggio; che è un anno e che pu- re c’è dato, e va patito, e vissuto; più raramente gioito, “men- tre la terra gira/ e porta con sé il pensiero di tutti” (La sfera). EUGENIO MAZZARELLA NAZARÉ Camões e i suoi Lusiadi e l’Oceano mare qui a Nazaré, ciò che era ricordo. Poi, quattro case, una donna velata di nero e barche tirate sulla spiaggia bianca da corde, da nodose mani, corrose dal salso e dal fragore dell’onde, che spinge a ricordare il tempo andato. Nazaré, 29 agosto 2012 PORTUGAL Scorre il vino verde nelle vene scorre e riscalda gli amici al suono arcano del mare, che non ha confini qui, in questa terra a occidente. Noi testimoni lontani dell’antico splendore, il Mondego saliamo fino a Coimbra, fino al fado triste, fino al chiarore dei ceri del nostro piccolo tavolo al Santa Cruz. Coimbra, 29 agosto 2012 SAUDADE La tua viola piange la mia tristezza e deterge il dolore della solitudine, è saudade la mia, in questo tempio del fado dove il tuo canto è il mio, dove la mantella nigra nasconde il tuo dolore di pellegrino su una terra, che non è più tua, dove il pianto scava il tuo volto e riflette lo spettro della morte, la tua come la mia, essa che a volte è in noi da vivi, come con chi non è più e in chi non sarà più. Coimbra, 30 agosto 2012 COSTA NOVA Tutta la rosa dei venti a Costa Nova e l’Oceano sferza le dune e la sabbia sottile il viso e tu cerchi invano la mano come le labbra le labbra. Tutta la forza è qui, nel muggito del mare, che parla di te di te che vagheggi il ritorno alla tua terra, al tuo amore lontano. Porto, 30 agosto 2012 UN’ALTRA NOTTE Si accendono le luci sul 25 de Abril, dove il Tejo pigro verso il mare spinge. Un’altra notte e tu canti ancora la tua voce triste. Si sente fino a Belem, fino a Estoril, fino in Brasile che tu hai perso tanto, tua madre, tuo padre, tua figlia e il tuo lamento è accompagnato da corde nella nostalgia dei sorrisi, che accompagnano l’infanzia fino alla morte. Napoli, 4 settembre 2012 FERNANDO PESSOA DI LISBOA Al Café A Brasileira, con un Pessoa stravecchio di bronzo e dall’alcool perennemente stravolto, Porto di vent’anni ho bevuto alla salute di un amico vero, di una città vera, eclettica, che corre con i suoi tram verdi rossi e gialli, nei saliscendi dei colli, alla perpetua ricerca di se stessa. Alla salute ho bevuto dei tanti enigmi, che puoi leggere nella sua poesia alla salute delle brume del Tejo, che fanno risaltare atmosfere lontane, quando navi a vapore urlavano sirene lungo il fiume alla salute di noi che viviamo ai bordi di un altro mare solo apparentemente più tranquillo. Napoli, 5 settembre 2012 ROMA SPARITA In una foglia di cacio supremo, tagliolini al cacio e pepe a Santa Cecilia e un carciofo alla giudia carezzato dal sole, mentre la pioggia gradita batte a Roma sparita, nel ricordo di cari amici lontani, ma mai così vicini. Roma, 13 ottobre 2012 VIA VENETO Brut Pommery noir al Doney Club, mentre tu canti lodi al Signore e la tua anima liberi dal fardello degli affanni. La mia anima epicurea, invece, non comprende ancora il tuo volo nel sacro. Roma, 14 ottobre 2012 AMICI MIEI Ho cercato di fermare il tempo, ma ho avuto contro il diaspro, tuttavia capace d’allontanare il fantasma della morte o quello d’un’Empusa ancella di Ecate, dea questa d’incantesimi e spettri, ai trivi giovane, adulta e vecchia. Ho cercato di fermare il tempo scrivendo al passato parole sullo spazio finito d’una pergamena, ma infinito nel mio cuore. Ho cercato di fermare il tempo, ma il quarzo dell’orologio avanza, senza requie avanza e allora altro non resta che aprire il meccanismo e mandarlo in frantumi. Napoli, 22 novembre 2012 NEGRITUDINE Ho tra le mani una madre e un figlio scolpiti nel legno pregiato e un pugnale vuole recidere il legame indissolubile. Che resti nel suo fodero di cuoio antico, non è più ora di tratta di schiavi. Ho tra le mani un vasetto scavato da millenni nella dura e fredda pietra – è arte ipermoderna – ma resterà vuoto fino a quando non accoglierà le rare ceneri d’un giusto. Ho tra le mani gioiose collane d’osso con cinghie di cammello per serrare di baci il tuo collo, o giovane donna nera di Bobo-Dioulasso. Napoli, 11 dicembre 2012 HOMO PATIENS Posso solo percepire ma non vivere il tuo dolore, ma so che la tua dignità, nel silenzio della notte, è grande. Come una candela soffre a ogni soffio di vento, tu vivi sotto l’alea del rischio di non vedere più i tuoi paesaggi, le tue Langhe, i tuoi cari volti, in una prospettiva terrena. Ciò mi causa molto dolore, ma credimi, amico mio, condividere il tuo silenzio, ti renderà lunga la vita. Napoli, 16 dicembre 2012 FILOLOGIE Come non ricordare le lezioni sugli archetipi o sulle tradizioni manoscritte nelle filologie paterne e se alfa era alfa così veniva tramandato nei vari luoghi del mondo, ma se veniva fuori l’errore alfio nella copia, se ne ripercorreva la via distorta da un codice all’altro in altri rivoli del mondo. Allora se io dico alfio allo stolto e alfio arriverà al compare dello stolto, la verità sarà alfio, ma io conoscerò il canale, il legame tra gli stolti, nella commedia della vita. Napoli, 18 dicembre 2012 MASADA Come dimenticare quel vento sordo sulla rocca, un’inespugnabile rocca, sul deserto e il Mar Morto, simbolo di lotta. Un Impero contro una fede, un secondo Tempio abbattuto e mille zeloti scalzi soli sulla rocca d’Erode, nel vento sottile delle candele della notte, mentre tu decima invitta Legione incalzi con la rampa e sali sali fino alle cisterne fin su ai colombari fino a togliere il fiato alle trombe, fino a cogliere il sangue suicida di mille a Masada. Né vinti né vincitori, ma il ricordo imperituro di un’espugnata rocca. How to forget that deaf wind of the fortress rock on the desert and Dead Sea, unbreachable symbol of struggle. Empire against Faith, a second Temple thrown down, a thousand lone and barefoot zealots on Herod ‘s rock, in the thin flickering wisp of candles in the night, while you, peerless Tenth Legion, set foot up the ramp, up to the cistern and dovecotes, where the trumpets cannot breathe, into the self-spilt blood of the Thousand of Masada. Not victors nor vanquished, but the deathless memory of the fortress breached. Masada, 1 gennaio 2013 (Traduzione in inglese di Jeff Matthews) EIN GEDI Quando lo sguardo domina il deserto lunare di Giuda, gli aspri promontori, la sabbia e i sassi non possono che rievocare la desolazione dei momenti aspri di solitudine, dove il silenzio è come la morte, dove la torrida depressione di questo mare blu cobalto gli anacoreti spinge alla bestemmia. Ma quando lo sguardo giunge al giardino dell’Eden di Ein Gedi, tutto è sconvolto dalle sorgenti perenni e dagli aridi sassi è selva di palme e dai wadi i nubifragi di acqua inondano il volto della solitudine di lacrime di gioia. Ein Gedi, 1 gennaio 2013 AL MONTE DEL TEMPIO Dalla porta dei mercanti di cotone al Monte del Tempio, tutta l’aria pregna di incenso e mirra la grande pietra dove fu creata la terra onora, all’ombra della cupola d’oro. Qubbet al Sakhra questo è in arabo il suo nome. Al Monte del Tempio la pietra sacra di Abramo, su di essa tutto pulsa, tutto è vivo e niente è morto, neanche Maometto che da qui ascese al cielo, come Gesù dal Monte Santo degli Ulivi. Solo su queste pietre è resurrezione dei morti. Gerusalemme, 2 gennaio 2013 D’ARIA Nel sole appassito d’inverno cercavo il tuo sorriso, nei colori di pietre amorfe nella sabbia bianca circoncisa dalle stelle marine nei vetri lucenti della tua casa, ma era lì travolto dalle onde del mare nel risucchio della risacca, lì in un sogno gravido di eventi da me incompresi. Perché non sei qui? Perché non bevi la mia anima? Napoli, 26 gennaio 2013 CIRO Per il nostro piacere cipolle a velo hai affettato nel pianto, fino a farle brillanti nel manzo dorato. Il fuoco ha asciugato le lacrime e al primo assaggio il tuo sorriso compiaciuto ha approvato. Paccheri trafilati nel bronzo, infine, per accogliere la tua genovese in sposa, per la gioia tua e dei tuoi cari amici. Napoli, 27 gennaio 2013 VESUVIANA Il tuo Vesuvio è donna adagiata sui crateri, sinuose le linee di fuoco, solari le curve oblunghe sostengono arditi seni, che guardano il cielo e accarezzano i pensieri travolti dalla tramontana, che sconvolge fino a Capri le nuvole. Il tuo Vesuvio è donna abbarbicata al nostro essere soli, sospesa sul mare azzurro del nostro Golfo, protesa ad arco nelle viscere della terra madre, lì dove ha tutto origine. Napoli, 30 gennaio 2013 (dopo aver visto Vesuviana di Daniela Pergreffi) CINQUE ANNI Cinque anni dalla tua morte, il pensiero di te travolta da un crudele destino è sempre bruciante. La tua immagine la tua voce il tuo sorriso sono sempre vivi in me, ma quante volte devo dimenticarti per sopravvivere? Ora non cerco più i gabbiani per parlare con te, mi danno troppo dolore. Napoli, 3 febbraio 2013 L’11 FEBBRAIO I passi nei pensieri perduti sul bagnato fino alla Torre d’Ottavia, il giorno in cui un Papa sceglieva il silenzio, il giorno in cui il tuo sguardo era pensoso, risvegliato solo dal profumo di buono dell’antico forno, lì in un angolo del ghetto, il giorno delle vìsciole e delle mandorle sospese nell’etere come la manna d’Egitto, il giorno in cui i candelabri spenti urlavano dolore nella sinagoga, quel dolore universale, eterno, che potevi ritrovare nei secoli addietro, un dolore di duemila anni, che rintrona la mente nel triste ricordo degli sterminii, dei pogrom, sempre ingiusti agli occhi di Dio. Napoli, 12 febbraio 2012 MAESTRI VETRAI Lamine di rame argentato cingono vetri soffiati, sabbia marina. Tu cerchi la luce, ma è il buio della notte, poi l’incanto d’una lampada rischiara il tuo viso di donna e il rosso melograno s’irradia dai vetri infuocati e riscalda il quieto torpore della stanza, il quieto torpore dei tuoi capelli dorati. Napoli, 18 febbraio 2013 LE TUE CATTEDRALI Il riverbero caldo sulle pietre delle tue cattedrali lo puoi trovare nei tramonti infuocati di Giava, quando con una semisfera opalescente, da sprazzi di luce gotica anticata, tu dai anima alle forme le più varie e contieni il nulla nel tutto. È in questo la tua arte immaginifica, che porta al sogno di realtà lontane, ma che puoi trovare anche al largo di Capri, lì dove i faraglioni sono baciati dalle ninfe e dalle sirene, quando la palla di fuoco s’immerge nel mare. Napoli, 27 febbraio 2013 ICARO E Icaro si librò nell’aria e Icaro cercò ebbrezza nel vuoto e Icaro ebbe sotto di sé il mare e le isole e i monti e le nebbie, la pangea tutta ebbe ai suoi piedi e egli cadde negli strapiombi di nuvole e egli cadde e annegò nel mare increspato, ma il suo volo restò eterno fra gli uomini, anche per te amica mia, che ne canti le lodi e l’audacia su una lamiera mirabile, non ancora ossidata dal tempo. Napoli, 1 marzo 2013 (dopo aver visto Icaro, tecnica mista su lamiera di Daniela Pergreffi) PSICHE Su sete pregiate mollemente adagiata, nel suo nudo corpo splendente, fremente, arso d’amore, d’incommensurabile amore, Psiche accoglieva l’abbraccio di Eros, era al tramonto l’amplesso fino all’alba l’amplesso, neanche ai principi era consentito guardare in volto gli dèi e ella mancò e lo perse il suo amore, mentre l’allegro, il largo, l’allegro dei tuoi violini Orfeo annunciava la primavera e Persèfone lasciava Ade per respirare i profumi dei fiori. E cosa non fece Psiche per amare Amore, finché non bevve l’ambrosia e come Afrodite divenne immortale e riabbracciò per sempre il suo amore. Napoli, 9 marzo 2013 EURIDICE Il vento è un finimondo oggi e i pensieri nei luoghi più lontani trasporta, là dove svanisce la realtà e tutto è etereo, là dove la leggerezza dell’essere ti porta a immaginare l’Ade profondo e i pallidi asfodeli in fiore, in un limbo lontano dal Tartaro e dai Campi Elisi, in una terra circonfusa di nebbie, dove tu Euridice sei condannata a vagare lontana da ogni amore, dal tuo amore, segnata da un destino amaro e crudele, che ti ha strappata due volte alla vita, perché due volte era scritto che tu dovessi morire. Il vento non si quieta oggi e il ruggito del mare è il tuo eterno disperato urlo. Napoli, 18 marzo 2013 NAUFRAGIO L’orizzonte è di quella nave fantasma tra i flutti nel lento suo andare a fondo, pure tu sei all’orizzonte, un puntino che annaspa, che cerca la terra salda, che cerca la roccia sicura àncora d’approdo. Ora sei un puntino sempre più piccolo un naufrago senza speranza. Questo succede quando il vento vola contro, quando è avverso il destino. Marina del Cantone, 7 aprile 2013 MOMENTI DI LUCE I capricci del sole ondivago come i tuoi capelli mossi dal vento del mare, che oggi carezza a folate una superficie di lago, riflettono l’umore dell’animo, che ama cullarsi nel nulla, consapevole che tutto è affidato al caso, all’ineluttabile, imprevedibile caso, che gioca come il sole oggi, contro ogni meccanicismo dell’esistenza, nel segno di un destino già scritto. Questo sono io, mentre tu respiri, in balia dell’incerto, quell’attimo di sole, che illumina il bello della tua vita, il bello della nostra vita. Marina del Cantone, 21 aprile 2013 LECCE SACRA E ANTICA Perdersi nelle corti, nei vicoli e trovare la preghiera a ogni passo, in cappelle e chiese antiche, ti porta a respirare la calda pietra di qui, il barocco leggero, che stordisce per le note degli archi nel tono leggiadro dei timbri, ti porta a giocare coi putti, che corrono lungo i balconi delle case, ti porta ai ricordi dell’infanzia, quando la nonna ti parlava di segreti, disegnando antiche storie. Perdersi nelle corti, nei vicoli è aprirsi al bello delle piazze, che sorprendono ancora di più ai lampioni della sera, quando il giallo della tua pietra canta di nuovo, fino alle prime luci dell’alba. Lecce, 27 aprile 2013 CALMA PIATTA Aspetti la pioggia, che rompa una giornata priva di corrente, tutto è fermo, grigio, senza sole, ma le gocce non arrivano a bagnare la tua nudità interiore, la pelle liscia del tuo viso priva delle rughe, che vengono dai pensieri più riposti, perché per te è lontano il luogo della poesia, il solo suo pensiero, perché tu non riesci a vivere l’emozione, che puoi trarre da un giorno piatto, senza pioggia né sole. Napoli, 12 maggio 2013 UNA DONNA Nei meandri della memoria cerco il tuo volto scolpito nel girasole, un colore pieno della tua gioia, della tua radiosa bellezza, che non si scorda, come un arcobaleno, che si apre al sorriso, sopra ogni malinconia. Napoli, 15 maggio 2013 QUANDO TUTTO È CADUCO Come è vero che la vita è legata a un esile filo, nato da una corda robusta, che si assottiglia sempre di più col tempo, fino a spezzarsi, o che si frantuma nel fiore degli anni per un avverso destino. Allora è meglio non pensarci e vivere il viaggio della vita nell’abbraccio dei paesaggi dell’anima, nell’abbraccio affettuoso degli affetti veri, anche quando non sono più, anche quando si sfilacciano per sempre. Napoli, 19 maggio 2013 NARGHILÈ I tuoi occhi cercano i miei mentre una lente ingrandisce le tue pupille, che osservano, come in sogno, volute di melassa e virginia, mentre tutto brucia lentamente mentre tutto è confuso nella luce, che filtra dalle imposte di una stanza, qui nella vecchia Gerusalemme, città di incenso, di odori acri e intensi. I tuoi occhi cercano i miei, si annebbiano nei miei tra le volute di fumo di un narghilè, mentre il tuo corpo è confuso col mio. Napoli, 24 maggio 2013 NOSTALGIA Il vuoto e l’inquietudine sono in te per un desiderio mai abbandonato e aprono alla nostalgia per qualcosa che non hai mai posseduto, un viaggio rinviato, mai realizzato, quello nella mente, che vaga nel nulla. Napoli, 26 maggio 2013 IL BUIO NERO Il buio è impenetrabile nella grotta di Pertosa o sotto Sant’Anna di Palazzo quando spengono le lampade, il silenzio assoluto al buio è opprimente, così deve essere dentro una bara quando si spengono gli occhi, per sempre. Napoli, 27 maggio 2013 USCIRE DAL DOLORE Uscire dal dolore quando le frazioni di un minuto sono come ore e tu hai smesso di sognare la fine del mondo e ti sei svegliato di soprassalto e non riesci più a dormire e sei costretto a pensare, quando le frazioni di un minuto sono come ore e tu vorresti sbattere i pugni contro il muro perché arrivi l’aurora e l’alba e il giorno perché arrivino subito in modo che la luce ridia senso alla realtà delle cose, uscire dal dolore è il momento più bello del nuovo giorno. Napoli, 28 maggio 2013 LA SFERA Gira vorticosamente la sfera, è la tua testa invasa dall’alcool o la mia persa nei suoi pensieri? Gira vorticosamente la sfera, è il tuo viso inebriato per il mio sorriso o il mio soffocato dal turbinio dei tuoi baci? Pure la terra gira e porta con sé il pensiero di tutti. Napoli, 4 giugno 2013 ZAGARE Nel cuore di questo maggio rigido come fosse inverno, dove la pioggia accentua gli odori, sei affondata nello sfavillio bianco di candide zagare, bouquets virginei, che splendono nel loro profumo, in un’isola ferace, fatta di tufo. A te Graziella, prossima sposa, San Michele Arcangelo regala un perpetuo fiore d’arancio, intenso come un tramonto rosso alla Corricella, come un bacio fuggente fatto di oli essenziali d’Oriente, che non si possono dimenticare. Napoli, 5 giugno 2013 UNA SERA AL TIVOLI Eri un puntino lassù a ottanta metri da terra, le luci di Copenaghen ai tuoi piedi mentre giravi come una trottola felice di stupire te stesso felice come un bambino per la marachella gravitazionale, che eccitava tanto gli amici. Eri un puntino lassù, piccolo de Saint-Exupéry, per fare felice tua figlia, tra le vaghe stelle la più lucente, che sulla terra aveva sognato la Patagonia e i viaggi nell’America del Sud. Napoli, 20 giugno 2013 CAMPANULE a Fanny Nel giorno del Battista, eri rinata al sole dell’estate e le aiuole e le bordure del tuo giardino si offrivano ai tuoi inchini, quando coglievi l’azzurro, il viola, il porporino di mille piccole campane, che suonavano poi a festa per la gioia del tuo sorriso, del tuo sorriso di bimba innocente, quando correvi intorno felice per abbracciarmi le gambe. Napoli, 24 giugno 2013 IL CONTRATTURATO Seduto a gambe incrociate alta la tensione dei tendini i muscoli come pietre le braccia conserte scriba di una qualche dinastia, hai il cuore contratturato, di pietra, come quell’uomo, che vidi seduto sulla sponda di un canale, gli occhi fissi nel vuoto, nel vuoto della sua anima. Napoli, 1° luglio 2013 LA PARTENZA Ancora quattro giorni la valigia è lì sul divano impaziente a partire funzionale alla riuscita del viaggio, quando la tua mente è già lì tra le Ande. Le rotelle sono pronte a scattare sui tapis roulants degli aereoporti, ma il tuo pensiero è altrove, tra le nuvole del lungo volo. Napoli, 2 luglio 2013 MACHUPICCHU L’Urubamba intorno alla tua storia gira, come un serpente, che dall’oltretomba l’acqua porta negli abissi, intorno al Waynapicchu, che guarda ancora più in alto il Machupicchu lo spirito incombente della montagna vero dio incarnato, che dà il nome