RACCOLTA DI POESIE (SESTA), IL VIAGGIO DELLA VITA
GIACOMO GARZYA
IL VIAGGIO DELLA VITA, Napoli 2010, M.D’Auria Editore
All’adorata figlia Fanny, che sempre mi veglia, a due anni dalla sua tragica scomparsa,
nel fiore della sua giovinezza.
Napoli, 6 febbraio 2010.
Con la gentile autorizzazione dell’Editore, Francesco del Franco,
in questa sesta raccolta, ho riversato anche le mie poesie, già pubblicate
in GIACOMO GARZYA, “Pensare è non pensare”, Napoli,
Bibliopolis, 2009, qui però in parte rivedute. Ringrazio, pertanto,
l’Editore del Franco, per il segno d’amicizia mostrato.
Giacomo Garzya
PREFAZIONE
A passo d’uomo
L’eco del viaggio, lungo ormai e ininterrotto, che Giacomo Garzya compie da molti anni e che risuona inesorabile ancora in questi versi, è un’eco di passi umani. Non solo di reattori, motori a scoppio o ruote di treno, ma eco di passi lenti e cadenzati di un uomo che a piedi percorre la sua strada, e poiché cammina a piedi ha modo e tempo per fermarsi a guardare, a sentire e a ricordare.
La parola del viandante che discorre con se stesso, e ci rende a tratti partecipe dei suoi pensieri, dà voce ai colori dei paesaggi rivisitati, all’evocazione di persone e cose antiche e recenti, al silenzio di un vuoto irrimediabile. Il diario, scandito dalle date e dai nomi di luogo che suggellano i componimenti, disegna un itinerario che tocca località vicine e lontane, scenari diversi e contrastanti come gli stati d’animo del pellegrino che si racconta.
Col suo patrimonio ricco di umanità e di cultura Giacomo percorre il suo cammino, sempre più erto e accidentato, senza rinunciare a porsi con sommessa e pudica ostinazione le domande che nessuno dotato di senno e sensibilità può sperare di eludere, e che si trovano anche qui ad ogni pagina, esplicite o sottintese, e specialmente, in modo esemplare, nelle poesie “Le nostre vecchie chiese” e in “Dio è la natura”. Gli interrogativi dell’uomo che cammina e che pensa rimangono aperti: sono consegnati al lettore perché continui – o incominci – lui stesso a viaggiare guardandosi attorno, e a riflettere guardandosi dentro.
Un giorno, molti anni fa, io mi trovavo alle pendici della collina napoletana su cui la mia famiglia vive da quattro generazioni. Una interruzione improvvisa nel servizio della funicolare mi induceva ad affrontare a piedi la salita, dal momento che la mia congenita impazienza insofferente mi precludeva la possibilità di speranzose attese di un sollecito ripristino o di lunghi giri contando su inaffidabili mezzi alternativi. Ad un crocicchio tra i vicoli dei quartieri spagnoli incontrai Giacomo che scendeva, a piedi anche lui per tradizionale e antica educazione familiare. Sostammo a parlare per un poco. Quando gli dissi del mio proposito e gli mostrai la strada che mi accingevo ad imboccare, lui fece quietamente un mezzo giro su se stesso e con un ampio e lento gesto del braccio indicò una via a me ignota che si apriva dietro di lui, e mormorò: ” Di là si arriva anche prima “.
Nei versi pregnanti e pieni di risonanze di questa silloge io vedo per me un’altra volta l’indicazione – preziosa, forse perché inconsapevole – di una strada. Questa volta però non mostrano una strada lineare. Quella che, dall’incerta fede di varie poesie conduce alle domande senza risposta dell’ultima, è una via che si muove attraverso il tempo e lo spazio disegnando non più la tradizionale linea retta tracciata dalla collaudata visione cristiana dell’esistenza, ma i cerchi concentrici che, con la pioggia di sassate che si abbatte sulla superficie in apparenza stagnante della vita, intersecano passato e presente, storia e immaginazione, speranze e rimpianto.
Le parole, che Giacomo ha intrecciato nella corona di passioni, reminiscenze e smarrimenti formata dalle sue poesie, chiedono al lettore di essere comprese nel senso pieno e vero. Cercano una sponda. Ognuno di noi è perentoriamente chiamato a rispondere come sa e come può. La risposta mia alla voce colta e gentile, ma anche severa e implacabile di Giacomo, mi sembra di averla trovata in una pagina di quello sconfinato libro di Dolores Prato che è Giù la piazza non c’è nessuno: ” Sballottamento di passato, presente e futuro è la vita dell’individuo; sballottamento di terremoti, valanghe e guerre la vita della terra, che insieme butta all’aria case, animali, alberi e uomini. Gli sballottamenti coprono e scoprono, seppelliscono e disseppelliscono “.