a questa terra del puma e del condor, della madre terra e del cielo. Sì, l’Urubamba è proprio un serpente, che gira tra gli strapiombi della materia per toccare il divino nella fertile valle del principe Inca, dove la tua anima si purifica con l’acqua di sorgenti perenni, che cadono dai ghiacciai delle montagne tutte sacre intorno. Tutto è così rarefatto e l’aria appena si respira, nel nome di una vita di passaggio, nel segno dell’aria, della terra, del fuoco dei vulcani tanto temuti dagli Inca. Machupicchu, 11 luglio 2013 LA CRUZ DEL CONDOR Nelle profondità del Colca le ali plananti dei condor hai incontrato e più in là aquile reali e imperiali a sostenere il tuo braccio, così hai volato per le cime e per i passi alla ricerca del tempo passato, così hai volato sulle Ande per giungere alle linee di Nazca, così vicina al Pacifico, così lontana dal tuo piccolo mare, così universale nei suoi misteri, che possono cogliersi solo dall’alto, battendo le ali come quell’astronauta di un pianeta remoto, scolpito nel cuore della montagna. Paracas, 18 luglio 2013 SALINA Volevi catturare lo sguardo per sempre, ma si era al tramonto, e quei pochi istanti e le scarse parole tutto rendevano fuggevole, incombendo la notte. Il tempo divora il cuore, sconvolge immagini remote, ma non quelle di una vestale, che incontrasti in un giorno di gioia, lí nella baia di Pollàra. Lipari, 11 agosto 2013 A LIPARI Il sonno era dolce sulla cresta dell’onda e i fondali bianchi di pomice e la trasparenza dell’acqua davano un senso di pace. L’acqua cullava il tuo sogno perso nell’abbraccio di un amore lontano, un senso di pace in un’isola che era stata di fuoco. Non cosí Stromboli, il cui mare cupo nero di pece, inquieta, sotto il rombo delle esplosioni, la sciara incandescente, come negli inferi. Lipari, 12 agosto 2013 SECRET AND ANCIENT NAPLES In the heart of magic Sanità sunken mysterial voices of animulae vagulae et blandulae* from deep Cumaean chambers hewn with blood from wounds of ancient hands invade the mind. It flees in surprise and disbelief to the aspidistra and red fire of camellias, to the paths of lemons, plums and mandarines – the true joy of this secret garden. By soft dim torchlight on a fair summer’s eve in these depths of most ancient Naples, this hallowed spot – serene, unexpected, still – laden with history in apotropaic rock. The solid blocks, grave and low, intone their tales, their memories – radioactive, electric, eternal, through the ages like the poetry of ancient Greece in a world both formed and unformed, like the voices, the thread between life and death, between pagan beliefs and Christian. *The Latin phrase (line 3) is proverbial in Italian and left untrans- lated in the poem. It is from Hadrian’s poem that starts «Animu- lae vagulae et blandulae / hospes comesque corpis…» – roughly, «Little souls, wandering and faint /guests and companions of my body…». (Poem of Giacomo Garzya translated by Jeff Matthews) NAPOLI SEGRETA E ANTICA Nel cuore della Sanità magica, voci misteriche sommesse di animulae vagulae et blandulae, dal profondo d’un antro cumano, scolpito col sangue da mani antiche ferite, la mente sorpresa invadono e questa, inquieta, incredula, scappa e il pensiero attonito rivolge alle aspidistre, al rosso fuoco delle camelie, che la strada aprono a limoni aranci cachi e mandarini, vera gioia di questo segreto giardino. Alle luci delle fiaccole soffuse, in una tiepida sera d’estate, questo chiostro sereno, inaspettato, silente, di millenaria storia pregno, che incontrare puoi nel ventre della Napoli più antica, il senso dà del passato, fatto di tufo apotropaico, di blocchi di pietra squadrati, solidi, che con toni bassi e gravi sussurrano di antiche memorie e di antiche storie. Radioattivi, elettrici, eterni, da reggere secoli, come i versi dei poeti greci, in un mondo fatto di corporeo e incorporeo, di voci che tengono il filo tra la vita e la morte, tra credenze pagane e cristiane. (Giacomo Garzya, Poesie, M. D’Auria Editore, Napoli 2011, p. 346) UNA SPECCHIERA A FANNY SETTE ANNI DOPO I lineamenti puri del tuo volto della tua anima sono sempre impressi nella mia mente e non si confondono nel vento che ora soffia in cima al nostro monte con la sua Via Crucis, che tu hai fino in fondo percorsa con la tua fede, forte come il granito, indomita come i faraglioni, che scorgo con i tuoi occhi velati dalle nebbie della morte. Monte Costanzo, 8 febbraio 2015 Prefazione di Aurora Cacòpardo Giacomo Garzya sembra un poeta della classicità greca, comparso per caso in questo secolo, in un periodo di crisi umanistica e di valori, e ricorda la stirpe di poeti pagani, che da un luogo appartato contemplavano le stagioni, la natu- ra, gli animali, i fiumi insieme alla dolcezza degli amori, al- la voluttà della carne, alle inquietudini dell’anima e soprat- tutto allo scorrere del tempo: “su quella linea / che divide il possibile / dall’impossibile, / si demarca la tua voglia / d’amare una ninfa, / che è lì sulla battigia, / lì al sole tra l’acqua e la terra / tra l’oriz- zonte e il cielo…”. In tutta la raccolta di sessantadue poesie (più quattro tra- duzioni in inglese di Jeff Matthews) circola sovente una ri- flessione malinconica ma non sconsolata perché è innesta- ta nell’albero della vita, la cui impronta è una barca che na- viga oltre l’estuario dell’esistenza, per alcuni, per il Nostro oltre i mari del tempo e dello spazio, come cantava il gran- de mistico e poeta spagnolo Giovanni della Croce. La paro- la per il poeta è l’incontro tra luogo e tempo. Il mare è il la- birinto ed è la ricerca della quiete; la navigazione è la me- tafora della vita che procede ora su mari tranquilli, ora in mezzo a tempeste. La malinconia non è mai una resa, per Garzya, bensì è piuttosto consapevolezza. Il sentimento del tempo che cammina tra le pieghe dei giorni e si fa memo- ria è un sentimento che ha attraversato tutto il ‘900 caratte- rizzando quelle metafore di straordinaria valenza estetica ed esistenziale. Molte poesie di Giacomo Garzya sono raccon- ti marini e inni all’amore. Il lettore conoscerà il silenzio dei porti, lo stridio delle rondini e dei gabbiani, le voci dei pe- scatori, le voci degli amanti, conoscerà il terribile vento di scirocco, vedrà tutti i colori del mare: azzurro, blu, verde, nel- le cui acque annegherà i suoi pensieri talvolta sconsolati. Il lettore godrà anche della limpidezza di un’alba come soffrirà della nebbia che tutto vela od offusca il cuore. Giacomo Garzya è come un viandante: si racconta, si dà un senso in un viaggio che diventa metafora del tempo. È un tempo che si raccoglie tra gli scogli della memoria che reci- ta le parole con le quali recupera il senso e il perduto. Nella poesia Lo spazio offre l’interpretazione della propria espe- rienza al di fuori del tempo e della storia come esperienza assoluta dell’uomo. Affida, quindi, al suo vissuto biografico un significato che riguarda tutti recuperando una funzione sia alla poesia sia alla sua figura di uomo dolente: “…e se è vero / che la memoria / non ossida il tempo / è anche vero / che il luogo amato / caro è / a ciascuno di noi / e resiste all’oblio”. Nella poesia che dà nome alla raccolta, Una specchiera, tutto sembra fuggire e scomparire, primo protagonista il tempo che muta e tutto fa mutare, come se la storia avesse smarrito il suo ritmo lineare e continuo. Avvertiamo la divi- nità nascosta del tempo, un passo misterioso e uniforme che spegne tutte le differenze tra il prima e il poi, tra passato e presente. Ma c’è anche la nitidezza della luce: ”quando i campi sono battuti / dal sole / in un’orgia di lu- ce e di vento / in un’orgia di vita”. Quasi alla chiusura del libro tre poesie sono dedicate a Vienna, a Trieste ed alla sua Bora e al mito ed alle figure del mito che hanno evocato nel poeta tempi lontani : Saba, Sve- vo, Joyce, Kafka, Freud, Musil. Poeti, scrittori che hanno tra- mandato un pensare mediterraneo e poeti che sono rima- sti dentro le maglie di una idea di consapevolezza ed il luo- go e la memoria sono un incontro fatale che non solo si per- cepisce per un rimando di tempo ma si vive come una in- teriorità che diviene esperienza storica ed espressione di una malinconia. Il viaggiare per un poeta di confine o di frontiera come Sa- ba ha sempre rappresentato un penetrare l’anima di un in- quieto esistere tra gli urti della storia; ”nella mia giovinezza ho navigato / lungo le coste dalma- te”… I versi di Saba, che risalgono alla raccolta Mediterranee scritta nel 1946, sono un penetrare la metafora e la realtà del viaggio. E la storia è dentro il vissuto, è l’esistere dell’uomo in un confronto con le civiltà. L’omerico senso del “ritorno” ed il dantesco peregrinare alla ricerca di un “oltre” chiudo- no la suggestiva raccolta poetica di Giacomo Garzya tra il mondo mitteleuropeo e le onde del suo Mediterraneo, in un cielo di azzurri voli che trasportano nostalgie, sogni, l’amo- re per una donna e talvolta incantesimi. AURORA CACÒPARDO VIVERE UNA MARINA Nel cantuccio del tuo cuore ribelle all’idea del nulla combatti le tenebre, che sovrastano i gabbiani in lotta per un cefalo che arrendersi alla morte non vuole. E il mare cresce e i colori della tempesta, quasi spenti dalle nuvole, coprono i dispiaceri della tua vita. Si vuole vivere alla luce del sole, non si vuole morire. Marina del Cantone, 23 marzo 2014 PER CAPRI Il sole tiepido sul lento incedere della nave, i rilievi incombenti sul mare, il Vesuvio lì a poppa sovrano, tutto dà senso a una solitudine ancestrale, appena mossa dallo sventolio d’una bandiera logora. Una solitudine che il presente fa contemplare e che è già dopo quando si entra nel porto, sferragliando l’ancora nei fondali verdi e azzurri dell’isola. Capri, 30 marzo 2014 LE VIE DELL’AMORE Manarola anche qui a Marina di Praia, le mani strette nelle mani lungo il cordolo roccioso strapiombante sul mare. Il sorriso genera un bacio, il bacio un altro bacio, mentre pescatori lanciano esche nel sordo rumore della risacca. Qui è tutto un susseguirsi di torri, da Cetara a Conca, al Fornillo, fino alla Campanella rupe di dei. E i baci degli innamorati si modulano secondo il vento e l’onda del mare, mentre tu godi le rocce frantumate da verdi cespugli, che sorridono al sole. Marina di Praia, 6 aprile 2014 QUESTO È GIÁ UN VIVERE Il brusio della strada, volute della tua sigaretta nell’aria libera di questo giorno di primavera, tu distratto dal Fernet Branca bollente come la tua vita passata. Il brusio della strada rompe il tuo essere solo, seduto a un tavolino di un bar con un amico che non parla, ma che ascolta quando mormori il tuo silenzio. Questo è già un vivere. Napoli, 11 aprile 2014 SENT’ CÒ La pioggia improvvisa a Sent’ Cò il via vai frenetico dei gabbiani muovono l’immobile ciò che è fermo da un pezzo dall’ultimo scampanio della chiesa, quando un pallido incerto sole preannunciava l’arrivo dei tuoni nello stretto di Procida. Tutto è inquieto in questa siesta piovigginosa, anche il pensiero di te lontana, anche il mare piatto come una tavola, anche l’edicola della Madonna, che sovrasta lo sguardo senza vita del figlio deposto. Procida, 13 aprile 2014 GRAZIELLA Nell’arcobaleno delle case e dei vefi invano cercavo il tuo volto di madonna, tu avvolta in un mantello blu costellato di gigli di Francia. Oggi solo il tuo fantasma vaga tra le ripide scale, che precipitano giù alla Corricella, e il tuo sorriso apparirà nelle notti di luna piena e addolcirà quest’antico e variopinto borgo di pescatori. Procida, 21 aprile 2014 VALERIA La pioggia batteva e l’unico rifugio era quel bar che dava sul Vesuvio e su Capri, il bar della Tennent’s e di Valeria, che amava la poesia, le belle storie e gli anni giovani della vita, lei giovane e bella, tuttavia conservando negli occhi un velo di tristezza, un non so che di triste, che si confondeva col non colore dell’acqua, ma quando questa si scontrava col sole, un riflesso argenteo leggevi negli occhi scuri come il castagno, un riflesso argenteo fatto di viva intelligenza e luce interiore. In the rain sole refuge that bar looking at Vesuvius and Capri the bar of Tennent’s and Valeria, lover of poetry beautiful stories and the years of youth in life, young and lovely yet with a veil of sadness in her eyes, that I know nothing of, sadness colorless as water, yet when struck by the sun gives back silver you read in her eyes chestnut dark the sparkle of silver lively mind and inner light. Napoli, 22 aprile 2014 (traduzione di Jeff Matthews) MONTALTO La linea marcata dei tuoi occhi sovrasta Montalto, il monte magico della tua giovinezza e i ricordi legati erano allo scalpiccio dei ciottoli e al mormorio del mare, che levigava la tristezza del tuo essere sola, sola non agli occhi di Dio, ma a quelli degli uomini, che spesso dimenticano il bene che hanno, le calde braccia quando stringono i corpi, le labbra quando incrociano le labbra. Marina del Cantone, 25 aprile 2014 IL TEMPO La clessidra è implacabile come la meridiana come il libro d’ore della preghiera. Tutto scorre, la sabbia fine come la nostra disarmonia. Il presente è già passato e è già futuro, ma quale futuro? Quello che è già passato. Napoli, 28 aprile 2014 LO SPAZIO I siti i luoghi per chi vi nasce per chi li vive, evocativi sono di noi uomini, per noi esistono come il tempo e rammentano emozioni antichi e nuovi amori antiche e nuove storie e se è vero che la memoria non ossida il tempo, è anche vero che il luogo amato caro è a ciascuno di noi e resiste all’oblio. Napoli, 29 aprile 2014 IL COMMIATO Il riflesso dei suoi occhi in una vetrina di via Farini era sfuggente, non voleva cogliere la bellezza interiore di un uomo, cercava la fuga dall’innamoramento, scappava la paura del giorno triste per le nuvole buie, scappava la paura di un bacio di un abbraccio che potevano cambiarle la vita. Bologna, 3 maggio 2014 SAN PETRONIO Le note di un’aria salivano nella piazza una piazza centrale di una città centrale, tutto era garbato la gente i tavolini dei bar persino i colombi, che raccattavano frammenti di cibo di qua e di là, e quella giovane dal collo lungo, esile, sorseggiava il suo calice d’uva, all’ombra di San Petronio sotto lo sguardo concupiscente dei maschi. Delicata come il suo Traminer, era dell’Est, dell’Ovest? Non importa, era una donna. Bologna, 4 maggio 2014 UNA NINFA Su quella linea che divide il possibile dall’impossibile, si demarca la tua voglia d’amare una ninfa, che è lì sulla battigia, lì al sole tra l’acqua e la terra tra l’orizzonte e il cielo. Il possibile e l’impossibile insieme nel dolce rumore del mare nel dolce bacio degli amanti in una giornata di primavera. Marina di Praia, 18 maggio 2014 IN PENOMBRA Schivava negli occhi la penombra della stanza cercava un filo di luce, lei che amava il sole lei che aveva vissuto la sera. Quel filo di luce filtrava e una speranza dava, quella di vivere il suo essere in pieno giorno lontana dagli inganni dei chiaroscuri lontana dalla melanconia dalle tristezze della vita. Napoli, 20 maggio 2014 PARTIRE L’estate era alle porte e il tuo desiderio era partire abbandonare le abitudini i soliti cuscini il solito letto il grigiore del tempo incerto le solite strade di una città studiata a memoria abbandonare i pensieri tristi partire abbracciare il nuovo sorridere al sole al sorriso di un volto mai visto prima al sorriso sconosciuto di terre remote. Napoli, 21 maggio 2014 UNA VERGINE Aveva cercato nelle ragioni della sua esistenza il suo apparire il suo non essere e i seni gonfi di desiderio come le magnolie in fiore erano solo nella sua immaginazione per uomini improbabili perché da lei vissuti solo in sogno. Ma ora voleva essere, voleva cercare nelle pieghe dell’esistenza di vivere almeno una volta, di essere una donna di essere turgida nella sua trattenuta verginità, voleva provare l’ebbrezza dei sensi che solo l’amore può dare. Napoli, 2 giugno 2014 UNA FENICE Il suo sguardo o quello che si credeva fosse il suo, incantava, fresche di rugiada le sopracciglia come petali di rose appena sbocciate schiudevano l’anima profonda, come il mare nero quando è battuto dal maestrale. Napoli, 4 giugno 2014 LA PIAZZETTA L’orologio della torre scandisce ogni quarto il tempo e insieme la preghiera silente di Suor Serafina di Dio per questo chiassoso pagano ritrovo di gente di ogni colore. Ogni quarto è anche la misura del tuo tempo tu che aspetti impaziente il tramonto per stringere le braccia della tua amata fino ai primi rintocchi del nuovo giorno. Capri, 7 giugno 2014 L’ATTESA Eri comparsa sull’uscio del mare così, senza bussare e l’attesa del naufrago era stata lunga, anni mesi giorni. Eri comparsa in punta di piedi e i raggi del sole lambivano i tuoi capelli increspati dal vento salso del mare, eri comparsa per dare gioia e portavi dentro il tuo dolore di donna ferita. Marina di Praia, 22 giugno 2014 SUZHOU I tuoi occhi verdi di giada i tuoi capelli neri di seta lunghi come il tuo collo ornato di perle splendono nei giardini di Suzhou e il tuo gentile sorriso riempie il sole di gioia dà vita ai cormorani del fiume pone fine alle lacrime di chi ha visto appassire un loto in fiore di chi ha perso un amore. Your eyes green with jade you hair silken black as long as your neck adorned with pearl sparkle in the gardens of Suzhou and your gentle smile fills the sun with joy and gives life to cormorants of the river puts an end to the tears of him who has seen a lotus blossom wilt him who has lost a love. Suzhou, 19 luglio 2014 (traduzione di Jeff Matthews) POECYLIA La porta aperta verso l’infinito fatto di salti di macchia pastello multicolore come le pareti scheggiate di rubro corallo e tempestate di lanterne, che infondono calore all’anima, tutto fa pensare a te che comandi le rotte nella notte stellata di San Pietro mare nostrum del nostro destino. Punta Becco, San Pietro, 27 luglio 2014 UN AMICO Qui ai confini dell’Ovest a un colpo di vento da Capo Sandalo dove troneggia il faro, il tuo regno incorrotto di elicrisi mirti assenzi sul precipizio della scogliera, che vede le tempeste nascere crescere morire quando incalza il maestrale, che ti ha portato qui da mari lontani, dal golfo del Messico, dal mar Rosso, dal Dodecaneso, dalle Cicladi, tu che ne esploravi i fondali ignoti alla ricerca di te e della natura divina dell’uomo. Punta Becco, San Pietro, 30 luglio 2014 UNA SPECCHIERA Guardavi a uno specchio opaco consunto dal tempo il tuo viso segnato dalla luce di un lume, ma il tuo sguardo scappava subito le rughe profonde per tante infinite notti a pensare ai lunghi anni felici falciati in un istante da una forza crudele, come quella che falcia le amate spighe di grano in un giorno d’estate, quando i campi sono battuti dal sole in un’orgia di luce e di vento in un’orgia di vita. Punta Becco, San Pietro, 31 luglio 2014 COLORI A SAN PIETRO Una madrepora azzurra hai portato da mari remoti, libertà degli abissi e di affetti profondi, quelli che ti hanno spinto a colorare il blu del tuo mondo con ocra rossa e gialla caldi colori che si fondono col sorriso degli arbusti al tramonto del sole e che rendono dolce la tua solitudine. Punta Becco, San Pietro, 1° agosto 2014 DA CAPO ROSSO Cercavi tra le rocce strapiombanti sul mare i falchetti che avevi trovato all’estremità nubiane e ravvivavi il ricordo del dio Falco, di tante dinastie testimone di vita e di morte. Dall’altro capo Carloforte e le saline dei fenicotteri rosa pur essi di egizia memoria, che trasmigrano con i falchi la tua anima tormentata a calette tranquille prive di storia se non quella di pescatori e pirati, ma dove la notte esplorare puoi la via lattea nel piú grande nitore, nella piú grande assenza di luce. La Caletta, San Pietro, 2 agosto 2014 PUNTA NERA Il grecale da Sant’Antioco fredda Punta Nera e riverbera un gioco di venti quando improvviso subentra il maestrale spingendo le vele contro le rocce, dove tu distesa preghi lo scirocco di sud-est, per riscaldare il cuore. Questo è il mare sardo, audace mutevole come tu donna, che cerchi l’amore nel mare dove nacquero le tue figlie, dove nacque Afrodite. Punta Nera, San Pietro, 16 agosto 2014 LIANA a Paolo Sandulli Un busto di donna scovai nella torre alla Marina di Praia, una madonna antica minoica oppure orientale della Cina lontana, il viso dolce di biacca, spugna di mare rosso porpora la chioma, una divinità, che regge ora le sorti della casa come i sacri penati di antica memoria. Miliscola, 7 settembre 2014 DA AMICI Un noce un ciliegio un alloro confortano il tuo agreste bucolico manso di terra, a un passo da San Barbato longobardo maniero, che guarda la valle del Sabato fin su a Montevergine dove il beato Giulio bianca tonaca di San Benedetto pace dà tutt’intorno, fuori dall’odio di feroci lontani teatri di guerra. Candida, 14 settembre 2014 PER FRANCESCO CIOFFI Il tuo viso segnato dalla salsedine, che corrode la carne ma dà forza allo spirito, fiorisce pensieri pudichi arroccati sulle spume di Jeranto, come antico filosofo della natura, che dà senso alla vita, all’arte fatta di scorci di faraglioni solo dalle foschie violati, di sirene probabili in questo mare caro al mito. Il tuo viso scavato di ricordi vive di una vita trascorsa sul mare, quando tutto intorno decade per l’accidia degli uomini per l’insensato odio che hanno di sé. Marina del Cantone, 5 ottobre 2014 DOLOMITI Il sole filtra tra pini, larici, abeti rossi su baite antiche di pietra e come serpente porta la strada fin su al passo, Rolle si chiama il passo, e piú su dal Castellazzo il Cimon della Pala, che sulla Marmolada si apre, un tempo teatri di guerra, ora percorso del Cristo pensante, di giovani che la pace di queste cime respirano nell’anima, tra venti, nebbie, che pietosamente coprono i morti della montagna. Rifugio baita Segantini, 9 ottobre 2014 AMARE Il profumo argenteo del mare è il tuo profumo e mi inebria fino allo stordimento, come i baci infiniti sul collo, sulle labbra, sospesi sull’onda del nostro mare. Napoli, 12 dicembre 2014 ABBANDONO Dietro il tuo sorriso la malinconia, nei tuoi occhi grandi smarriti leggo una dolcezza non ancora perduta, e a un battito di ciglia il desiderio tuo con languore bacia sentimenti emozioni in un continuo abbandono, al tremolio di una candela, a un tavolo imbandito per te, in una sera senza nome, senza tempo, in un luogo dove l’ossigeno della tua vita è il mio. Napoli, 18 ottobre 2014 MAREGGIATE È vero, molti uomini il proprio destino spengono nel mare nero urlante, senza l’ausilio d’un faro, ma è anche vero che la fede in te amore è una luce, un sole più forte della ragione che dice di non affrontare le mareggiate, i gorghi vorticosi del cuore. Napoli, 22 ottobre 2014 BACI Ineguagliabile unico il tuo sorriso, tu avvinta in un abbraccio, che travalica le radici delle querce, dei lecci, in una tiepida sera, in cui i baci sono miele d’ape regina, come le carezze dolci degli innamorati, prima ancora che il freddo inverno richieda il crepitio del focolare per dare calore alle labbra e scintillio agli occhi tuoi. Napoli, 23 ottobre 2014 NOTTE Dominavamo la notte e la città al quattrocentesimo piano e quell’emozione di volo inebriava noi fusi con le luci, milioni di piccole luci, e immersi nelle bollicine d’una coppa a due, noi a incrociare lo sguardo languido, in un brindisi senza fine. Napoli, 24 ottobre 2014 SOLI L’acqua e l’aria erano ancora caldi in quel pomeriggio glorioso d’autunno, come la tua gioia di esistere e i tuoi capelli sciolti dalla brezza del mare si confondevano con la sabbia cinerina e i tuoi occhi cercavano i miei, ma invano ché i miei vagavano nel buio, ciechi, rivolti alle tenebre in un momento di assenza di piena solitudine, come capita, anche in un pomeriggio glorioso, a chi convive con la morte d’un figlio. Napoli, 25 ottobre 2014 UN’ALBA Un cielo terso freddo come il marmo apre un nuovo giorno, con un sole pallido, poi via via audace accecante, per dare nuova vita alla natura sopita, per dare luce agli occhi colore alle cose, per dare ai capelli d’una donna motivo di splendere a una carezza d’amore. Napoli, 26 ottobre 2014 LODE A ABELARDO E ELOISA Le note del Kyrie l’aria inondano come quelle del Gloria in un giorno eccelso al Signore, quando le vostre anime pure legate da infinita sete d’amore in cielo si innalzano, con le labbra consunte dai baci con gli occhi incantati al fremito dei sensi al fremito delle sussurrate parole, in un indimenticato tramonto rosso in un indimenticato giorno d’amore. Napoli, 29 ottobre 2014 LODE AL MIO AMORE Amore mio ti ho nel cuore, sei dolce come i datteri in un’oasi nel più lontano deserto, un’oasi dove tu sei l’acqua, io la palma, tu il miele io il tuo cuscino, tu la mia donna io il tuo uomo. Napoli, 30 ottobre 2014 VITA E MORTE La falesia strapiomba su un mare smeraldo e affolla di pensieri la mente, nella quiete della risacca e d’un orizzonte nitido, che ti porta a scernere la realtà dal sogno, l’inquietudine per un mesto ricordo di morte la gioia d’un amore nato nel vento. La falesia tinta dal sole strapiomba nel cuore del mare e nel contrasto tra roccia e acqua nasce la vita, che porta la bellezza a contemplare e insieme il dolore, che la natura puó dare, perché essa dà e toglie, dà gioia e porta dolore, il dolore quando si è chiusi al vento del mare, al bacio, all’abbraccio d’un amore. Marina di Praia, 1° novembre 2014 CECITÀ La cecità condanna se stessi all’oblio, come il dubbio di Tommaso di fronte alle piaghe di Cristo, il dubbio di chi non sente ció che si vede nell’anima, negli occhi innamorati d’una donna o d’un uomo, di chi non sente ciô che si tocca con mano, le labbra inchiodate alle labbra. Blindness condemns itself to oblivion like the doubts of Thomas before the wounds of Christ, the doubt of those who do not feel that which the soul sees, in the eyes of lovers of a woman or man those who do not feel that which they touch with their hands, lips upon lips. Marina del Cantone, 2 novembre 2014 (traduzione di Jeff Matthews) NEL VENTO C’è vento tanto vento e tu sei con me nel vento, ti bacerei all’infinito nelle tenebre come nel giorno, sempre, come un angelo al suo angelo nelle intemperie della vita, un abbraccio infinito un abbraccio nel vento. There is wind so much wind and you are with me in the wind, I would kiss you forever in the shadows as in day always, as one angel kisses another in the harshness of life an infinite embrace an embrace in the wind. Napoli, 5 novembre 2014 (trad. di Jeff Matthews) L’AMORE L’amore è il sublime, quando la luna si incrocia col sole nel’orbita che noi sogniamo, nell’orbita d’un amplesso in un giorno d’autunno, quando tutto converge all’unisono, quando l’armonia dei suoni raggiunge l’estasi dei sensi, in un giorno d’autunno in un giorno d’amore. Napoli, 10 novembre 2014 GERMOGLI Un cespuglio di rovi la vita quando l’amore è lontano, ma quando è presente tutto germoglia in qualsiasi stagione, sopra le lastre di ghiaccio degli eterni ghiacciai, sopra la sabbia fine dei deserti, sopra i prati in primavera o in un campo di rose a maggio. Napoli, 12 novembre 2014 COME AFRODITE I riflessi del sole giocano con i tuoi occhi e trasfigurano nella memoria il tuo sguardo innamorato perso nei miei occhi, da tanta bellezza sorpresi, come doveva essere quando un mortale leggeva in Afrodite l’amore, lei radiosa come la luce lei nascente dall’acqua. Cetara, 16 novembre 2014 IL VENTO Il vento forte mulinello nel mare i tuoi capelli scioglie in abbraccio e le onde impetuose sorreggono il nostro amore fatto di piccole e grandi cose e il profumo delle zagare è intenso come il nostro amore e le carezze dei pini forti al vento sono sostegno al nostro amore. Napoli, 17 novembre 2014 BACI PER SEMPRE E quando racconti le stelle non puoi Sirio dimenticare, guida nel firmamento delle rotte di chi ama riamato di chi gioisce al profumo dell’amore di chi asperge petali di rose sugli altari dei sentimenti più belli e puri di chi non potrà dimenticare i giorni felici trascorsi nei baci. Napoli, 18 novembre 2014 LA SORPRESA Correvo senza una meta, là dove gli abeti e i pini si esaurivano nella tundra, là dove gli ermellini, le volpi, le lepri immacolate fanno capolino nelle distese innevate e tu donna eri lí come un angelo a accogliere i miei tormenti a lenire la mia solitudine a lievitare la mia esistenza col tuo amore nel mio. Napoli, 20 novembre 2014 CHOPIN Una ballata rompe il silenzio della notte e i tasti del piano frenetici si agitano per il tuo cuore di donna che pulsa note d’amore per me, bello come un astro misterioso, come un albatros in volo alle prime luci dell’alba. Napoli, 23 novembre 2014 SORRISI Al di là della memoria, il tuo sorriso, al di là dei salici, degli alberi che piangono di gioia, quando il tempo si irrora del nostro amore, il tuo sorriso. Al di là della memoria, il tuo sorriso, quando le tue labbra si immergono nelle mie, quando le mie si immergono nelle tue, in un’estasi infinita in una terra di nessuno dove tace il rumore dove non tace l’amore. Napoli, 26 novembre 2014 LA NOTTE Il tuo respiro è l’essenza della notte, tu vivi tra le mie braccia vivi e non è agitato il tuo sonno dai fantasmi della morte, ma dall’amore per il tuo amore, tu vivi tra le mie braccia vivi e i tuoi sogni sono i miei anche quando la realtà del giorno rende tutto aspro e difficile, e vivere tra le braccia è solo un momento. Napoli, 29 novembre 2014 LO SCRIGNO Nel luogo più nascosto del cuore lo scrigno, che i ricordi i mille ricordi di una vita raccoglie, i ricordi più riposti, che solo le chiavi del tempo hanno diritto di rendere noti, per far rivivere alla luce tremolante di un lume le storie più belle, ma la storia più nitida sarà quella di una donna vera, unica e dolcissima, per sempre nel cuore. Napoli, 30 novembre 2014 UN SOFFIO Il tuo viso tra le mie mani quando tu amore soffi vento tra i tuoi capelli nella mia anima, questo è vivere questo è amare, come quando Adamo riceve la vita per un soffio divino, come quando gli angeli, i puttini, soffiano nelle trombe inni celesti, come quando Zefiro rende tersa l’anima delle terre, dei mari, degli oceani, spazi infiniti del nostro infinito amore. Marina del Cantone, 30 novembre 2014 COME L’AMORE IL MARE Non mi stanco mai di guardare il mare non mi stanco mai di guardare i tuoi occhi e l’onda sull’onda cresce come l’amore ricambiato come l’amore di un’anima per un’altra anima, l’onda sull’onda in perenne moto con gli astri del cielo, nel risucchio della risacca, sempre cara alla mia osmosi, alla mia armonia con te amore. Marina del Cantone, 30 novembre 2014 L’ORGOGLIO L’orgoglio è forza motrice per un uomo come per una donna, ma si offusca quando l’amore trascende ogni cosa e l’amore grande tutte le barriere supera tutti gli ostacoli abbatte e quando si fondono i corpi d’un uomo e di una donna, quando gli occhi brillano della luce degli innamorati, nulla può fermare la cetra in un inno di gioia a chi si ama con tanto ardore. Napoli, 4 dicembre 2014 LA BORA La bora trascina il tuo amore lontano, ma è accanto a te il tuo amore come sempre per sempre, la bora ancora fende sui tuoi capelli, sferza il tuo viso e leviga i tuoi lineamenti, li rende distesi come capita solo a chi vive l’amore, nelle tempeste di vento come nelle notti tranquille, e quando poi essa tace puoi toccare dal molo Audace la quiete di quel castello bianco, che da secoli mira il mare. Trieste, Caffè San Marco, 6 dicembre 2014 TRIESTE Sferragliano qui i tram come a Praga, a Vienna, lo stesso rumore mitteleuropeo di prima mattina, un’anima sola una sola cultura, oggi sotto un cielo grigio di questa parte del mondo, che ha visto Svevo, Joyce, Saba nei caffè, nelle strade, a passeggiare sul mare grigio come il metallo. Oggi sotto un cielo livido d’autunno sferragliano i tram colorati d’un tempo andato, gli stessi di Freud, Kafka, Musil e di un vecchio impero che vive ancora. Trieste, 7 dicembre 2014 ZUM SCHWARZEN KAMEEL Dozzine di Gillardeau e Chablis a volontà non placano il desiderio di riabbracciare te dolcissima, per passeggiare sul Ring, al Graben nelle luci della sera, per colmare la nostra infinita arsura d’amore, nel respiro d’una città, che ha in sé le chiavi del passato e una grande gioia di vivere il presente, nell’abbraccio forte di te amore. Wien, 25 dicembre 2014 IL VENTO DEL MARE Un vento possente ricopre la nostra anima fatta di puro amore di baci senza fine di cuori uniti per sempre in un abbraccio stretto stretto, che resiste al vento, il vento possente del mare a cui nessuno resiste, solo il marinaio provetto solo un amore infinito. Napoli, 23 gennaio 2015 ZAFFIRI Due zaffiri i miei occhi, i tuoi occhi innamorati trasfigurano nell’azzurro del mare e il sorriso delle onde a tanta voglia di amare rende felici i delfini come i bianchi gabbiani. Napoli, 24 gennaio 2015 A CETARA A mezzogiorno in punto, lo sventolio festoso delle campane canta il nostro amore, un amore, che si culla sulle onde del mare, un amore, che cova sotto le ceneri del focolare e si ravviva sempre di piú a ogni soffio di vento. Cetara, 25 gennaio 2015 PETTIROSSO Sei sempre nei miei pensieri e per quanto si possa trasmutare il ricordo di quel terribile giorno, nel dolce ricordo dei tuoi occhi lucenti, la vita è un tormentato peregrinare nell’Ade. Il tuo papà Napoli, 18 ottobre 2015 Prefazione di Maria Rosaria Compagnone «Uno spirito inquieto che non si ripiega su se stesso e che non rinuncia mai a vivere nel mondo e col mondo», così Giu- seppe Galasso definiva nel 2001 Giacomo Garzya nella pre- fazione della raccolta Maree. In un’esperienza poetica tan- to vasta e articolata come quella di Garzya (oltre venti anni di attività ininterrotta) la sua poesia, da qualsiasi punto la si osservi, appare in costante movimento o meglio, si co- struisce e si presenta come un continuo viaggio, un viaggio compiuto non solo pellegrinando per i luoghi cari al poeta ma, e soprattutto, attraverso i gesti che costituiscono i pia- ceri semplici dell’esistenza umana. È sufficiente un bic- chiere di Spritz nel quale il ghiaccio che brilla rinvia all’a- more negli occhi degli innamorati per delineare sulle labbra del lettore un sorriso, segno di un déjà-vu affiorato dal bau- le dei suoi ricordi. Piccolo e grande sono concetti relativi, quasi inadoperabili, se ci si accosta alla poesia di Garzya, poi- ché il più piccolo e semplice gesto può scatenare la più for- te e profonda emozione, come un gatto che si arrotola al so- le di mezzogiorno e rende, chi lo osserva, semplicemente fe- lice. Un insieme di luoghi circoscritti dunque, ben definiti nella loro storia e nelle loro caratteristiche, che racchiudo- no in sé l’universo intero e aprono a considerazioni sugli uo- mini, sul loro esistere, sull’amore, sulla storia e sulle storie di ognuno. Poesie della realtà, di gesti abituali e ripetitivi co- me quello dei pescatori di Marina di Praia che giocano a carte, a dadi/ sui tavoli/ dove scorre vino rosso/ sangue,/per lenire la fatica del mare,/ per stordire la men- te/ nei momenti d’ira del mare. Il viaggio di Garzya prende avvio tra i boulevard di Bru- xelles, città dove ha trascorso tante estati della sua infanzia e adolescenza, ripercorre località di mare a lui care e presenti nelle raccolte precedenti e si sofferma a Trieste, luogo d’e- lezione per la scrittura. Trieste città-frontiera, crogiolo di razze, groviglio di Storia e cultura, Trieste e i suoi letterati i cui busti sono esposti di qua e di là per le vie: Joyce, Stupa- rich, Svevo, Saba. E a Joyce, Garzya dedica dei versi nostal- gici nella malinconica consapevolezza che i suoi passi si so- vrappongono a quelli lasciati, un tempo, dallo scrittore lun- go il canale, versi che rappresentano una sorta di dialogo e un momento di meditazione in compagnia del padre del- l’Ulisse moderno I tuoi passi sul canale/ caro padre d’Ulisse/ sono ora i miei passi/ e ricordano le tue sudate/ pagine, che passeggiava- no/ in me ragazzo,/ alla scoperta della tua coscienza,/ co- me della mia,/ così diversa la percezione/ delle ore, dei mi- nuti, dei secondi,/ così diversa la latitudine dellamente/ in ciascuno di noi. Il viaggio riprende da un continente all’altro e, nella pe- nombra dei grattacieli di New York, Garzya emerge quale poeta del movimento urbano e accende con le parole, pro- prio come il riverbero sul fiume/ accendeva il cielo nel blu/ della not- te,/ le corde d’acciaio del ponte/ più antico e bello vibran- do/ al battito accelerato del cuore/ degli innamorati/ il volto della New York più autentica dove l’immagine de- gli innamorati, il suono delle sirene delle navi, il volo dei gab- biani e il passo di chi vuole arrivare primo in una corsa con- tro il tempo, si confondono sullo sfondo con l’energia spri- gionata dalle parole stesse utilizzate per descrivere queste immagini. Potenza e sentimento che ritroviamo nelle tre poesie dedicate agli uomini e ai paesaggi del Nord, piccole scene rubate alla quotidianità e suggestivi paesaggi natura- li, realizzati non con oli e pennelli o con la fotografia, di cui Garzya è altresì maestro, ma con la poesia e la ricchezza delle parole. I suoi versi sono soavi, scorrono con naturalezza e spontaneità come i paesaggi descritt e questo perché, co- m’è stato già notato in passato da diversi studiosi, la poesia non è per Garzya tanto una scelta quanto un bisogno, un’e- sigenza naturale al pari del mangiare o del dormire. Un’esi- genza che diventa vitale dopo i momenti tragici che segna- no la sua esistenza, quando i versi si dispiegano in una liri- ca che evoca l’amatissima figlia perduta e rappresentano un meditare costante sull’esistenza dell’individuo, sulla sua singolarità dolorosa, sperduta in una cosmologia sconfina- ta, in una cosmologia il cui ritmo più prossimo, più avver- tibile, è lo scorrere del tempo, il susseguirsi degli eventi e del- le cose, l’alternarsi delle stagioni. Le poesie