RICCARDO MAISANO
PREMESSA DELL’AUTORE
La poesia non è l’esclusiva ragione della mia vita, ma vi si riversa la mia esperienza, la mia inquietudine, la profondità degli affetti, il lutto, ora, per la perdita precoce, tragica, della mia adorata figlia Fanny. Lo stile nella scrittura ha un peso specifico : De Sanctis diceva che “la forma è la cosa”. Nel mio caso la determinazione delle parole non lascia molto spazio a più livelli di lettura, se mai è la poesia nella sua interezza che può aprire a più interpretazioni. È in questo, sempre nel mio caso, che la poesia si distacca dalla prosa. L’immediatezza con cui molte poesie sono state scritte non vuol dire scrittura spontanea, ma pensieri sedimentati, che fuoriescono quando devono e, se il labor limae segue spesso veloce, non vuol dire che ciò sia un peccato di leggerezza, ma un modo personale di rapportarsi alle parole nel loro significato. Il mio percorso poetico e fotografico vuole essere come un diario dell’anima, non della mia anima soltanto, ma di tutte le anime portate a pensare, a riflettere sul significato della propria esistenza, nel suo scorrere. Forse il ricorrere delle stagioni, delle varie età dell’oro o del ferro, possono indurre a pensare a una ciclicità delle cose, ma si sa che le situazioni cambiano come il tono dei suoni o i colori o la luce nei quadri. Le mie poesie, come le mie fotografie, sono un giornale intimo che non è intimista. Sin da piccolo mi è stato inculcato il valore dell’universalità e quando scrivo o fotografo interrogo me, pensando agli altri. Il mio scrivere, il mio fotografare, spesso vissuto in prima istanza con le persone care, vuole essere anche una risposta al mondo in cui viviamo, dove certi valori vengono dimenticati, i valori primi intendo. Le radici, i luoghi, la natura, gli affetti entrano nel mio percorso, ma su tutto, il vento, che domina il nostro vivere, come il mare. Credo che la sostanza del mio fare sia un invito a vivere con gioia le cose belle, in contrapposizione dialettica al dolore, al dramma della morte, che comunque sono il vero motore dell’esistenza e che inducono alla creatività e alla libertà.
GIACOMO GARZYA, Napoli 22 gennaio 2010.
VIAGGIARE
Forse viaggiavo
per cercare quelle immagini
che avevo da sempre
nella mia mente,
forse viaggio
per ritrovare il senso primo
che mi tormenta da sempre,
forse il viaggio
è un tornare indietro
per preservare qualcosa
di allora,
per non perdere quella natura
che percepivo col candore
di quell’età dell’oro,
dei fiori del male
inconsapevole.
Napoli, 27 febbraio 2006
INTRA MOENIA
Piovischio di tristezza imbeve
piante e palme sotto i busti
severi di Palazzo Firrao.
Ora l’acqua impreveduta
travolge e un amico,
di Aleksandr Blok,
sparge i versi nell’aria
senza tempo e luce.
Dietro un vetro riparati
la poesia ogni malinconia
dilava
e tavolini deserti guardano
gli occhi sorpresi.
Napoli, 7 luglio 2006
VERDEMARE
I tuoi occhi verdemare
spari nella notte
luce danno al dolore
e al buio della vita.
I tuoi occhi cangianti,
come le linee del tuo viso,
al tremolio delle torce
le corde toccano
delle anime assetate
d’amore.
Siracusa, 28-29 agosto 2006
PARAFRASANDO UNA POESIA
Se è vero che ho fede in me,
posso sperare che Tu ne abbia
in me?
Siamo punti finiti
in ciò che non è spazio
o granelli ocra in un deserto
infinito privo di speranza?
La vita che viviamo e la morte
sono le uniche certezze,
le uniche cose vere,
come l’amore dei datteri per
l’acqua nell’oasi di un rigoglioso
oltrevita?
Napoli, 14 maggio 2007
[leggendo “Ho tanta fede in te”
di Eugenio Montale]
HOMO FABER, HOMO LUDENS
Ciò che sfugge a me
povero di Dio
è ciò che si vorrebbe
nelle braccia stringere
per accollarsi i grovigli della vita.