di Garzya rile- vano l’esperienza di un severo disincanto dinanzi al senso della vita, ma sono anche un attraversamento incessante del pensiero in piena libertà, tra alti e bassi, tra slanci e silenzi. Un attraversamento che si spinge fino a quel punto dove il pensiero guarda se stesso e vede il proprio limite. In quello stesso istante, però, s’intravede una boa di salvataggio e questa boa è l’amore. L’amore che traspare dall’abbraccio di due giovani innamorati, dallo sguardo della donna che si ha accanto, che si presenta sensuale e fisico tra due amanti o semplicemente si percepisce nel tenere tra le mani un ani- male fragile e indifeso come in Pettirosso, penultima poesia che dà il nome all’intera raccolta Saltella il mio cuore,/ batte batte col tuo,/ e le piume morbide come il profumo,/ la mia mano scaldano/ e bat- te batte/ il tuo cuoricino col mio/ L’audacia di questo piccolo passeriforme a lanciarsi con- tro qualcosa di enormemente più grande di lui è tramandata dalla tradizione cristiana, secondo la quale il pettirosso si sa- rebbe procurato la tipica chiazza rossa sul petto cercando di estrarre una spina dalla corona posta sul capo del Cristo. È l’allegoria dell’eroismo, dell’altruismo e della generosità, è la silenziosa storia di tanti piccoli Davide di cui nessuno parlerà mai, ma non per questo rinunciano a combattere. Ancora una volta Garzya sorpassa il punto del limite e dà una risposta alla paura della morte, dell’assenza e del nulla. Poche volte un libro, nella vita di un lettore, diventa una presenza insieme discreta e costante, e dalle sue parole, dal- le sue rime, dai suoi pensieri, prende avvio la meditazione sull’esistenza dei singoli e dell’universo, di tutto quello che definiamo vivente. E ogni nuova lettura porta in sé sogni e visioni che hanno qualcosa di nuovo e di diverso, che solo un poeta dei paesaggi dell’anima può suscitare. MARIA ROSARIA COMPAGNONE BOULEVARD L’asfalto di rugiada, i fanali delle auto che sfrecciano verso le stelle, una birra per spegnere nella gola un grido di solitudine. Bruxelles, 16 febbraio 2015 LA MIA SIRENA Calma di vento qui sui sassolini della marina e il tuo viso è qui riflesso sulle onde del mare, come una sirena, la più bella tra quelle che puoi incontrare a Jeranto in un giorno di sole, in un giorno in cui la tua mano è stretta nella mia mano, in un giorno in cui la tua anima è stretta nella mia anima, è la mia anima. Marina del Cantone, 1° marzo 2015 TU DONNA Qui alla marina il grecale gioca tra le onde con eterno vigore tormentato vivo e fluttua nell’immagine di te donna che crei in osmosi col mare, che crei chi vivrà in te l’amore, nel dolore, nella gioia della vita. Marina del Cantone, 8 marzo 2015 LA TUA VOCE La tua voce la mia vita nel dolce rumore del mare, la tua voce la mia anima nel riflesso dorato dei tuoi occhi, che parlano da soli di trasparenze di antiche gemme, che brillano del nostro amore, nel dolce rumore del mare. Marina di Praia, 14 marzo 2015 MARINA DI PRAIA Il mare romba come un vecchio motore, tuona sulle rocce e come demone lotta contro le barche al fondo legate dall’àncora, mentre visi consunti di pescatori, volti antichi bruciati dal sole volti antichi forgiati dal vento, giocano a carte, a dadi sui tavoli dove scorre vino rosso sangue, per lenire la fatica del mare, per stordire la mente nei momenti d’ira del mare. Marina del Cantone, 22 marzo 2015 UN CUORE ALLA MARINA Il Tramonti della Costa d’Amalfi le vene irrora d’amore per una donna riversa sui sassolini del lido, presa dalla bellezza del verde smeraldo del mare e delle alici argentate sparse sui fili d’alghe di qui, all’ombra dell’angioina torre che tutto domina, che protegge i cuori dall’oblio, che a volte acceca la mente, quando è incantata dalle onde placide del mare. Marina di Praia, 28 marzo 2015 LA TESTA AL PETTO Gli occhi socchiusi al bacio della notte al bacio del giorno, un eterno bacio nello strenuo desiderio di avere stretta la tua testa, capelli d’oro, al mio petto, nell’emozione di sentire bisbigliare all’orecchio dolci parole, in un amore senza fine, dal tramonto all’alba, di nuovo al tramonto, in una sequenza infinita, il nostro destino. Marina del Cantone, 2 aprile 2015 AMARE Cercavo nella palude dei ricordi te ragazza, quando scolpivi i tuoi baci sulle labbra del mare, quando sorridevi all’ombra dei cedri e dei pini per le dolci carezze del sole per il dolce mormorio delle onde, ora mi guardi con i tuoi occhi innamorati, al crepuscolo della vita, nel momento più magico della nostra esistenza del nostro profondo amore. Marina del Cantone, 3 aprile 2015 INNAMORATI Il silenzio dei pini è rotto dal cinguettio dei passeri, dai baci degli innamorati, che cercano nel loro abbraccio quel segno di vita che solo il vento può dare, quando la quiete sovrasta l’amore celato nel cuore. Napoli, 7 aprile 2015 PERLA Perla, come un batuffolo di cotone pregiato del Siam, ti arrotoli al sole di mezzogiorno e baci i caldi raggi con i tuoi occhi felini, color cannella, e rendi felice il mio giorno. Marina del Cantone, 11 aprile 2015 MINA Sali per il petincolo scendi per il canapile, questa è la storia di qui raccontata da Mina, tra mare e montagna, la storia del cuoccio che salta su dalla Praia nel piatto e per i giardini spande il suo profumo nell’acqua pazza che sposa patate e pomodorini e allieta la mensa di amici devoti, pronti a scendere dalle grondaie di nuovo al mare. Praiano, 12 aprile 2015 SUGGELLARE Suggellare il nostro amore una sera di primavera con i morsi sulle labbra, come sigillo di re sulle carte, come lo stormire delle rondini sui capelli al vento in cerca di libertà, è vivere insieme felici. Napoli, 14 aprile 2015 TU Il mio paesaggio sei tu Babilonia, donna delle cento torri dei mille petali di rose sparsi nella rugiada dei deserti, nei granelli di sabbia, pari ai tanti cuori che possiedi. Napoli, 14 aprile 2015 FELICITÀ Il rollio della barca la tempia contro la tempia le arterie all’unisono sincronizzate all’abbraccio, tutto pulsa amore. Capri, 18 aprile 2015 EROS Come le radici, i rami contorti degli ulivi quando amoreggiano col vento, così i nostri corpi avvinghiati in un amplesso senza fine vivono l’estasi dell’eterno amore. Furore, 25 aprile 2015 QUAQUARAQUÀ Signorsí signorsí signorsí e parla e sparla e lecca e striscia, signorsí signorsí, signorno non va così. Amalfi, 25 aprile 2015 MARAMEO Marameo e il micetto dalle reti sbuca marameo e il pescatore dalla barca occhieggia marameo e il tuo viso sorride dal cuore. Corricella di Procida, 26 aprile 2015 GABBIANI Una danza di gabbiani dà senso al viaggio, da poppa a prua è tutta una gara e la leggerezza del volo è come l’anima che vaga dall’amore per una donna all’amore di lei per il suo uomo. Da Procida per Napoli, 26 aprile 2015 IL MIO FARO Tu il mio faro per non sbattere contro gli scogli, la luce. Napoli, 28 aprile 2015 IL SILENZIO DEI CIOTTOLI Se le pietre potessero parlare non piangeresti la solitudine, eppure non sei solo, l’abbraccio caldo dietro l’angolo, il sorriso delle campane di mezzogiorno, i gabbiani radenti sui ciottoli giú alla torre, la carezza del sole che va e viene. Cetara, 1° maggio 2015 ESSENZE PRIME Cercavi nell’acqua fluttuante la ragione di ogni cosa, poi nel fuoco dei tramonti dall’Egeo ai confini del mondo, poi nel vento che sospende tutto che tutto muove, poi nella madre terra che germoglia i frutti le messi abbondanti, cercavi insomma l’essenza prima. Era in tutte le cose vive e aveva in sé l’inizio e la fine di tutto. Marina del Cantone, 2 maggio 2015 GRECALE Sui capelli tuoi soffia il vento forte e tutto si muove, dagli occhi vivi di gioia alle palpebre alle labbra, che schiudono note d’incanto in un giorno felice. Napoli, 17 maggio 2015 BORGO MARINARI I mulinelli del mare a Santa Lucia ingorgano le barche e gli alberi tremano e tu donna tenace fedele reggi il mondo dei venti e le vele impazzano come il cuore degli innamorati. Napoli, 17 maggio 2015 LA MANO NELLA MANO La mano nella mano il sereno nel petto, il sorriso copriva le pagine della tua vita aspra come la pietra piú dura. La mano nella mano i baci sulle labbra le carezze sul viso, le pagine ora cariche di bei ricordi, che non puoi piú dimenticare, la vita meno aspra e dura. Napoli, 23 maggio 2015 NON PIANGERE Le tue braccia forti come le gómene nei porti stringono a te il tuo amore così le tue mani come il vento del mare stringono le sue mani così i tuoi capelli come le spighe di grano sono catene di ferro per il tuo amore. Le tue braccia stringono stringono a te il suo cuore così le tue mani stringono stringono le spighe dei campi così i tuoi capelli sono catene di ferro per il tuo amore. Non piangere non piangere non è finito il tempo del nostro amore non finirà mai il tempo del nostro amore. Napoli, 24 maggio 2015 MEDITERRANEA Da piazza dell’Unità la nave gigantesca in partenza, per quali lidi lontani affronta il mare non so, ma è certo che non porta con sé niente del mio cuore, ancorato ai suoi affetti profondi, come il miele alle ali delle api. Trieste, Caffè degli specchi, 30 maggio 2015 TU SEI L’ AMORE Tu sei l’alba che mi porterà fino al tramonto. Tu sei il giglio radioso che illumina i miei giorni. Tu sei l’amore splendido, come le vele al vento in un giorno di sole. Tu hai un cuore che batte all’unisono col mio. Trieste, Caffè Stella polare, 31 maggio 2015 JOYCE I tuoi passi sul canale caro padre d’ Ulisse sono ora i miei passi e ricordano le tue sudate pagine, che passeggiavano in me ragazzo, alla scoperta della tua coscienza, come della mia, così diversa la percezione delle ore, dei minuti, dei secondi, così diversa la latitudine della mente in ciascuno di noi. Trieste, Caffè Rossini, 31 maggio 2015 SPRITZ Spritz Aperol Spritz Campari Spritz Hugo, si gode la diversità delle genti all’ombra dei lampioni di Maria Teresa Augusta, tutto è luce intorno al passo dei valzer e il ghiaccio brilla nei calici, come l’amore negli occhi degli innamorati. Trieste, Caffè degli specchi, 31 maggio 2015 MIRAMARE Grignano evoca Miramar e Massimiliano e Sissi corone intrise di sangue. Tutto porta all’impero e al piccolo molo dove attraccavano alle bitte storie di aquile, che toccano ancora le corde più intime. La nostalgia è ancora un bene comune? Grignano Mare, 1 giugno 2015 COLORI Il colore della mia vita è l’amore colto nei fiori, come i baci colgono la passione, che tutti i colori contiene quando l’amore è infinito. Napoli, 5 giugno 2015 CASTELLO D’ARAGONA Da Cartaromana il castello, la storia del borgo, tra la luce che obliqua corrode il tufo grigio-giallo e la cupola ammantata di sole, e tu regina dei venti, dei mari abbracci il suono del tempo e le labbra non sono consunte dai secoli, ma rosso porpora per il maestrale. Ischia Ponte, 6 giugno 2015 INSONNIA Un alito di vento fa scorrere le lancette della notte e il lieve respiro della città addormentata, come il lieve fruscio dei tuoi capelli, copre il dolore, quando la mente associa il silenzio alla morte, quando l’insonnia nel buio rende la vita piú dura al sorgere del nuovo giorno. Napoli, 13 giugno 2015 TUTTO Tutto, sei tutto per me. Quando vedrò il mare i miei occhi cercheranno i tuoi sulla schiuma dell’onde dove l’infinito è in te, come nel girasole quando è attratto dai caldi raggi del carro di Febo, e tu, anima mia, sorridi alla rosa dei venti, incanti con le parole e stringi la mano per un tenero abbraccio. Sulla schiuma dell’onde è l’amore e il tutto è in te, ninfa moderna dal cuore immerso nel mio, come il cecubo quando si scioglie nel sangue. Capri, 14 giugno 2015 ULISSE Dorma in pace la Sibilla dopo vaticini di secoli, oggi la mia ninfa guarda il futuro innamorato del profumo del mare cobalto di Cuma, sogno dei naviganti presi dal vortice dei venti dall’amore di Circe dalla scia della vela d’Ulisse, che ancora distoglie la prua dalla sposa di Itaca, in un eterno libero viaggio senza ritorno. Napoli, 18 giugno 2015 SOLSTIZIO D’ESTATE Bevano nelle coppe le stelle del firmamento, giunge il tempo del sole e le corone ghirlandate ornano le trecce bionde delle fanciulle in fiore, le stelle danzando e cantando con Bacco. Bevano le fanciulle ditirambi di vino, fuoco di mezzanotte, bevano con gioia la nuova stagione, ricca di messi mature, di vita e d’amore. Napoli, 20 giugno 2015 DIE NORDSEE Dal carapace d’una tortuga, una lira vortici d’acqua fa sognare, il nudo di Venere i capelli sciolti, circonfusi dal vento, le labbra segnate dai baci del dio del mare, plasmati i seni gonfi dall’eros abbacinati gli occhi dai sensi la mente libera nel Valhalla. Napoli, 23 giugno 2015 RITORNO L’elica vorticosa nel frastuono dei motori mi allontana dall’isola, tutto è così etereo tutto sfugge alla vista, come la vita sfugge dalle mani quando non ha il sorriso, ma tu esisti, tu mi dai l’amore, e la gioia di rivederti è più forte d’un momento di malinconia. Da Capri per Napoli, 27 giugno 2015 PESCATORI A CETARA Si dibattono le alici nelle reti della cianciola, Sacra Famiglia è il suo nome, poche ormai delle tante, ché le grandi tonnare ora sfidano il mare, Angela Madre Geneviève Sparviero Uno, questi i nomi, ma il cuore dei pescatori lo stesso, nel canto delle lampare, che illuminano il fondo del mare. Cetara, 28 giugno 2015 FONTANA DEI FIUMI Dal Gange al Nilo dal Danubio al Rio de la Plata, quattro continenti bevono l’Acqua Vergine davanti a Sant’Agnese in Agóne, così il Bernini e il Borromini dall’odio divisi gareggiano col travertino, così tu bianca colomba dello Spirito Santo allo scampanio di mezzogiorno metti pace nella piazza più bella di Roma. Roma, 2 luglio 2015 CALURA Il Vesuvio sonnecchia con la città e la calura invade i vicoli dalla Pignasecca alla Sanità, neanche i panni appesi ai balconi parlano nella lingua muta delle bandiere, neanche le madri urlano i nomi dei figli, Filomena Annarella Nannina Pasqualino Gennarino, tutto è sospeso, tutto è siesta, tutto è rinviato a un giorno di vento. Napoli, 4 luglio 2015 NIAGARA Il sorriso dell’arcobaleno carezza la tua vita inquieta, è un amore infinito in caduta libera sulla tua anima, è un mare di baci, che s’innalza fino al sole, con i vapori d’acqua, che turbinano nell’aria nel sordo fragore del tuono. Niagara Falls, 11 luglio 2015 JFK Sei morto il mio giorno, ti rivedo oggi nella luce della tua tomba, una pietra grigia di Cape Cod copre le tue martoriate spoglie e la fiamma brucia in eterno, tu eroe di guerra, tu eroe di pace, tu simbolo del sogno di un mondo più umano e libero. Sei morto il mio giorno e tremo ancora. Washington, Arlington, 14 luglio 2015 EAST RIVER I grattacieli erano lí a brillare per milioni di luci e il riverbero sul fiume accendeva il cielo nel blu della notte, le corde d’acciaio del ponte più antico e bello vibrando al battito accelerato del cuore degli innamorati al rumore delle sirene delle navi al volo a poppa dei gabbiani al passo veloce di chi vuole arrivare primo a Manhattan in una corsa contro il tempo, prima che si spengano le luci della ribalta. New York, 16 luglio 2015 MI SEI MANCATA Mi sei mancata moltissimo in quegli anni in cui non c’eri, ma in me cresceva ogni giorno di più la voluttà nell’abbraccio delle nostre anime che non avrebbero potuto non incontrarsi sui binari di un tram chiamato desiderio. Napoli, 24 luglio 2015 SIFNOS Il bianco accecante delle case e di tante chiese e chiesette coronate d’azzurro è fino al limitare della sera, poi in ogni contrada dell’isola un presepe di luci, e sotto il cielo cicladico fatto di stelle nitide e pure si chiacchiera fino a quando cessa il tintinnio dei bicchieri e il via vai silenzioso dei gatti. Apollonía, 4 agosto 2015 KAMÀRES Il silenzio della notte è assoluto, rotto ora dai canti dei galli e il tremolio delle luci il lampeggiare verde del faro rendono uno specchio l’acqua qui a Kamàres, come in una miriade di graziosi piccoli porti, che puoi incontrare nei mari dell’Ellade. Kamàres, 5 agosto 2015 CICLADI Il gentile volto delle tue isole, o Cicladi, è nella mitezza di chi da millenni qui vive, su una pietra aspra dagli ulivi addolcita, da arbusti fioriti e dalle barbe bianche dei Papas, che cantano il sepolcro di Cristo e i santi di bizantina memoria. Il vento, che spinge forte le pale di antichi mulini, da un’isola all’altra porta in sé lo spirito di tutti, spegne l’arsura e rende tutto più vivo, come la calce delle case e i colori violenti dei fiori. Kamàres, 11 agosto 2015 KÀSTRO DI SIFNOS Kàstro fin dentro al cuore, le scalette delle case, il labirinto del Minotauro, Il mare e la chiesetta in fondo a Poseidone, Paros incombente come Andíparos piú piccola, e Sérifos dietro il Capo, tutto è magia alle luci della sera. Kàstro, 11 agosto 2015 NERINO E il gatto nero mi saltó in braccio e io felice a fare le fusa, e il gatto nero mi leccó le dita e il collo e io felice di stringere a me un tesoro di micio. Artémonas, 12 agosto 2015 BERGEN I colori pastello di Bryggen, puro legno scandinavo, con quelli accesi del Fisketorget contrastano, e il fumo e il vapore per la cottura del pesce qui al porto fissarono nella mente i pittori anseatici, come il brulichio di Brueghel a mercanteggiare, a vociare in una variopinta kermesse, tra le brume d’inverno e i cieli tersi in qualche sprazzo d’estate. Bergen, 19 agosto 2015 MAR DI NORVEGIA All’imbocco dei fiordi ombre di Troll come spettri sul mare, e, al crepuscolo, bagliori rosso sangue miriadi d’isolotti di scogli senza nome incendiano, come le emozioni piú riposte, come il fuoco distruttore di Ålesund e Trondheim. Questo è mar di Norvegia, ora placido come un lago all’incedere della prua, ora nemico quando i venti impazzano, quando il freddo polare ti chiude all’interno del cuore. Tra Rørvik e Brønnøysund, 21 agosto 2015 CIRCOLO POLARE A Nord a Nord invocano le onde nel linguaggio del mare a Nord, fino a dove tutto vive nel candore del bianco, e con infinita dolcezza ci si lascia andare agli affetti profondi, alla pace che questi luoghi instillano nella mente e nel cuore, e si pregano i propri morti, i propri caduti nella dura sorte della vita, di dare sollievo quando si vive in trambusto con l’anima. Tra Nesna e Ørnes, 22 agosto 2015 PETTIROSSO Pettirosso mio, gonfi il petto e il mio mondo è il tuo. Saltella il mio cuore, batte batte col tuo, e le tue piume morbide come il profumo, la mia mano scaldano e batte batte il tuo cuoricino col mio. Marina di Praia, 29 agosto 2015 PARTENOPE Oggi cercavo il mare te nel mare, uggioso il tempo non importa, te nel mare, moderna Partenope, che col canto stordisci incanti, te nel mare in simbiosi con chi cerca oltre le onde, oltre i confini dell’essere. Capri, 19 settembre 2015 GOCCE DI MARE Conchiglie di mari lontani che risuonano il sibilo dell’onde, rametti di corallo bianco dei mari d’Africa, frammenti di gorgonie dagli scogli profondi, tutto porta te stella marina a guidare il firmamento del nostro divenire, noi uomini fatti di gocce di mare. Marina del Cantone, 27 settembre 2015

 

GIACOMO GARZYA, “I SASSI PARLANO”, NAPOLI 2016, IUPPITER EDIZIONI

Prefazione di Anna Esposito

Le poesie di questa tredicesima raccolta del poeta Giacomo Garzya sono state lette da me quasi “in itinere”; un muto appuntamento sul cellulare notificato da un segnalino, mi invitava a leggere la poesia del momento; come una cronaca quotidiana, ogni stimolo diventava spunto per una trasformazione in versi del suo sentire. E’ stato facile penetrare nell’altalena dei suoi versi, che mi hanno indotto a riflettere ed hanno fatto emergere in me emozioni riposte in qualche angolo del mio animo, e sono tali riflessioni, tali emozioni che vorrei descrivere. Il mio punto di partenza è stata la “parola”, essa può cambiare uno stato d’animo, può trasformare l’umore, alleggerire o appesantire un evento, influenzare il proprio quotidiano, la propria vita, la vita di un paese…ed altro ancora. A volte le parole possono suscitare reazioni che inducono chi ascolta ad usare altre parole, dando il via ad un dialogo, un alterco, un confronto. Le parole di un poeta, invece, quando penetrano nel profondo, inducono spesso al silenzio, quasi per non turbare il loro viaggio verso un luogo che è al di là della mente; esse hanno qualcosa di magico, possono trasportare l’essere umano in una dimensione di pura trascendenza, di religiosità, di connessione col divino che è in ciascuno di noi, dove non c’è più interferenza tra l’uomo e l’esistenza, ed il sentire personale diventa universale….. ” qui…alla Corricella c’è tanta luce, tanta quanta può avere l’umore benevolo di chi guarda oltre le nasse, oltre l’orizzonte, ché è oltre l’orizzonte che puoi incontrare la tua anima….” “…chi è il padre di Dio? E tu rispondi, il cerchio , la retta, il punto non hanno un inizio, non hanno una fine. ” ….queste parole inducono la mente a tacere, è nel silenzio che riecheggiano, è il silenzio che parla. Le parole di Giacomo sono campane tibetane… emanano cioè vibrazioni che hanno il potere di far affiorare grovigli di sensazioni…blocchi emotivi…profonde ferite mai dimenticate… Qui l’emozione diventa parola! “Le onde impazzite, racconta, del mare, quando esaltano e lacerano insieme l’anima, nel ricordo delle tempeste in ciascuno di noi, ….” “Il delirio del vuoto, l’angoscia, come quando ci si perde per strada, nel freddo gelo d’una metropoli e il cuore alla ricerca d’un segno impazza, d’un viso nella moltitudine,…” Le parole di Giacomo rivelano la forza del suo sentire…..ovunque ho trovato la qualità dell’amore, espresso in tutte le sue forme, come energia prorompente che straripa dai suoi versi, …l’emozione qui è incontenibile come uno tsunami, travolge il lettore, lo conquista, qui le parole sono forza universale, come la gravità , il magnetismo… ” Ti amo come l’acqua , il pane.” “Le carezze degli innamorati riscaldano i corpi nudi…..nell’amplesso ritmato su una rotaia, che corre verso un piacere infinito”. “Amo perdutamente riamato, libero, assolutamente libero, il mio amore…” “la vita è un dono per chi…ha tanta voglia di amare…” …..ovunque nelle poesie di Giacomo affiora un animo che non conosce finzioni o riserve, che non si nasconde, è un denudarsi, un abbandonarsi che assolve la sua natura umana e fa pensare alla qualità dell’ “innocenza”…., non si copre l’innocenza, non simula, non si difende…l’innocenza vuole un cuore nudo…una mente sgombra da ipocrisie. L’uomo “innocente” non indossa un salvagente, si espone al rischio di delusioni e sofferenze e vive senza requie il suo sentire. “….ma tu c’eri, aggrappato al sonno, divorato dal sogno, che minava la tua pace, presago dei giorni a venire, o piuttosto specchio del tuo passato, ingombrante, agitato, come le lenzuola smosse, ……” “…lí sui pontili a guardare la tempesta, che deve passare….” “…come pece il mare di notte, quando non vuoi ricordare il cuneo conficcato nella tua mente….”. Le parole di Giacomo, da lui sapientemente ordinate, danno luogo a versi di una bellezza che trascende le parole stesse ed il loro significato, esse danzano musicali e ritmiche come note, si possono ripetere all’infinito, come un mantra, perdendo forma per diventare solo armonia: ” la parola del cuore è nel suono dolce del suo battito…” ” Il sorriso improvviso del sole gli occhi distoglie dall’ombra oscura del mare…”, ” Luna velata, come donna pudica, celi discreta il dolce profumo d’un amore sbocciato…. ” Altrove le parole diventano angoscia …. “Era lunga l’attesa e le sue unghie erano assediate dai denti, corroso lo smalto, dilaniato l’indice……” ….si fanno taglienti come lame…. ” Più del cobra può uccidere l’aspide, una vipera che serbi in seno, la lingua biforcuta” …. fredde, metalliche… ” Era un robot ….rotelle su rotelle a stridere,…cigolava anche il cervello …un robot a sangue freddo senz’anima…”. A volte sembrano quadri, dipinti con poche pennellate, ma pure così precisi e dettagliati nei particolari…. “…..dove i colori delle reti delle case e dei gatti bisticciano tra loro a chi è piú forte e bello a chi è piú pastello, e tu regina, splendi col nome di Corricella, l’amore nel cuore sempre”. Nelle parole di un poeta anche la storia diventa poesia. E qui penso che Giacomo Garzya ha superato Giacomo Garzya. Di singolare bellezza infatti è la storia del popolo cubano, raccontata attraverso gli occhi del Marlin con un ritmo cadenzato che cattura la mente e lo spirito. Ed è proprio il ritmo che Giacomo imprime al suo raccontare l’elemento che lo rende così attraente. E’ un poemetto talmente ricco di emotività e di messaggi che non è sufficiente una sola lettura per comprenderne la portata…si ha l’esigenza di leggerlo più volte e più si legge e più si scoprono angoli di infinita bellezza…ed ogni volta che si chiude la lettura non si chiudono le immagini e le emozioni che lasciano turbati. Trovo superlativo il contrasto tra l’immagine iniziale dove le forze della natura sono in totale dinamica armonia: “E il Marlin era lì ad ascoltare il brusìo sommesso del mare, tutto baciava le onde, il sole il vento, dell’oceano infinito……” ….e le immagini successive dove la stessa natura è pregna di orrore per le stragi che hanno sconvolto il popolo di Cuba. ” E il Marlin vide il cielo irrorarsi di sangue per le stragi degli indios….e vide gli avvoltoi cibarsi delle carogne dei vinti…..”. Scorrendo i versi si prova l’emozione di essere lì sul mare a guardare con gli occhi del Marlin la sequenza degli eventi, tragici atti di una storia, tra le tante, giustificata e dimenticata. Le parole qui si fanno ” pietre” che gravano su una umanità che guarda impotente, ma non per questo meno colpevole, alle stragi del passato ma anche a quelle dei nostri giorni . A volte dalle parole di Giacomo appare il suo “ego”, il suo “sentirsi poeta”, una sorta di “orgoglio intellettuale” fa capolino tra le righe… “…tu puoi scoprire un luogo….da te dipende…tanta è l’abitudine a non vederlo per niente. Ma quando sei un poeta a te nulla sfugge….” “……..ma qual è il tempo di un poeta?….quello di vedere ciò che tanti non vedono….” ….e qui è molto facile che un lettore disattento diventi, a sua volta, vittima del proprio ego, dell’orgoglio di un uguale sentire, senza avere le parole di un poeta. Se invece questi versi si leggono con animo ricettivo, sgombro da preconcetti, affiora la definizione che Giacomo stesso dà alla parola “poeta”….non è solo colui che va verso gli altri con l’alchimia delle parole…è poeta anche chi non ha questo dono ma del poeta ha l’animo…. “un animo osservatore fedele della umana natura…” “…ma quando sei un poeta a te nulla sfugge….e quel luogo avrà una voce, un profumo, un alito di vento che lo renderà unico, riconoscibile solo a te che lo ami…” Questi muti messaggi che arrivano da un luogo, da una persona, da uno stare, si “sentono”….”si riconoscono”….non occorrono parole per percepire quel profumo o quell’alito di vento….anche una sola parola potrebbe essere di troppo. Ma allora quale ruolo hanno le parole di un poeta? Esse scuotono l’anima di chi le comprende, nella loro semplice armonia rendono consapevole del proprio sentire colui che le legge, rendono “visibile” al lettore l’amore verso un popolo, o verso un luogo, o verso la propria donna, l’amore paterno, l’amore profano, la gratitudine, la sofferenza, il dolore… Ma non tutti “comprendono” le parole di un poeta, a volte esse non vanno oltre l’orecchio, così come la definizione di luce non aiuta un cieco dalla nascita a comprendere cosa sia la luce: costui potrebbe ripeterne la definizione in modo preciso, puntuale,…. ma non ne avrebbe conoscenza, mentre colui che la percepisce semplicemente sa … oltre le parole! Allo stesso modo, la superficialità di chi non “sente” , non “riconosce”, l’incapacità di guardarsi dentro, in generale lo stare alla periferia del proprio essere, fanno da ombrello alle parole, anche a quelle di un poeta. Chi, allora, si lascia invadere dalle sue parole? Colui che ha l’animo del poeta, anche se non ne ha le “parole”, che vibrano e fanno affiorare ciò che già ha dentro di sé….che già esiste in qualche parte riposta del suo essere… , ma che non sa comunicare con la forza della poesia. Questo è il grande dono che Giacomo Garzya ha e che fa a tutti noi quando usa l’alchimia delle parole! Il senso di gratitudine che ora esprimo a Giacomo, sono certa, è comune a tutti coloro che lo conoscono e che lo amano.

 

ROSA DEL SAHARA

In un deserto senza tempo nel Marocco mio amico, di gesso cristallino i tuoi petali abbracciano i cuori più puri, come le rose di maggio carnose e rosse, incendio e fuoco dentro di noi.

Napoli, 26 ottobre 2015

A UN ANNO

Luna velata, come donna pudica, celi discreta il dolce profumo d’un amore sbocciato alla luce delle lampade, come te d’argento soffuse, d’una strada che ricorderà il primo bacio, come il primo ciclamino d’autunno.

Napoli, 26 ottobre 2015

L’ESTASI Il tuo deliquio si riversa sui cuscini, tu esanime nell’ abbandono il viso dolcissimo le labbra socchiuse nel gemito per un piacere infinito, gli occhi socchiusi ubriachi sull’amore tuo.

Napoli, 7 novembre 2015

NOI

Le carezze dolci degli innamorati, come le trasparenze dell’alabastro sull’alcova, riscaldano i corpi nudi liberi da ogni pudore nel vincolo del loro amore nell’amplesso ritmato su una rotaia, che corre verso un piacere infinito.