Ciò che non sfugge a me,
povero di Dio, è che l’esistenza
è un dono,
di per sé permette d’esser faber,
nel giogo della vita, e poi ludens,
nei giochi della vita.
Napoli, 18 maggio 2007
L’ALFA E L’OMEGA
L’alfa e l’omega,
come il ruscello che cresce
e muore nel fiume,
ma forse il fiume
non è anche il ruscello?
Tante vite in una,
ma anch’essa destinata
a fluire nel mare.
In Qoèlet predicatore
non sopravvivono nel ricordo
degli uomini i faber e i ludens,
da noi in Occidente, invece,
ciò che è ben costruito
(il Pont du Gard ho visto)
al tempo resiste, al ricordo,
come i grandi poeti,
come le strade dell’anima
in cerca di fede.
Napoli, 19 maggio 2007
IL PRIMA E IL DOPO
Se un tenue filo ci lega
al fiore, al petalo odoroso
è perché vogliamo vivere
tra l’arancio delle buganvillee
di Miseno
e gli oleandri ionici purpurei
e bianchi.
Non conosco vie di fuga
nell’architettura del vivere,
che non siano quelle
dell’affetto per le mie terre,
per i miei paesaggi del cuore,
vissuti con la trepidazione
di chi non sa che non è
possibile averli nel sangue
sempre, perché l’amore e
la terra sono terra e amore ora.
Dopo vorrei incontrarvi di
nuovo nella luce soffusa
dell’aurora.
Forse è così che l’occhio vedrà
le cose.
Napoli, 21 maggio 2007
MELANCONIA
Se nella notte del desiderio
i tuoi occhi nell’immenso vedo
brillare,
come Sirio la stella più bella,
dovrei pensare a te come eterna
nella mia vita.
Ma come caduche sono le foglie,
così i tuoi occhi e le stelle,
quando la melanconia del buio
preferisci alla luce,
la penombra alla stella più bella.
Forse è però come tu dici:
il buco nero in cui cade
la luminescenza
porta a una nuova luce,
quella che ritrovi con gioia,
quando esci al mattino.
Napoli, 23 maggio 2007
AL MIO GATTO
Il rigo agli occhi,
la linea tra il visibile
e l’invisibile demarca,
come lo zenit,
che è al centro delle tue pupille,
mio Arturo.
Si vede non si vede, però c’è,
ne sono sicuro, il nonsense
nella tua vita felina.
Ora bevi acqua corrente,
ora miagoli e strusci
per un po’ più di paté,
ma alla fine ti sono indifferente,
invisibile, senza materia.
Esisti solo tu e, nella memoria
egizia, regni sovrano.
Napoli, 24 maggio 2007
MORIRE COL SOLE?
Si alza il sole
e una luce si irradia
negli occhi ciechi per una notte
insonne.
Hanno visto tenebra e si sono
spenti
nel dolore del buio,
che è nella mente quando
si pensa al destino di noi tutti,
lontani dai raggi che danno vita.
È questo il dopo?
Morire col sole?
Napoli, 31 maggio 2007
RIMARRANNO LE TUE
PAROLE?
È fatale che tutto finisca
tu dici, Agnello della mia anima,
anche il sole e gli astri tutti.
Nel vortice abissale tutti,
nell’elicoide del Palazzo d’Urbino
tutti, come in Matteo
con “il cielo e la terra passeranno”.
Ma nel dopo rimarranno le Tue
parole?
A volte, se penso alla storia degli
uomini,
credo che Tu sia morto invano.
Napoli, 31 maggio 2007
PASSER, DELICIAE
MEAE PUELLAE
Dal mio angolo di mondo,
in questa Napoli irreale, silente,
un pigolio insistente di uccelli
di nido l’aurora accompagna
verso un nuovo mattino,
come sulla Certosa quando
manca il vento,che muove
le foglie.
Poche linee grigie nel cielo
cilestro
da pentagramma fanno alle note
più riposte.
Vorrei cantare un peana di gioia,
perché ora penso a te,
ma ieri è morto il tuo passero,
non cinguetta più il tuo passero,
non vola più e tu non sei più
libera.
Napoli, 1° giugno 2007
LES ABEILLES, LES TERMITES,
LES FOURMIS
È possibile creare idee nuove,
dare risposte nuove,
quando tutto è già scritto?
Cellette di cera sottile in esagoni,
immutabili rimangono nella loro
perfezione.
Perché le api un ordine hanno,
come le termiti nei loro termitai
o le formiche operose e guerriere.