Napoli, 13 novembre 2015

LE LABBRA Mi sono confuso nella tua ombra, gioco con i tuoi capelli negli angoli più nascosti del giorno aspettando la sera inerme tra le tue braccia, le labbra sulle labbra. Napoli, 20 novembre 2015 TU, AMORE Bellissima la tua voce, come l’onda delle arpe al tempo di Saul, Davide e Salomone. Bellissima la fiamma che brucia nel tuo cuore col mio, in un amore infinito. Napoli 25 novembre 2015 E LE STELLE VIVONO Ogni stella è una parola d’amore per te, ogni stella è un bacio sul tuo collo dolce come il miele e il brivido è in me quando ti guardo e tu mi sorridi al chiarore del firmamento. Ogni stella è testimone del nostro amore e questa fiamma arde nell’universo e è gioia per gli angeli. Ogni stella vive della tua luce, amore. Napoli, 27 novembre 2015 NAPOLI È TUA Le luci del golfo sono il tuo sorriso, Napoli è tua dai vicoli colorati di giorno ai vicoli innamorati di notte e le tue mani tremano sul suo viso in una carezza che socchiude a un bacio a un abbraccio che renda calda la notte. Napoli è tua è tua sempre in ogni stagione e le luci del golfo sono il tuo sorriso. Napoli, 28 novembre 2015 STRETTI STRETTI La mano intrecciata alla mano stretti stretti abbracciati al mare d’argento, che coglie l’amore infinito in noi, e romba mugghia urla la felicità nostra, noi come dolci amorini liberi di amarci nel vento. Marina del Cantone, 29 novembre 2015 AI CONFINI DEL SOLE E con Afrodite si congiunse Vulcano nelle tenebre della terra e le scintille fusero il rame e lo stagno in bronzo e l’Etna e lo Stromboli eruttarono fino a Thirà, ma la dea pensava solo al suo amore, a un amore alla luce del giorno, su un carro lanciato da Pégaso ai limiti del mondo, ai confini del sole. Napoli, 3 dicembre 2015 YOAV LEVANON Di fragilissimo cristallo le tue dita la tua anima il tuo viso leggeri volteggiano sui tasti e suoni divini rendono i cuori vicini ai corpi celesti. Tutto il bello da te bambino, pervenuto qui a significare l’umana grandezza, che vince l’odio di chi uccide l’idea di Dio nel nome di Dio. Napoli, 5 dicembre 2015 (dal concerto tenuto al Teatro San Carlo, il 4 dicembre 2015) NINNO E la fata turchina colmó di doni il piccolo embrione e questi era buono come Pinocchio e ascoltava ninne nanne docile docile abbatuffolato nel grembo. E la fata turchina gioiva al respiro del ninno e ardeva al pensiero d’un piccolo bacio. Capri, 8 dicembre 2015 LA TUA LUCE Sei una luce nella notte e lo splendore dei tuoi occhi oscura la luna come in un’eclissi, che nasconde i lati brutti del mondo. La luce dei tuoi occhi innamorati splende sempre e dà senso alla vita, alla mia vita, un tempo ricoperta di secca legna, ora di muschio, di vellutato muschio lucente. Napoli, 9 dicembre 2015 TRASFIGURA L’AMORE Tu vedi la stanchezza, gli anni allo specchio, ma, quando sei in amore gli occhi negli occhi le labbra sulle labbra, tu sei un sogno, che offusca le rughe del tuo soffrire le pene del vivere, allora tutto proprio tutto leggi sul viso, l’amore che ricevi l’amore che dai, così che quando mi guardi e io ti guardo le tue rughe sono nel nulla. Napoli, 19 dicembre 2015 CORRICELLA Scendevo gli scalini irti inebriato del tuo profumo di donna amorosa, felice e bella, giù fino alla marina, dove i colori delle reti delle case e dei gatti bisticciano tra loro a chi è piú forte e bello a chi è piú pastello, e tu regina, splendi col nome di Corricella, l’amore nel cuore sempre. Procida, 23 dicembre 2015 MARLIN A Jeff Matthews E il Marlin era lì a ascoltare il brusio sommesso del mare, tutto baciava le onde, il sole il vento dell’Oceano grande infinito, del golfo dei Maya, del Mar dei Caraibi. E il Marlin vide ondeggiare le palme reali e tutte le palme, per la forza degli uragani per le forze del male e vide i pellicani nascondersi nel loro becco, non più a tuffarsi nel mare. E il Marlin vide il cielo irrorarsi di sangue per le stragi degli indios e per l’eroica morte di Hatuey e vide gli avvoltoi cibarsi delle carogne dei vinti, gli avvoltoi sempre in agguato e come aquile piombare dal cielo, a centinaia in tutta l’isola grande di Cuba. E il Marlin vide correre in cerca d’oro e argento pirati e corsari e vide L’Avana invasa dal fuoco delle nemiche bombarde e gli accecanti bagliori dei cannoni sui vascelli imperiosi. E il Marlin sentì delle fruste lo schiocco sulla pelle dei neri schiavi, dall’Africa giunti a forza a lavorare canna e tabacco e sentì e vide i neri cantare e ballare nel ricordo delle radici lontane, ammantati di tanti colori quanti erano i villaggi dell’Africa. E il Marlin vide spezzarsi le catene dei neri e gli spagnoli imprecare contro la poesia e il coraggio di José Martì e vide la lotta per la libertà, che fu lunga. E il Marlin vide il lusso degli Hotel e delle case e donne scollate sulle sfavillanti cadillac dei gringos, in corsa verso il piacere dei sensi e la voglia di annegare nel rum più pregiato del Mar delle Antille. E il Marlin vide la povera gente vivere di semplici cose, ogni giorno, ogni minuto al ritmo di son, rumba e salsa e vide il grande divario tra poveri e ricchi e non solo all’Avana, dove le case di chi ha nulla, è uno sproposito dirle case. E il Marlin vide cadere il corrotto Batista per mano del Che e di Castro e la Revoluciòn fu il nuovo per Cuba e vide i cubani inneggiare a Fidel e lesse nei volti creoli e mulatti la gioia di ricevere e dare, d’amare la vita e sorridere alla cattiva sorte della povertà e della fame. E il Marlin vide le scuole piene di bimbi a studiare, ché l’ignoranza non porta a nulla. E il Marlin ammirò il coraggio del popolo e la sua storia e bevve la canchanchara dei guerriglieri asserragliati sulle sierre dell’isola e si immerse di nuovo nel mare. Questa poesia lunga, abbozzata a Procida il 24 dicembre 2015, prende forma a Trinidad de Cuba tra il 29 e il 30 dicembre e viene completata a Cayo Santa Maria il 3 gennaio 2016. THE MARLIN to Jeff Matthews And the Marlin was there to hear the hum in the deep, everything kissed the waves, the sun the wind the great endless ocean of the gulf of the Mayans, of the great Caribbean. And the Marlin saw the royal palms sway and all the palms before hurricane forces and forces of evil and saw the pelicans withdraw into their beaks nevermore to dive in the sea. And the Marlin saw the sky sprinkled with blood of the slaughter of indios and Hatuey’s heroic death saw the vultures rip the rotting flesh of the conquered the vultures always in hiding to swoop like eagles from heaven by the hundreds in the great island of Cuba. And the Marlin saw pirates and corsairs hunt silver and gold saw Havana burn in enemy fires and blinding flashes of guns from arrogant fleets. And the Marlin heard the crack of whips on the skin of black slaves forced from Africa to work cane and tobacco and heard and saw them sing and dance to recall their distant roots, cloaked in the many colors of their many homes in Africa. And the Marlin saw the blacks break their chains and the Spanish curse the poetry and courage of José Martì and watched the long fight for freedom. And the Marlin saw the grand hotels and houses and brazen women in glistening gringo cadillacs, rush to pleasures of the senses to drown themselves in Antilles rum. And the Marlin saw the poor who live from simple things every day and minute to rhythms of rhumba, son and salsa, saw the great divide between rich and poor not just in Havana where the homes of those with nothing are not worthy of the name. And the Marlin saw corrupt Batista fall to Che and Castro saw new Cuba with her Revoluciòn saw the Cubans praise Fidel read in Creole and Mulatto faces the joy of giving and receiving, of love of life and smiling at the olden lot of poverty and of hunger. And the Marlin saw children fill the schools to study, for ignorance leads to nothing. And the Marlin marveled at the courage of the people and their history and drank the canchánchara of warriors at the barricades in the high sierras of the island and dropped back down into the sea. This long poem was drafted on Procida on 24 December 2015 and took further form in Trinidad de Cuba on 29 and 30 December; it was completed in Cayo Santa Maria on 3 Januuary 2016. MARLIN Y el Marlin estaba allí para escuchar el tenue rumor del mar, todo besaba las olas el sol el viento del océano grande infinito, del Golfo de los Mayas, del Mar del Caribe. Y el Marlin vio ondear las palmas reales y todas las palmas, por la fuerza de los huracanes por las fuerzas del mal. y vio a los pelícanos esconderse en su pico, para nunca mas sumergirse en el mar. Y el Marlin vio el cielo salpicarse de sangre por la matanzas de indios y por la heroica muerte de Hatuey y vio los buitres alimentarse de la carroña de los vencidos. Los buitres siempre al acecho y como águilas se desploman del cielo, centenares, en toda la gran isla de Cuba. Y el Marlin vio correr en busca de oro y plata piratas y corsarios y vio La Habana invadida por el fuego del bombardeo enemigo y por el cegador resplandor de los cañones de las imperiosas flotas. Y el Marlin sintió el chasquido de los látigos sobre la piel de los negros esclavos, a la fuerza separados de África, para trabajar en la caña y el tabaco y sintió y vio a los negros cantar y bailar en el recuerdo de las lejanas razas, cubiertos de tantos colores como aldeas habían en África. Y el Marlin vio quebrarse las cadenas de los negros y los españoles imprecar en contra de la poesía y el coraje de Jose Martí y vio la lucha por la libertad que fue larga. Y el Marlin vio el lujo de hoteles y casas y mujeres escotadas sobre los centellantes Cadillacs de los gringos, acelerados sobre el placer de los sentidos y el deseo de ahogarse en el ron más presiado del Mar de las Antillas. Y el Marlin vio la pobre gente vivir de simples cosas, cada día, cada minuto, al ritmo del son, de la rumba y la salsa y vio la gran diferencia entre ricos y pobres y no solo en La Habana, donde la casa de quien no tiene nada, es un desatino decirle casa. Y el Marlin vio caer al corrupto Batista por mano del Che y de Castro y vio una nueva Cuba con su Revolución y vio a las cubanos aclamar a Fidel y leyó en sus rostros criollos y mulatos la gloria de dar y recibir, de amar la vida y sonreirle a la mala suerte de la pobreza y del hambre. Y el Marlin vio las escuelas llenas de niños estudiantes, porque la ignorancia no aporta nada. Y el Marlin admiró el coraje del pueblo y su historia y bebió la canchanchara de los guerrilleros atrincherados en las Sierras de la Isla. Y se sumergió de nuevo en el mar. Questo poemetto, abbozzato a Procida il 24 dicembre 2015, prende forma a Trinidad de Cuba tra il 29 e il 30 dicembre e viene completato a Cayo Santa Maria il 3 gennaio 2016. (trad. di Andriz Lopez Garcia) TU SEI Tu sei qualcosa di vero legato al sapore del mare, tu sei la luce quando il sole si infrange nel mare, tu sei il sorriso quando il plenilunio è pieno di te. Napoli, 21 gennaio 2016 INCA A Nico Donno grande viaggiatore e grande amico Nacque dal Titicaca lucente, che un giorno io vidi profondo fino a Taquile, la storia degli Inca figli del Sole, quando emerse dalle gelide acque, della terra le più alte, Manco Capac, figlio del padre di tutti gli dei, il primo inca il re dallo scettro d’oro, il re che nell’ombelico del mondo, Cusco fondò, la città forte degli Inca. Tre secoli l’impero durò e con Pachacutec fu grande e col figlio Tùpac delle Americhe, il più vasto e potente, fin quando morì Huayna Capac conquistatore di terre e fu guerra tra i figli e fu la debolezza e la fine. Tre secoli la Corona di Spagna regnò, dal giorno in cui Atahualpa re del Nord e di tutte le terre fu arso sul rogo e le sue ceneri portarono sgomento nel popolo e grande rovina. Fu allora che i condor dal canyon del Colca, che un giorno io vidi profondo, la libertà sulle Ande cercarono, ché il giogo spagnolo fece scorrere sangue, tanto sangue che straripò l’Urubamba fino a Ollantaytambo fino a Machupicchu la città del culto del sole, che tutto intorno domina le sacre montagne degli Inca. Fu allora che Virachoca padre di tutti gli dei padre e madre di Mama Quilla, la luna e di Inti, il sole splendente, pianse abbracciato stretto stretto all’arcobaleno e alla folgore. Fu allora che le forze dei fiumi dei laghi degli alberi delle sacre montagne si scatenarono in un urlo nel vento. Fu allora che il Misti e tutti i vulcani eruttarono rabbia e cenere e i sacerdoti sacrificarono i bimbi sulle alte montagne, cime del mondo del ghiaccio perenne. Fu allora che Juanita si svegliò dal suo torpore di morte e dall’Ampato maledì Pizarro e le bandiere di Spagna, lei sacrificata agli dei, lei vergine del sole, lei inca. Napoli, 23-24 gennaio 2016, da ricordi del mio viaggio in Perù nel luglio 2013 INCA To Nico Donno a grand traveller and great friend Here in the shining lake of Titicaca, where once I deeply saw to distant Taquile, begins the tale of Inca, these children of the sun, when Manco Cápac, son of the father of all gods, the first Inca king of the golden scepter stepped from icy waters, the highest on earth, the king who founded at the center of the world Cusco, the Inca stronghold. Three-hundred years the empire lasted grew great with Pachacutec and Tùpac, his son, grew all-mighty, vast in the Americas until the death of Huayna Capac conqueror of lands, then the children warred grew weak and perished. Three-hundred years the crown of Spain ruled from the day when Atahualpa king of the north and all lands burned at the stake, his ashes brought dismay and ruin to the people. Then the condors of Colca canyon that once I deeply saw in distant flight, sought freedom in the Andes and the Spanish yoke ran red, blood to overflow the Urubamba all the way to Ollantaytambo and Machupicchu the city of the sun cult where roundabout ruled the sacred peaks of Inca. Then Virachocha father of all gods father and mother of Mama Quilla, the moon, of Inti, the splendid sun, wept in tight embrace of rainbow and of lightning. Then from the forces of the rivers the lakes the trees the sacred heights went forth a scream in the wind. Then Misti and all the mounts of fire vented rage and ash and holy men gave children to ritual death at altars on the peaks of this world of timeless ice. Then from Juanita awakened from lifeless sleep from high Ampato to curse Pizarro and the flags of Spain from her – given to die for gods from her – the virgin of the sun, from her– Inca. Naples, 23-24 January 2016, memories of my trip to Peru in July 2016 (trad. di Jeff Matthews) L’ANGIÒLA L’angiòla era lì sulla barca, presa all’amo, non più libera, metafora della libertà, che la sensibilità scuote di chi la perde, la coscienza di chi la toglie. Eppure la vita corre comunque, liberi o servi delle passioni, che si appartenga alla terra o al mare, al finito o all’infinito. Tu, in verità, mia angiòla sei libera anche da morta e io che vivo amo i flussi e riflussi del mare, anche quando è come un lago senza anima e vita, amo perdutamente riamato, libero, assolutamente libero, il mio amore, come angelo sulla terra, sempre presente, mio per sempre. Termini, 30 gennaio 2016 CASHMERE Quella sciarpa preziosa sul viso fino agli occhi, che irradiano dolcezza infinita e amore, è poesia, come quando le stelle Tuareg dall’universo sciamano nel dolce sorriso del cuore e coprono il tuo collo di baci imbevuti di me ape, che sorride col miele, oro argento e amore. Napoli, 7 febbraio 2016 IRLANDA Il sole frusciava fra l’erba e la pioviggine fresca di gioventù dalle Aran, figlie di Oceano, riempiva il cuore d’Irlanda di verde speranza, l’isola dove era permesso sognare fantastiche storie di dei, re, uomini e maghi, di torri, castelli tetragoni ai confini del mondo. Baluardi di celti, angli e normanni, sulle cui rocce cantava il suono del mare, cantava il vento possente dell’Ovest. Irlanda dei miei ricordi, quando sei felice, sconfinato di baci è il mare l’universo delle stelle regine l’amore quando ci si ama in un solo corpo in una sola anima, come libellule, quando insieme si specchiano nell’acqua quando libere s’intrecciano nel volo nel volo libero della vita. Irlanda dei miei ricordi, quando sei felice, tempestato di baci è il tuo collo come quello dei cigni immortali vere divinità dei laghi, delle tue campagne verdi, dove il mare batte violento e le arpe incantano le rocce del Connemara dell’Ovest. Irlanda dei miei ricordi, il sole frusciava fra l’erba e fulvi scoiattoli e cervi videro i figli di Lir, il re buono ma dalla sposa malvagia, tramutarsi da bianchi cigni, di nuovo, in fragili bimbi e li videro appena cristiani morire. E così la croce celtica divenne cristiana e i monasteri nacquero come la chiesa di Patrizio a Armagh e iniziò la storia d’Irlanda, dopo nebbie e leggende, che avevano reso questa terra lontana ai confini del mondo fertile sogno d’eroi e veggenti, come Finn McCool guerriero tremendo, Cùchulainn, vincitore del toro di Cooley, e morto per gli stregoni di Maeve regina di eserciti. Irlanda dei miei ricordi, mai romana, ma da pagana cristiana, terra di conquista delle genti di Borea, quando patisti il ferro e il fuoco di Enrico Ottavo Tudor di Elisabetta la vergine e di Cromwell spietato, tutto si tramutò in rovina, anche la lingua dei Celti e il culto della Chiesa di Roma. Irlanda dei miei ricordi, si alzarono nebbie e tempeste dalle ripide scogliere del Burren, che io vidi magnifiche fino a Moher, e le speranze spensero d’un’isola libera dal giogo britannico, libera di cantare e danzare nel segno dei padri, il tallone inglese sempre sul petto. Tante volte, invano, i cattolici si sollevarono contro le inique leggi penali, privati di tutti i diritti, i preti a celebrare le messe nelle tenebre, come i primi cristiani, i contadini a patire il freddo e la fame, deportati nelle lande più povere e selvagge dell’isola e in tanti scapparono l’umiliazione e la morte su navi malconce e luride, come avviene oggi nel Mare Nostro, sepolcro d’uomini dell’Asia e dell’Africa. Solo Daniel O’Connell perorò con successo la causa dei poveri, parlando alle folle di libertà e di pace, in difesa dei calpestati diritti. Venne, poi, la carestia più nera, che falciò i campi e fece strage in ogni angolo, in ogni tugurio dell’isola. Milioni morirono e altrettanti costretti furono a lasciare l’ingrata terra dei padri e a solcare l’Oceano, in cerca di pane e salvezza. Tacquero allora le cornamuse, le arpe, i flauti e le antiche ballate gaeliche furono solo un ricordo, tanta l’atmosfera cupa, senza speranza. Irlanda dei miei ricordi, il vento della storia è grande e tornò il canto nostalgico di William Butler Yeats a Sligo Bay e nei fiordi profondi di Lough Gill e la regina guerriera Medb divenne Maeve nella sua poesia, e Maud Gonne fervente patriota e grande amore per una vita, divenne Cathleen nì Houlihan la vecchia donna d’Irlanda, che i giovani a morire incitava per la loro terra, lei sconvolta per le quattro province cadute in mano britannica. La lotta per l’autonomia e la libertà fu lunga e la Pasqua di sangue coprì Dublino di morti, ma i capi della fallita rivolta passati per le armi, trucemente, senza pietà, agli inglesi maggiore odio procurarono da parte di tanti. E la guerra per l’indipendenza alla fine fu vinta e allo Stato libero d’Irlanda portò, ma dell’Ulster sei contee in mano inglese restarono e fu subito guerra fratricida nel Sud, in favore o contro il Trattato e Michael Collins leggendario eroe e capo, in un vile agguato fu ucciso, nella contea di Cork. Dopo trent’anni e per venticinque lunghi anni, scorse di nuovo sangue, nell’Irlanda del Nord, ma ora a Belfast e Derry, che io vidi in un giorno di sole, camminare si può in pace, e in tutta l’isola si canta e si danza al suono dei melodion e delle uillean pipes, le Bloody Sundays solo un tragico amaro ricordo. Irlanda dei miei ricordi, il vento della storia è grande. Napoli, 11-20 febbraio 2016 IRELAND Sunlight rustled in the grass, a light rain fresh with youth from the isles of Aran, children of Oceanus, filled the heart of Eire with green hope this island where you dream of wonder, gods, kings, men and wizards, tales of towers and stout castles at the ends of the world. Stronghold of Celts, Angles, and Normans, where the rocks sing the sounds of the sea and the strong wind from the west. Eire of my memories when you are happy boundless with kisses and sea a universe of queenly stars when you love as a single body and single soul like dragonflies mirrored in water freely entwined in flight the free flight of light. Eire of my memories when you are happy inflamed by kisses your neck like that of deathless swans true lake gods of your green fields where the wind batters and the harps enchant the rocks of Connemara in the west. Eire of my memories sunlight rustles the grass where tawny squirrels and deer saw the children of good king Lir, changed to white swans by the wicked queen and then turn back to gentle children and die in Christian faith. Thus the Celtic cross turned Christian and monasteries grew like Patrick’s church at Armagh to start the tale of Ireland after fog and legend had set this land away at the far rim of the world, fertile dreams of seers and heroes like Finn McCool and great warrior Cùchulainn, who vanquished the Bull of Cooley and died at the hands of the wizards of Maeve, queen of armies. Eire of my memories never Roman but Christian pagans land of conquest of the people of Borea, when the iron and fire of Henry VIII of Tudor of Elizabeth the virgin queen of pitiless Cromwell joined to smash it to ruin, even the Celtic language and the faith of the church of Rome. Ireland of my memories fog and storm rose from the steep cliffs of Burren where I saw their splendor all the way to Moher, and the hopes of a free island died, free from the British yoke, free to sing and dance as their fathers had done always the British heel upon their breast, oft in vain Catholics rose against the baneful laws, bereft of rights, sacred mass in deepest night like the early Christians, peasants starved and cold banished to the poorest savage bits of land many fled the shame and death on filthy battered ships as today on Mare Nostrum, tomb of Africans and Asians. Only Daniel O’Connell plead and won for the poor and spoke of freedom and of peace in defense of rights downtrodden. Then the darkest famine lay waste the fields and ravaged every corner every hovel of the isle. Millions died and as many fled their fathers’ ungrateful land to cross the ocean to seek bread, salvation. Then the pipes, the harps and flutes grew silent the ancient Gaelic tales were just a memory as dark as hopeless air Ireland of my memories the winds of history are strong the nostalgic songs of yesterday returned with William Butler Yeats at Sligo Bay and in deep fjords of Lough Gill, the warrior queen Medb turned to Maeve in his verses and Maud Gonne fervent rebel, grand love of his life was Cathleen nì Houlihan Poor Old Woman of Ireland calling the young to die for the land, for their four provinces in the hands of the British. Independence and freedom the fight was long the Easter Rising swept Dublin with the blood of the dead those who led the revolt, slaughtered without mercy, led yet more to hate the English. But the war for freedom was won and led to the Irish Free State, yet six counties of Ulster remained with the English and set in the south brother against brother, for or against the Treaty, and Michael Collins chief and hero of legend foully shot down in the county of Cork. After 30 years blood flowed again for 25 years in the north, but now you walk in peace in Belfast and Derry that I saw on a sunlit day, there is song in the island there is dance to the sounds of the melodion and uilleann pipes, the Sundays of blood are a tragic and bitter memory. Ireland of my memories, the winds of history are strong. Naples, 11-20 February, 2016 (trad. di Jeff Matthews) I SASSI PARLANO I sassi parlano delle mareggiate, sono scomposti, ma poi si stringono insieme per la forza del mare e hanno bisogno del calore del sole per sorridere ai colori del cielo e fanno pensare ai tuoi occhi smarriti quando non leggi nei miei la gioia del giorno, e allora, come i sassi, ci si stringe forte forte per quel calore, per quei colori, per quella resistenza all’onda avversa, che riportano la gioia di amare e vivere insieme una vita. Anche i sassi hanno un’anima. Marina del Cantone, 20 febbraio 2016 TEMPESTE Di Alessandro Scarlatti una sinfonia non scritta ho ascoltato, in una cappella sul ciglio del mare, fatto di aghi bianchi e trasparenti cristalli. Le onde impazzite, racconta, del mare, quando esaltano e lacerano insieme l’anima, nel ricordo delle tempeste in ciascuno di noi, eterno movimento dello spirito, ora flauto ora oboe ora violoncello ora dolore ora gioia, nel teatro barocco e mistico della nostra vita. Marina del Cantone, 28 febbraio 2016 UN SOGNO La luce d’un lume sfiorava le palpebre, tutto era incerto l’ora, il giorno o la notte, ma tu c’eri, aggrappato al sonno, divorato dal sogno, che minava la tua pace, presago dei giorni a venire, o piuttosto specchio del tuo passato, ingombrante, agitato, come le lenzuola smosse, prive del caldo torpore d’un seno materno o d’un’amante innamorata e gravida del tuo dolore. La luce d’un lume sfiorava le palpebre, ma un sussulto vibrava le ciglia, tutto era ora reale, il sogno svanito nel nulla. Napoli, 1 marzo 2016 IL SORRISO DEL SOLE Il sorriso improvviso del sole gli occhi distoglie dall’ombra oscura del mare, gli scogli tramutati in pinnacoli gotici, le barche vessilli di pietra, lí sui pontili a guardare la tempesta, che deve passare. Ora, di gioia squillano le campane e il sorriso del sole è primavera alle porte, tanto vicina, come di chi si ama, le labbra socchiuse ai baci, dolci, come il cinguettio dei passeri alle prime luci dell’aurora, l’alfa della nostra vita. Capri, 5 marzo 2016 DIO PADRE Sai, viandante, chi è il padre di Dio? E tu rispondi, il cerchio, la retta, il punto non hanno un inizio non hanno una fine. Napoli, 11-12 marzo 2016 FANNY, 16 MARZO Il delirio del vuoto, l’angoscia, come quando ci si perde per strada, nel freddo gelo d’una metropoli e il cuore alla ricerca d’un segno impazza, d’un viso nella moltitudine, d’un passo noto e caro in una stanza calda di casa, e si vorrebbe morire per quel vuoto, per quella perdita incolmabile per quello strapiombo nell’anima per quell’assenza di vita, di baci, nel silenzio dolce della sera. Procida, 13 marzo 2016 TU GIRASOLE Ti tratto dolcemente come un cuore delicato di girasole, sensibile al vento del mare al sole girevole di marzo alle campane delle isole più belle della terra d’Italia, tu dal sorriso splendido e dal soffio di vento sui capelli, per me e per sempre. Procida, 13 marzo 2016 DIAMANTI Cos’è una lirica se non un distico e un altro distico ancora, per un amore infinito, per un diamante non scalfibile dalla prepotenza, dall’odio, che scorre in ogni terra di quest’uomo corrotto dalla sete d’oro, di potere, di sangue, ma le reti dei pescatori, raccolte qui alla Corricella, l’amore sono per l’uomo impavido al male, per l’uomo che sogna, per il mare di Tiberiade, di Cafarnao, essenza ancestrale in tutti noi. Procida, 19 marzo 2016 TI AMO Ti amo come l’acqua, il pane. Procida, 19 marzo 2016 PANTHÉON Percorrevo con te rue Soufflot, lo stesso passo lo stesso pensiero lo stesso sorriso, arrivare ai giardini del Lussemburgo per godere la pace, la vita di questa Lutezia cosmopolita e viva di luce. Tu sei con me anche ora, dopo dieci lunghi anni, nello stesso bistrot belga, come mia madre come tua nonna, l’anima in pace, in un momento di guerra di terribile insensata guerra. Paris, le 24 mars 2016 TRAMONTO AL LUXEMBOURG Scherzavi con le nuvole rosa e rubine della sera, domani è un bel giorno, dicevi, e eri felice del tuo Don Quijote, l’hidalgo napoletano qui a Parigi, per scoprire con lui un mondo fantastico di pupi siciliani, di fantoche, poupée e guinol, marionette universali, gioia di grandi e bambini, di mulini a vento, qui a Montmartre, giganti visioni dalle braccia rotanti, tu che volevi un mondo giocoso irreale, buono. Paris, le 25 mars 2016 IL DIRITTO DELLE GENTI Il tuo piccolo nero moleskine lo stesso di van Gogh, Picasso, Hemingway, lí sul tuo tavolo a Jussieu parlava da solo di te, i tuoi appunti minuti sul diritto delle genti, non chiuso nelle pandette ammuffite negli studi legali, aperto, invece, al dolore ingiusto, al desiderio di uguaglianza di fratellanza di libertà e di pace. La pace tra i popoli, utopia, dicevi, eppure lottavi per questo, l’ufficio dell’uomo, quello di amare, di saper amare per vivere, almeno un giorno, felice di aver porto la mano. Paris, le 26 mars 2016 PLACE DES VOSGES La parola del cuore è nel suono dolce del suo battito, il nostro all’unisono canta l’amore indissolubile felice, come i violini di Place des Vosges, il giardino degli innamorati, abbracciati alle filiere di alberi, in un giorno di resurrezione d’amore eterno, nel vincolo dolce dei baci, che filtrano tra i rami spogli e danno luce a un luogo magico, magico come il nostro amore. Paris, le 27 mars 2016 INCONSCIO Dall’aurora al crepuscolo il giorno, poi le tenebre, ore di quiete di sogni sereni o mari increspati e lo vedi dal contorcimento o meno delle coltri, la tua vita riflessa nel tormento o nella pace del sonno, e ció che eri, sei stato, torna per una nuova aurora, tu seme, che germogli fiori, messi, secondo cicli già scritti, la grandine si spera solo un ricordo, ora sorriso e amore. Napoli, 1 aprile 2016 IL TEMPO DEL SOGNO Le emozioni libera col respiro del mare e sul dorso d’un delfino immergiti nel Tempo del sogno, nel sacro respiro della vita. Napoli, 4 aprile 2016 STORNI IN FESTA La vita, a volte, è una voragine buia se la vedi con l’occhio della testa, una burrasca la povera testa, ma se la vita vedi col cuore è un cielo di storni in festa. Napoli, 8 aprile 2016 SERPENTI Più del cobra può uccidere l’aspide, una vipera che serbi in seno, la lingua biforcuta. Il cobra lo vedi invece intorno al collo di Shiva, lo vedi. Praiano, 16 aprile 2016 TEMPUS FUGIT Un raggio di sole le due torri a vista la storia un senso di pace. Di fronte Punta Licosa il golfo guarda, un lago striato per i riflessi d’argento, tanti raggi d’una bici, che corre verso una meta incognita, per catturare in un attimo il bello della vita. Praiano, 17 aprile 2016 IL GALLO E LA CAMPANA “Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte”, è il gallo di Pietro nel palazzo di Caifa, quello di tanti di noi ai quattro canti del mondo, qui a Capri il rintocco della campana è la voce del gallo. Capri, 19 aprile 2016 ROBOT Era un robot saliva le scale irte d’una torre normanna lí su una luna esangue, ingranaggi su ingranaggi rotelle su rotelle a stridere, cigolava anche il cervello e il cuore viveva d’un gettito di gelida acqua, non più il sangue caldo a pulsare nelle arterie, a riscaldare a trentasette gradi l’involucro, ma il gelo d’un rettile dalle squame metalliche, un robot a sangue freddo senz’anima. Napoli, 28 aprile 2016 TRISTE OBLIO Dura prova l’oblio, la memoria ti mette alla prova, la grande e la piccola storia, quella dei re, degli Obama, dei Putin, o la storia di tanti di noi, di chi ha vissuto una fede, una felicità, un amore, chimere queste? No, importanti quando sono sentite, vere , ma destinate al triste oblio se cadono come sassi dalle rupi dei monti, se non fosse così non si vivrebbe neppure un secondo di più al dolce ricordo. Sant’Angelo d’Ischia, 29 aprile 2016 AL DI LÀ DEL BENE Quando l’acqua nel calice deborda e una cupoletta di chiesetta greca, ortodossa, si forma e tu, come in un’ordalia, con mano ferma innalzi al cielo il calice e con mano ferma lo avvicini alle labbra e nessuna goccia proprio nessuna del tuo spirito sulla mensa cade, vuol dire che sei forte, fermo, nel giusto, al contrario, il tuo tremolio e le gocce in caduta libera sul tuo petto il segno sono della tua inquietudine del tuo tradimento della tua cattiva coscienza del tuo falso teatro. Napoli, 30 aprile 2016 GIORNI E GIORNI Le suole si consumavano fino al solito bar, quell’andirivieni frenetico in certe ore del giorno, il caffè da otto grammi icona qui a Napoli di radicate abitudini fino alle dolci luci del pomeriggio, poi icona il cocktail delle prime luci della sera, per sedare l’ansia del giorno in certi momenti della vita, oppure per brindare alle gioie dell’amore, all’amore consumato nello stretto vitale abbraccio dei corpi. Napoli, 1 maggio 2016 ACCANTO A JEFF Jeff, l’immancabile cappello a falde su una bianchissima chioma arricciata, la barba a arco, senza baffi, sangue misto come il mio, tu di madre svizzera, in quel di California a seguire le orme del padre americano. Qui alle falde del Vesuvio, davanti casa o al solito bar il golfo più bello del mondo, e tu piangi a dirotto e io ti guardo, ti ascolto, apprendendo ora che ti è morto un amico, per settant’anni inchiodato su una sedia a rotelle, la poliomelite senza pietà. La vita riserva di tutto, anche perdere l’amore d’una donna, accanto sempre il bastone d’una sposa, che sa perdonare un uomo inquieto, alla continua ricerca di sé, per tanti anni felici insieme a scoprire il bello delle cose e a saper condividere gioie e dolori, come la morte d’una figlia, appena sbocciata donna nel segno del girasole. Jeff, il pensiero spesso raccolto nel silenzio, un silenzio che parla da solo della vita passata di quella a venire, della solitudine, lontano tu migliaia e migliaia di miglia dalla tua California. Il tuo pianto impiastricciato sulle tue lenti dice della tua sensibilità, della tua assenza di egoismo, della tua generosità. In te è il sogno di bruciare l’inverno, la pioggia, il freddo, di saltare dall’equinozio d’Autunno a quello di Primavera, onde godere la giornata più lunga, il sole fino a tardi, per riscaldare la tua anima con il fuoco del Mezzogiorno. Jeff, vecchio saggio e amante di Socrate, a me dai ogni giorno sollievo quando la mia anima si perde nei vicoli bui della Suburra o nei Quartieri spagnoli di questa città dove tutto è, dove tutto non è, e l’alcool aiuta a lenire il dolore, i vuoti in ciascuno di noi. Napoli, 2 maggio 2016 L’ARAUCARIA L’araucaria di fronte al castelletto di Lamont Young è di salute buona, guarda osserva i semafori alterni, a seconda dei capricci di chi li comanda, ora rossi, ora gialli, ora verdi, ora lampeggianti di giallo. È così la vita davanti ai capricci del vento, che danno il giusto umore a chi va per mare, il disagio a chi vede il cappello volare, a chi vede la sciarpa coprire i begli occhi d’una donna, di passaggio. Napoli, 3 maggio 2016 TU MONDO Tu mondo, a volte, sciupi ció che vi è di gentile nell’animo d’un poeta, a volte spigoloso ombroso, ma pur sempre un animo osservatore fedele della umana natura, che è fatta di amore, di odio, di invidia, anche di piccole bugie, di tradimenti verso la custode dei figli e del focolare, poiché a volte ció richiede il cuore, quando è preso dalla passione dei sensi, dall’intesa nell’alcova, dai progetti aerei, perché tutto muti e nulla muti. Non è il segno dei tempi, è sempre stato così, da Catullo a Tibullo a Properzio, da quando ció che si crede amore infiamma le vesti, non pagani, invece, gli amplessi tra Eloisa e Abelardo, allora ludibrio delle genti, su di loro la stolta ferocia, fece di loro eterno amore. Napoli, 4 maggio 2016 GRANDINE E la grandine devastó il narciso, il gelsomino e dei fiori non rimase che il gambo spoglio, nudo, senza l’ornamento, che alle donne dà gioia e profumo. Quanti petali a Assuan, per l’essenza contenuta in boccette di cristallo e argento? Milioni, quante le mani della Nubia, del Sudan, alzate in cielo, nel nome di Allah. Napoli, 5 maggio 2016 ANCORA SUL TEMPO Il trascorrere del tempo è commisurato all’uomo: per uno stilita immobile su una colonna o per degli innamorati è eterno, non è un tempo che scappa, non è un carpe diem, per un francescano dell’epoca di Innocenzo terzo, alle miglia, che doveva percorrere per dare pane, vangelo ai poveri, salvezza ai ricchi. per un domenicano alla durata dei sermoni e dei processi della Santa Inquisizione, e così via via fino a oggi, all’attesa della donna amata, a volte, misurata in interminabili ore, ai millesimi di secondo delle navicelle spaziali turbinanti nell’universo. Quindi il tempo è relativo a ciascuno di noi, come nei monasteri o nei lavori dei campi, ma qual è il tempo d’un poeta? Quello di gironzolare con la mente, quello di vedere ció che tanti non vedono, quello di vivere storie, le piú vere possibili, nel senso del Verum et Factum vichiano, per poi raccontare in versi, anche la gioia e il dolore dell’amore, poiché la vita è tutta qui, ragione e sentimento e saper cogliere o non cogliere il bene e il bello, il volto d’una donna, che guarda un paesaggio sfumato di Turner o Constable e che sorride ai colori del tempo. Napoli, 6 maggio 2016 PER LA MIA NIPOTINA Quel fiorellino rosa è ancora nel grembo, due mesi al primo vagito, e la mamma è fiera, placida, felice per la giusta fioritura, la mammina in dolce attesa della pargoletta testolina, che cerca già la luce del sole dei primi di agosto, tempo di orchidee, ortensie e girasoli, quelli che, nei campi di Toscana, coglieva l’amata Fanny, che da lassù tutti protegge. È così che va la vita, la morte e la nascita d’un fiorellino, e Trieste una bimbetta avrà partenopea e triestina, che dalla culla potrà ammirare il Miramar e vedere i vascelli partire con i suoi colori rosa, che sventoleranno al borino di prima mattina. Napoli, 9 maggio 2016 PER UNA SPOSA Tu il mio fiore, solo tu esisti e semini frutti e non zizzania, solo tu riprendi a scrivere e a piangere sulle tue parole. Solo tu hai gli occhi grandi, tanto grandi da percepire ogni mutamento sul mio volto un po’ segnato dall’inquietudine, e dagli anni e solo tu vegli il mio sonno e cogli nei miei sogni agitati, qualcosa che non puoi capire, ma che ora sai. Solo tu hai gli occhi smarriti ingemmati sul tuo bel viso di donna, quando percepisci un cambiamento, ció che si frappone tra la tua vita e la mia. E sono quarant’anni, con un uomo inquieto, che ha bisogno d’un riparo per sedare l’urlo della notte l’urlo del dolore l’urlo mai sfogato per una figlia persa, come un fiore reciso perché bello in un vaso, quando doveva essere annaffiato vivo, non brutalmente reciso, perché potesse crescere curato ancora e sempre, per essere sempre amato tra i vivi e non tra i morti Marina del Cantone, 10 maggio 2016 ALLA CAFFETTIERA Tu puoi negarmi un caffè alla soglia della notte, perché sai che non dormirei piú e ti tormenterei con mille domande sul perché è cosí lungo il buio, quando tace, molto più della luce e perché a nord, al circolo polare, puoi impazzire addirittura al tungsteno freddo delle lampade, unica fonte, che può illuminare la mente nel ragionamento o portarla alla follia piú cupa. Allora solo un caffè alle sedici e poi qualcosa che sedi l’anima al canto dell’angelo, che hai nel cuore, per una buona e serena notte, che apra al nuovo giorno. Napoli, 11 maggio 2016 MISERIA E NOBILTÁ Una cicca, sì proprio una cicca di sigaretta, erano spiccioli, quelle che raccoglievano con bastoni con punta a chiodo, uomini e donne persi nell’ombra di se stessi, ai bordi dei luridi marciapiedi della Stazione centrale o a via Roma, dove i marciapiedi erano come le ruote delle auto, putridi di piscio di cane. Era la povertà di allora, la povertà di Napoli, ancora quando con i pantaloncini corti, a nove, dieci anni correvo per il centro della città, io vomerese, quindi d’un altro pianeta. Sparirono poi i bastoni con punta a chiodo e rimasero gli sciuscià, il mestiere che impomatava, spazzolava e lucidava le scarpe coperte di polvere. L’ultimo sciuscià, lo puoi oggi ancora incontrare, Angelo Calza, fuori la Galleria Umberto Primo, in quella che ora si chiama via Toledo, come cambiano i nomi, e quando sporcò i miei calzini, al momento non si dette pace, ma poi incolpò le mie scarpe americane, le mie Timberland da combattimento. In dollari, disse, mi dovete pagare, ridendo. E al Grand Central Station di New York gli sciuscià, sono di nobile stirpe per i prezzi che fanno, per la loro prosopopea, per il loro antico mestiere. Napoli, 12 maggio 2016 RAGIONE E SENTIMENTO Cos’è una religione se non un insieme di simboli, come il pesce in greco, acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, di miracoli avvenuti prove inconfutabili per ogni religione e il vespaio di idee e dogmi che ne conseguono? È in noi stessi la vera fede, cosí pensavano Leonardo e gli uomini del suo tempo, o forse Pitocrite della Nike di Samotracia. Sono nella forza morale di ciascuno di noi le scelte di vita, che siano l’amore per il lavoro, la famiglia, i figli, una donna, tali da navigare tra le turbolenze senza perdere il timone tra le mani. Quindi ragione e sentimento la barca del sole dirigono nei lidi sperati, ma, quando questi tra loro confliggono, il benessere di ciascuno di noi su una scogliera s’infrange e i remi vanno in frantumi con tutti gli scalmi. la vita stessa in frantumi. Procida, Corricella, 13 maggio 2016 IL FUOCO È figlio del fulmine il fuoco, è caldo, primordiale come la terra e fonde le rocce, tutto trasforma, solo l’acqua degli oceani lo sovrasta e può dargli la forma dello spirito, dell’anima, che è in