Voi, regolate da una ragione,
che meccanica sembra, molecole
siete del nostro essere sociale?
Ma se penso alle formiche di
Maeterlinck,
alle strategie di battaglia,
arrivo a credere a una fantasia
della natura,
che richiama quella che è in noi.
È possibile creare idee nuove?
Sì, quando la fantasia è nel vento.
Napoli, 3 giugno 2007
[avendo letto, con grande ammirazione,
i saggi naturalistici del poeta belga
Maurice Maeterlinck, Premio Nobel
per la Letteratura nel 1911, grazie
soprattutto alla sua produzione teatrale]
PELLE D’UOMO
Il tuo profumo è la lavanda,
quella che sento nell’aria
qui in Provenza,
o qualcosa di simile,
comunque buono, odoroso.
Il mio profumo è pelle d’uomo,
che cerca una strada,
per crescere ancora.
Sarà lungo il Cammino,
ma ho muscoli e tendini forti,
ma di più la volontà,
per vedere e sentire e pregare.
Amami aria d’estate
E sarai ripagata dal suono
delle cetre, che ho nella mente.
Nizza, 9 luglio 2007
MONTAUBAN
Vedo la tua terra, le case
all’alba affollata di nuvole
e penso a quando ragazzo
per le campagne di Francia
a perdifiato correvo,
per cogliere zolle ricche
di vita,
per godere quel senso
del passato,
che avevo colto nei libri,
per non perdere campanili,
cerchie murarie e quei colori
immutati nel tempo,
ancora fissati nei quadri.
Il treno corre lungo un canale
e alberi e nuvole in esso
tanti narcisi.
Se questi sono i giochi
della luce,
è bello giocare così.
Tra Montauban e Agen,
10 luglio 2007
SAINT JEAN-BAPTISTE
Da tempo, da Fanny,
in testa avevo il Cammino.
Ora nel tuo gotico interiore
i pellegrini vedo pregare e
accendere i ceri.
Ha senso per me un cero
per meglio varcare la Porta
di Spagna?
Roncevaux a otto ore,
per rivivere la Chanson
de Roland
e la sconfitta più celebre,
che non è più nell’animo
di tanti bambini.
Saint Jean-Pied-De-Port,
10 luglio 2007
[il mio Camino de Santiago,
iniziato all’alba dell’11 luglio
si fermò a Pamplona il 13 luglio,
dopo ottanta km, per un’ infiam-
mazione alle ginocchia, causata
dallo sforzo per aver valicato
i Pirenei, in pessime condizioni
climatiche, laddove mia figlia
Fanny, l’anno precedente, aveva
completato il suo percorso fino
a Santiago, in poco più di un mese]
LEONOR MARTINEZ
Hey Jacomo!!
jejeje
– il tuo grido,
per la salita incombente,
dura, molto dura,
come lo è tutto
il Camino de Santiago-
vamos
la vitta è cossì
Jacomo!!
Per Arre-Villava,
13 luglio 2007
KARNAK
Un vento caldo mi accoglie,
dolce come il miele,
e il sole e l’oca
e l’ape e il giunco.
Figlio del sole
e Re dell’Alto e Basso Egitto,
questo, o grande Ramesse,
di te dicono i segni sul Tempio,
essenza di quella che è stata
la tua gloria nella valle verde
sul deserto sovrana.
Ora fellah stanchi,
immagini immote nel tempo,
timore incutono per la povertà,
tra case di terra battuta
e un via vai senza futuro,
in cui il sogno passa attraverso
il fumo dei narghilè.
Karnak, 13 agosto 2007
DESERTO ARABICO
Mi sfiora il piede
m’inonda la risacca,
onda di mare su onda,
nell’infinito silenzio
d’una notte stellata.
Un nero punteggiato
di lucciole,
una lattea contrada,
che solo qui
si esalta nel suo splendore,
il Tropico a un passo.
Marsa Alam, il deserto tange
il mare
e all’aurora prendono luce
le dune,
come i profili dei monti, nude
linee,
che fanno pensare a ciò che
è dietro,
lontano lontano, la Storia,
Tebe e la valle del Nilo.
Marsa Alam (Utopia), 15-16 agosto 2007
MAR ROSSO
A guardia dei coralli,
i pagliacci e intorno i farfalla,
i pappagalli, i balestra,
i chirurghi dalla coda gialla.
È tutto colore festante di pesci,
placidi senza paura,
ma oltre la Barriera,
murene, mante,
squali e barracuda sono a caccia.