noi e che vive e vivrà sempre perché generata dall’acqua e dal fuoco. Napoli, 14 maggio 2016 ERO E LEANDRO Non l’Ellesponto lontano mi costrinse l’amore ogni sera a attraversare, da Punta della Lingua a Capo Miseno, un paio di miglia, ma il Canale di Procida, il fondale basso alla Secca di Marsiglia e a quella del Torrione, comunque basso, che quando il mare mugghia, è tutto un vortice, e le navi a picco tra i gorghi. Una triste sera di vento non si congiunsero i corpi, ché un soffio la lucerna spense, solo un soffio dalle tue mani Ero, sacerdotessa e mia sposa. E per me fu notte vera, il buio della morte tra i flutti e sulle sabbie di Miliscola, io esanime io Leandro, il tuo amore. Le tue vesti raccolsero pietosamente il mio capo e il tuo corpo leggiadro, tu sacerdotessa cara a me e a Afrodite, da grande dolore invaso precipitò, per scelta tua, dal faro, che è lì per ricordare un amore grande, dolce e gentile. Napoli, 15 maggio 2016 BRILLII Le buganvillee bagnate, come di rugiada brillano al sole, che furtivo apre uno squarcio in questo dí caprese di nuvole e pioggia. Solo i tuoi occhi piú brillanti, e il basolato pure brilla di nero e acqua e richiama il luccichio che vidi ad Ascona sul lago. Gli stessi gerani che tu tanto ami, gli stessi colori, le stesse campane, le stesse canoniche ore, quelle del Collegio Papio di lí, quelle della torre di qui. E nel Canton Ticino, sul lago Maggiore, un pezzo di Capri è Ascona, splendendo i tuoi occhi qui, come allora i tuoi occhi sul lago lí, dove eleganti panchine, gai colori e colorati tendoni, il tempo davano di riflettere sulle bellezze dei luoghi, sulla volubilità delle donne, sulla forza dell’amore, che tutto può in ogni stagione. Capri, 16 maggio 2016 A MEMORIA A Marina del Cantone portava la corriera della Sita, era tutto un percorrere di gomiti sul Nastro Verde e la tua immagine compariva solo nel controluce del cielo e del mare, ché la vegetazione dopo il tornante è piú fredda dell’azzurro, quando c’è il sole, almeno cosí vedo io, che la campagna soffro quando non è incombente sul mare, come sulla Costa d’Amalfi o alle Cinque Terre di montaliana memoria. E il pensiero vagava alla ricerca del tuo sorriso piú bello, ai tantissimi bei ricordi sempre vividi nella memoria, al tuo mitico soffio sui capelli, fino al giorno in cui si spense la luce, fino alla tua rabbia per l’abbandono, per aver infranto la fiducia d’un patto d’amore e all’insulsa immediata vendetta, che covava nel cuore. Mai più i binari si incroceranno, ma diritti paralleli infiniti per la loro strada. Marina del Cantone, 17 maggio 2016 CAMPANE Quando non sono a morto, confortante il suono delle campane, ti dice che tutto è vivo intorno, non solo il vivo colore delle case, solo di tanto in tanto scolorite dal tempo, qui alla Corricella. Ti dice che il suono, a me dolce, come la voce d’una madre quando porge il seno e le piú belle ninne nanne canta con voce argentina e calda, puoi solo sentire nei rupestri paesini, nei borghi di mare, nelle tante isole dall’Egeo, fin qui, alla Corricella, regno di reti, di barche e di ripide scale. Questo suono ti dice di nuovo che tutto è vivo intorno. Nelle città anonime solo lo scampanio delle cattedrali le messe annunciano, di rado i quarti, le mezze ore, le ore. Le ore della vita, per chi vive intensamente ogni minuto, ogni secondo, ché la vita è un dono per chi sa coglierne appieno il bello e ha tanta voglia d’amare. Ora alla Corricella pescatori dalle mille reti, come campane a distesa, tanti Menes, i gatti d’una mia amica cara, tanti gabbiani, che planano intorno, non ancora rapaci, come su una qualsiasi terrazza di Napoli, dove nidificano da tempo ormai e di colombi fanno strage. Ora alla Corricella c’è il sole, la luce, tanta quanta può averne l’umore benevolo di chi guarda oltre le nasse, oltre l’orizzonte, ché è oltre l’orizzonte che puoi incontrare la tua anima. Procida, Corricella, 19 maggio 2016 PIAZZA UMBERTO PRIMO Le poltroncine di vimini, sul tuo tavolino un Silver cocktail e il mio silenzio, che bisticcia col sommesso vociare dal Gran Caffè, al Piccolo bar, al Caffè Caso, fino al Tiberio bar a ridosso della chiesa che inneggia a Dio Padre. Tuttavia il perpetuo via vai è mondano, un continuo sedersi, alzarsi, con i camerieri a ciacolare in varie lingue non meno il napoletano, con cravatte e pantaloni neri e camicie bianche, a chiedere la comanda loro piú signori dei signori, ma non restii a scalciare i colombi da sotto i tavoli. La scena del teatro si popola a sera con orde di tacchi alti in perpetuo equilibrio, il tonfo altamente probabile. Ma se tu bene osservi non è piú lo scintillio, i colori sgargianti degli Anni gloriosi, quando la Movida impazzava e i principali attori di quello spettacolo, a volte veri principi, erano piú delle persone comuni. Tutto cambia, si sa, ma rimane tuttavia il mito della piazzetta, ieri come oggi. Capri, 21 maggio 2016 AURORA Per Aurora Cacòpardo Prima che emerga dall’orizzonte del mare il gran cerchio d’oro, come per la scelta di Paride, quando rese felice Afrodite, la luce di Aurora sorride al giorno e al crepuscolo di nuovo di arancio si tinge, e il profumo di zagare si sparge sul suo viso, Aurora, mai malinconica, ma dolce e insieme ferma nelle idee, nel suo scrivere nel suo mormorare sagge parole, colte parole. Un vezzo di famiglia il cappello, un modo di porsi elegante per la sua fresca bellezza ché l’incalzare degli anni, non ha che migliorato lo spirito e l’acume rendendo certi anziani, saggi, mai vecchi. La nobiltà del suo nome apre sempre un giorno fecondo e la sua generosa presenza sempre porterà al giardino con le sue zagare a Taormina, dove novella Elena si incamminerà col suo Paride nei posti piú belli, quelli dove è piantato il suo contorto ulivo saraceno. Procida, 22 maggio 2016 AI POETI Tu puoi scoprire un luogo, un paesaggio anche se lo hai visto già milioni di volte, da te dipende, solo da te porgere la dovuta attenzione, in almeno un momento della vita tanta è l’abitudine a non vederlo per niente. Ma quando sei un poeta, un artista, a te nulla sfugge e quel luogo avrà una voce, un profumo, un alito di vento, che lo renderà unico, riconoscibile solo a te che lo ami, a te che lo hai sempre amato. Procida, Corricella, 22 maggio 2016 VENTI Da tante direzioni volteggiano i venti, come su un lago tanti cigni, tutti benigni per stare bene con se stessi, se si esclude lo Scirocco, che porta sabbia sui capelli, sugli occhi e dà al respiro un senso di fiacca, d’abbandono sul letto. Cosí è anche per i sensibili, che di carezze, baci, sorrisi, abbracci si nutrono, non di manrovesci, tali da stordire l’anima, che vorrebbe annegare nelle sabbie mobili d’una palude ai confini d’una città, un moderno Golgota, come nella Gerusalemme, dove puoi davvero trovare di tutto, l’amore più profondo per gli incensieri sulle sacre icone, come l’odio piú profondo degli Scribi e dei Farisei. Napoli, 23 maggio 2016 PIAZZE DI ROMA Via Frattina via Borgognona via Condotti via delle Carrozze via della Croce e da via del Babuino l’obelisco di piazza del Popolo, è tutto un suono di nomi di strade, di eventi, qui a piazza di Spagna, che raccontano la città di Roma, non seconda alla Venezia dei Dogi, dove Vivaldi maestro d’Armonia era secondo solo al mastro campanaro di Sant’Agnese a piazza Navona, immacolata come Trinità de’ Monti, quando egli scoccava l’ora di Mezzogiorno e il barocco esultava per la gioia di vivere dei Pamphili e di tutto il popolo di Roma. Roma, 24 maggio 2016 SANT’ANGELO Il dondolio delle barche richiama il capriccio, il diritto della tua bambina di scalciare nel tuo grembo, per aprire presto gli occhi lei moderna Persefone, alla luce degli ombrelloni dei Caffè, qui a Sant’Angelo come a Santiago di Cuba, di colore beige chiaro, non come le camicie di canapa che puoi vedere agli ormeggi sulle spalle dei rudi pescatori in tutti i porticcioli di tanti mari. E tu bambolina, che devi far vedere la tua testolina al mondo, ricorda nei momenti di malinconia questo beige, che rilassa l’animo, come il verde dei prati della Val Venosta, sui quali tua madre correva felice, in quegli anni felici. Ma la tua vita è già scritta, piena di allegria, di gioia per l’amore di tuo padre e di tua madre e di chi ti vorrà bene sempre. Ischia, Sant’Angelo, 25 maggio 2016 L’ATTESA Era lunga l’attesa e le sue unghie erano assediate dai denti, corroso lo smalto, dilaniato l’indice per il ritardo del treno. Era quello dei desideri mattutini, che doveva aprire a una buona giornata, ma l’orecchio sul binario indicava sempre un sordo silenzio, le rotaie, lungi dal suscitare le emozioni del viaggio, erano sopite, smontate dalle traversine, così che il treno dei desideri non sarebbe mai potuto arrivare in stazione, né durante il giorno, né all’imbrunire del giorno, le unghie sempre più corrose dai denti. Si era in piena tundra e regnava il silenzio. Napoli, 26 maggio 2016 THE AMALFI COAST L’apertura della finestra il potere aveva avuto di fare entrare la luce con prepotenza nella stanza. Gli occhi transitavano dal buio al sole sul mare e le due torri erano sempre lí a guardarsi da secoli e la grotta dello Smeraldo era lí a incutere quella sacra reverenza che si ha per le cose belle. E tu Praiano hai il dono della interiore bellezza e i tuoi occhi sanno scavare nelle profondità della memoria i miei, spesso accecati, travolti dal frastuono delle false luci della città. Praiano, 28 maggio 2016 VIA TERRAMARE Al caro amico Paolo Sandulli Il guarracino lottò con la vecchia polpessa e il mare si tinse di rosso, anche di notte quando molte murene caddero alla luce delle lampare e d’una fioca pallida eterea luna. Ma il mare non era solo morte, anzi era un gioco fatto d’amore, come quando Lighea attrasse a sé l’amato pescatore e lo fece suo nel profondo del cuore e con la coda e con la pinna lo avvolse in un amplesso ancestrale. Questo è anche il mare di Pascalotto che fuma tranquillo con sotto la barca il totano gigante dei suoi sogni, che mai prenderà. Infine anche Carmela che dorme e pescatori che si giocano a tre sette la loro giornata di pesca. Questo è il mare quieto di Paolo per Marina di Praia. Praiano, 28 maggio 2016 ARMANDINO Tu ami cantare ritornelli coi tuoi amici volteggiando tra i tuoi tavolini alla magica Praia, vecchie canzoni che rallegrano il cuore tra il vino d’Amalfi che scorre, il profumo intenso dei gamberoni e i tubetti coi totani, sí i totani che un tempo pescavi nel tuo mare, l’oro che saliva sui monti per il baratto coi profumi della montagna. Perché la costiera è nella tua anima, Armandino, e quando arriva la bella stagione, tu sei pronto a accogliere gli amici devoti col tuo sorriso, la tua saggezza e la tua ironia. Marina di Praia, 29 maggio 2016 ORIZZONTI La scia della barca a motore crea una nuova linea di orizzonte, al di là Capri e la Punta Campanella, al di qua, a Posillipo, i pini marittimi a ombrello, che ti riparano dal sole. Poi vedi la scia svanire e via via sfumare nel nulla e l’orizzonte vero resistere al velo di foschia, ben saldo a separare il cielo dal mare. In fondo questi orizzonti che percepiamo la metafora sono delle incertezze e delle certezze nella vita, di quando le tentazioni gli affetti effimeri cedono al ricordo di ció che è stato e gli affetti solidi, carichi di nostalgia sono cemento e ferro forte e ancora forte per sostenere le fondamenta del futuro. Napoli, Posillipo, 30 maggio 2016 LIBERA DALLE MAFIE Il bisogno che abbiamo delle ali per sognare un mondo pulito, vuole eroi, santi per vincere le nostre battaglie nella lotta contro un cancro, quello che può colpirci a tradimento ogni momento, il cancro d’una società corrotta o quello delle mafie. I più impavidi, onesti, puri hanno sognato un mondo nuovo, lottato hanno nel bel mezzo d’un campo arato con pochi semi. Ma il loro sangue ha dato linfa a tanti alberelli e allora l’esempio dei primi caduti li ha moltiplicati, per fare del campo con pochi semi, un bosco oggi, una foresta domani. Questa è Libera dalle mafie. Mai più alberelli dovranno vedere il petto dilaniato, coperto di sangue, tutti, invece a testa alta e a petto scoperto. Napoli, 31 maggio-2 giugno 2016 IL SELCIATO Il selciato non era sordo ai tuoi passi e odiava la tua andatura pesante, la tua stanchezza, sapeva tutto di te, che non avevi molta voglia di vivere se non girovagando in altri lidi per cogliere tutto, ogni attimo dei mutamenti sempre continui d’un paesaggio, come i capricci d’una donna quando dal pianto più dirotto passa al piú bel sorriso. Il selciato non si adombrerà, se lo calpesterai di rado, sarà felice per te, per la tua avida sete di conoscenza, per la tua gioia nel veder sorridere una donna, dopo un velo di lacrime o un pianto dirotto. Napoli, 2 giugno 2016 SCAUT Nel pollice sul mignolo ti vedo, quando proteggi il piú debole, che non riesce neppure a alzare la bandiera e a cantare, neanche la promessa a recitare, poiché un nodo alla gola non è il gioco dei nodi a chi è piú bravo. Bei ricordi, soprattutto gli amici. Dare e ricevere, ritrovare se stessi. Macerata, 5 giugno 2016 PROFONDITÁ Azzurro profondo è il mare quando i tuoi occhi parlano del tuo bisogno d’amare il prossimo tuo come te stesso. Verde smeraldo è il mare quando nel tuo ricordo vive sono le trasparenze della tua vita, come ginestre a ornare il tuo bel viso, ancora poche le rughe pochi gli affanni. Come pece il mare di notte quando non vuoi ricordare il cuneo conficcato nella tua mente, presa dal vortice della paura del vuoto per qualcosa di te di incompiuto, per le passioni sopite in un giorno di primavera. Napoli, 7 giugno 2016 MALAVITA Cos’è un vicolo se non una straduzza stretta tra alti antichi palazzi di tufo, carica di panni appesi alle finestre e a qualche balcone, in cerca di uno sprazzo di sole? Napoli è anche il vicolo, non solo la maestà dei palazzi dei signori. Ma nei vicoli ogni tanto si spara, specie alla Sanità, si spara e si muore. Anche questa è Napoli, la bonomia e la ferocia, la tensione al bello del paesaggio e della storia, il ludibrio della canaglia, i morti dei clan in guerra fra loro. L’amore per la città in tutti un io diviso, tra amore e odio, la nostra malinconia. Napoli, 8 giugno 2016 LO SPECCHIO Ti guardi allo specchio e cerchi di parlare con lui, è un dialogo tra sordi, due lingue diverse, ma tu vedi la tua immagine riflessa con quella di lui, del tuo gatto stretto stretto in petto, la testa contro la testa, due mondi, due modi di vedere l’essere, tu a interrogare la tua immagine, lui spaurito a non riconoscersi, a vedere solo te, il padrone. Ecco ció che distingue l’uomo dal gatto, tutti e due un frammento diverso di vita, ma tutti e due a avere uno bisogno dell’affetto dell’altro. Napoli, 10 giugno 2016 PALAZZO DONN’ANNA I due alti archi, gli occhi di Beppe e Stella, le lacrime della fanciulla per l’amore perduto in un trabocchetto, in un urlo tra le rocce e il mare. Guardavano gli occhi lontano, nella storia, nella leggenda d’un palazzo maledetto da Dio e dagli uomini. Un pianto infinito, una maledizione di secoli, per i capricci d’una regina, fatti d’eros e thanatos, d’amore violato, la maledizione di Stella, la fine inconsolata di Anna, lontana dal suo palazzo incombente sul mare, tutt’ora in rovina là dove si guarda nascere il sole. Napoli, 12 giugno 2016 MEZZALUNA Potevi tu dimenticare la mezzaluna rossa quella sera, come arcobaleno, un arco, con un cupido a tendere la corda e la freccia a centrare il tuo cuore nel mio? Tutto è calmo tra Punta Pizzaco e Punta Solchiaro e la mezzaluna è sempre lí a significare la passione, che, solo come una rosa, può tingere il tuo petto rosso con il mio. Procida, Corricella, 18 giugno 2016 SUONI La dolcezza del suono delle tue parole la vorrei sentire negli spazi cosmici, dove il suono è puro lontano dai violenti rumori delle città, delle discoteche, di tutto ciò che disturba l’udito, il rombo dei motori degli aerei o delle auto che sfrecciano per la vittoria. Come vorrei sentire il dolce suono, mamma, rivolto dall’Orsa minore all’Orsa maggiore, padrona dei cieli di settentrione. Come vorrei sentire il suono che sapeva dare Carmelo Bene alle parole d’una poesia altrimenti incomprensibile, ma che diveniva per tutti emozione, sentimento lì nei vari teatri del mondo. La dolcezza del suono delle tue parole la vorrei sentire sempre come quando mi parli d’ amore e quanto mi dici si incardina nella mia anima e tutto è più lieve, sì tutto più lieve. Napoli, 19 giugno 2016 L’OMBRA DEI PLATANI L’ombra dei platani mitigava il sole cocente, una rincorsa era a quello più carico di rami e di foglie. Le foglie dei platani, tante quanti gli uomini sulla terra, se si contano tutti i platani sulla terra, trapassano la loro ombra, per immaginare un mondo senza foglie, senza alberi, come un pensiero senza l’ombra del dubbio del peccato del pathos dei chiaroscuri della vita, se così fosse tutto sarebbe schiacciato dal peso della luce, sarebbe tutto senza il bello della sorpresa tra le foglie, il bacio furtivo degli innamorati, una carezza al vento, che dà rumore alle foglie. Napoli, 22 giugno 2016 ROSE ROSSE L’arsura è infinita per la donna che si ama e per quante siano le donne, ognuna differente dall’altra, è solo una quella da amare, ma la vera ricchezza è vederle tutte raccolte in un unico fascio di rose rosse, rosse come il carminio. Napoli, 27 giugno 2016 SANTA MONICA Sulla sabbia bianca di Santa Monica fino a Malibu, albatros e gabbiani in lotta contro il vento, che strozza il volo in un lamento per tenere la rotta. Questa è lotta. E noi qui, insieme con le palme delle Hawaii, a vivere l’emozione del vento sul viso e sulle foglie, ché la bonaccia non è per noi. Santa Monica, 5 luglio 2016 SCOTTSDALE Ho camminato per miglia e miglia a Scottsdale, il sole a quaranta gradi, alle diciannove, alla periferia di Phoenix, Arizona, non un passante a cui porgere parola, neanche un passante per caso, solo auto a centinaia, che sfrecciano sulla strada larga e rettilinea, verso il loro destino, un pub, una casa, una casa a un piano, due piani massimo, quelle a quattro una rarità, tutto è piatto a Scottsdale, orizzontale, così Phoenix, squadrata come una città greca, ma senza un’agorà per discutere sui massimi sistemi o sulla colpevolezza o l’innocenza di Socrate. Phoenix – Scottsdale, 6 luglio 2016 LAGO POWELL Sorvolare con le ali d’Icaro il Grand Canyon e il lago Powell vuol dire incontrare i grandi spazi americani, ció che è il sogno di ogni cittadino USA, di ogni cittadino del mondo, libero di scoprire i grandi disegni, i piú vari e veri colori della natura e quando la cera si fonde al sole, l’anima d’un Icaro moderno si aggiunge ai grandi spiriti dei Navajos e delle altre tribú di indios, ai grandi spiriti primordiali di questa sacra terra. Antelope Canyon, Arizona, 9 luglio 2016 FERLINGHETTI Leoni marini a un molo di San Francisco , il Pier 39, chissà perché qui così a Nord, quando centinaia li vidi alle isole Ballestas, tantissimi chilometri piú giù nel Perú lontano. Anche questa è San Francisco, la città del Golden Gate, un sali e scendi continuo che ti porta al mare, di fronte la Alcatraz di Al, ma anche il bacio dei leoni di mare e la City lights books di Ferlinghetti, poeta americano di sangue sefardita e italiano, che amó Ginsberg e Kerouak e per il primo finí in prigione. “E appoggió la tela a terra e giacque solo con lei e a lungo giacque con quella vergine, desiderando una purezza tutta per sé”, le sue parole. San Francisco, 15 luglio 2016 AUSCHWITZ Trasudano sangue i blocchi del famigerato campo, gli occhi in cerca di luce spaccati in due dall’orrore per le montagne di valigie vuote, di vestiti, di scarpe, di capelli di donne, mezzo marco il chilo, milioni di donne, e i denti d’oro da fondere per la Banca Centrale, per costruire un drago, orrore nei sogni, specchio dell’umanità persa nei campi, nei famigerati campi, mercimonio pure la cenere per fertilizzare la terra senza piú lacrime. Oswiecim, 30 agosto 2016 CUORE POLACCO Ho visto il tuo cuore nella chiesa di Santa Croce, Fryderyk, ma è di tutti per come suonavi sotto il salice ai giardini reali o nella città delle luci e ho visto il sangue di Papa Karol sulla stola accanto alla sua Madonna nera nella sacra terra polacca, ma anche l’urna di Edvige sotto il crocifisso nero al Wawel, la regina buona e bella, che seppe trasformare la sfera del potere e lo scettro, dall’oro all’umile legno. Wroclaw, 1 settembre 2016 E all’imbrunire il cigno annunciò la fine del giorno dei giorni e il salice pianse sul lago. Marina del Cantone, 8 ottobre 2016

Giacomo Garzya a Santiago de Compostela, 9 agosto 2023

 

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