Due mondi insieme:
i colori
con i grigi, i neri, i bianchi,
in un’acqua manichea,
ora alta ora bassa,
come le maree nella gioia
e nel dolore della nostra vita.
Marsa Alam (Utopia), 16 agosto 2007
A MIA MOGLIE PAOLA
Al Faraglione di terra
rigòglio di gabbiani tesi
nel volo,
il controluce aggira,
confine tra buio e argento,
ansia e gioia di vita.
È dolce planare sul riflesso
verde della tua chioma,
all’ombra dei tuoi occhi
corvini,
– questi gli scherzi della luce –
mentre il tuo sguardo il campo
apre a nuovi orizzonti, solcati
da una barca,
che pesca la profondità marina,
come anima riflessa in cerca
di luce.
Ora s’allontana l’odore del pino,
sospeso sulla roccia e il rosmarino,
e sciolto l’abbraccio, il mare ci
prende nel suo infinito.
Capri, 20 gennaio 2008
TRAGARA
Senso di pace dà l’infinito,
è come annullare la morte,
che bussa alla porta, per un
momento.
Come invidio l’anima secolare
di certi alberi, pronti a tutto
per sopravvivere.
A Capri la salsedine inalano
e lo iodio e il privilegio
godono
d’albergare su un’isola,
lungi dall’abbattimento,
lungi dal malsano odore,
che sulla terraferma ora si
abbatte,
lungi dal malsano odore
dell’uomo,
quando più la dignità non ha
di comportarsi da Uomo.
Capri, 20 gennaio 2008
A FERRARA,
UN MARTEDÌ GRASSO
Dopo i carnasciali
a piazza San Marco,
qui, Martedì grasso,
a Corso Ercole d’Este,
già via degli Angeli,
il silenzio,
dall’acciottolato,
fin su le cime dei pioppi,
giovani, precoci, spogli,
in filiera, a ornare dei
diamanti, l’antica strada.
E poi ancora silenzio,
profondo, senza confini,
a San Cristoforo alla Certosa,
luogo d’arte e di sepoltura.
Ferrara, 5 febbraio 2008
[all’adorata figlia Fanny, Angelo
del Paradiso, segno premonitore
della sua tragica fine, avvenuta
poche ore dopo, lontana dal suo
papà]
AI NOSTRI MORTI
Spesso sui muri
Sui muri dei cimiteri d’Emilia
Sui muri del Castello estense
Sui muri di via del Pratello
Sui muri di piazza Maggiore
Su quelli di via Saraceno
o Mazzini, non ricordo,
elenchi, effigi di martiri,
memorie sono di dolorose storie.
La memoria fa rivivere i morti,
ne perpetua l’onore:
dice che è valsa la pena per l’idea
la rinuncia alla vita,
la cosa più bella.
Bologna, 5 febbraio 2008
[all’adorata figlia Fanny, Angelo
del Paradiso, segno premonitore
della sua tragica fine, avvenuta
un’ ora dopo, lontana dal suo
papà]
UN FIORE RECISO
Il tuo sorriso
il tuo gioioso canto
a tanti mancano.
Ben chiaro avevi il senso
della vita
e lievitava il tormento tuo
per l’ingiustizia diffusa
e per i non ricambiati affetti,
tu così solare e bella.
L’amore era nel tuo vivere,
come acqua fresca di fonte,
che purifica dal male.
Ben chiara avevi l’essenza
dell’umana natura e agivi
perché potesse in meglio
mutare.
Ora serena l’universo puoi
contemplare,
le stelle che amavi, le nostre
stelle di Zante e Monemvasia,
ma sempre resterai nel cuore
di tanti,
per l’umile esempio d’amore,
che hai dato, Fanny, figlia mia.
Cetara, 24 febbraio 2008
SEDICI MARZO 1983
Sulla nuca vento marino,
freddo,
come lo sono io dentro,
oggi che avresti festeggiato
i tuoi venticinque anni.
Riscaldami col tuo sorriso,
ora che senza di te ho perso
una parte di me.
Non è più gaio il mare,
come quando vivevamo insieme
lo Jonio e l’Egeo in quegli anni
felici,
plumbeo lo vedo e ostile,
non grembo di mamma,
non elemento primo,
ma luogo di marinai insepolti.
A riviverlo con gioia aiutami,
nel ricordo di te, che tanto l’amavi.
Napoli – Ischia, 16 marzo 2008
UN CRUDELE DESTINO
Si può accettare un crudele destino,
che ha lacerato il cuore in modo
così violento, da renderlo privo
di palpito?
Si può distogliere la mente dal
terribile impatto,
che ha stroncato un fiore fresco
e colorato di bello?
Si può ancora amare il colore
cangiante del mare
o i riflessi di luce cadenti dall’alto
dei monti,
dopo una pioggia liberatoria?
Si possono ammirare le ombre
cinesi, quando il pensiero corre
al corpo inanimato sul ciglio
di una strada remota?
Si può pensare di vivere senza
la tua costante presenza,
senza il tuo incommensurabile
amore?
Napoli, 18 marzo 2008
PRIVA DI VITA
Marmi ben scolpiti, vellutati
sono al tatto
e all’occhio trasfondono mito,
realtà, bellezza.
Il marmo canoviano, che ho
davanti,
la fantasia anima, come i sensi,
e calore dà
al cuore e alla mente, non così
la tua lapide,
senza speranza, che al tocco
dolce della mano,
resta gelida e muta.
Napoli, 22 marzo 2008
FANNY E IL GABBIANO
JONATHAN
Spesso in me rivive l’anima
del tuo Jonathan:
è un modo per parlare con te,
per condividere ancora
l’emozione forte dei cumuli
e dei cirri visti dai diecimila,
per scendere in picchiata su
quel mare in perenne conflitto,
in perenne tempesta,
per andare oltre i limiti
consentiti,
per godere le scogliere nel
loro contrasto unico col mare.
Mare, terra, cielo, Jonathan
Livingston
e la grande poesia di Neil
Diamond,
così, insieme, si godeva
la potenza della natura
e il suo essere libera
nonostante l’Uomo.
Se ripercorro la tua breve e
intensa vita, Fanny,
credo che tu sia stata davvero
un’ amica di Jonathan
e per vederti, guardo sempre
in alto il volo dei gabbiani.
Napoli, 26 marzo 2008
DA JERANTO
Ogni sera ulivi secolari
il tramonto su Capri, con occhio
incantato
e stupito guardano, perché se
la tavolozza
è sempre la stessa, i colori sono
sempre diversi,
come il cielo terso e le nuvole.
E delle nuvole quante infinite
forme!
Le ulive nelle reti aspettano
il mulo
per lasciare il luogo incantato
dove sono cresciute;
le aspetta il frantoio, perché
diano di Jeranto
l’essenza del sole arroventato
dietro i Faraglioni calante;
il cosmo primigenio, ormai
le antiche ferite sanate;
l’eterno ritorno, quello dei
vivi e quello dei morti.
Napoli, 27 marzo 2008
IL CECUBO
È vero ch’ero vinto dal cecubo,
ma le tue mani forti hanno stretto
le mie mani forti, nel vortice d’una
danza,
che fremeva desiderio e ardore
oltre ogni ragionevole dubbio.
Tanta è stata la voluttà dettata
dai gesti e dalle parole,
da far presagire un’altra danza
bacchica,
con mani strette con più forza a
mani,
che con più forza risponderanno,
nel segno di un’attrazione,
che richiama il tragico
dell’esistenza
e insieme l’assoluta voglia
di vivere.
Napoli, 30 marzo 2008
4 APRILE 2008
Di per sé gli occhi parlano,
tutto possono dire di te,
che ami, che soffri, che gioisci,
che non sei più, anche dietro
una maschera funebre o di
Carnevale.
Vita e morte convivono, come
la gioia e il dolore,
e allora espressione vitale è una
danza misterica,
che il fiato toglie e porta a
rimuovere il pensiero
della fine, così che i miei occhi
vivi rimangono
e nei tuoi si specchiano.
E i tuoi, veri, vivi, brillanti, ricchi
di luce sono,
come quelli d’una donna minoica,
che raccogliere
spighe ho visto, chinata nel suo
dinamico e giovane corpo flessuoso.
Napoli, 6 aprile 2008
L’URLO
L’urlo scomposto, trascendente,
gotico,
manifestare può tanto la vita
come la morte,
come l’urlo liberatorio dopo
un travagliato parto,
come l’urlo straziato per la
scomparsa d’un figlio,
che coltivato si è per un tempo
troppo breve.
Anche l’amore ha il suo urlo,
di piacere,
e questo, nel riso e nel pianto
della convulsione,
con l’esistenza concilia e
la certezza dà di vivere.
Napoli, 8 aprile 2008
JONATHAN
Non una stella stanotte,
nuvole, nuvole e ancora nuvole,
né gabbiani vedo volare, non ne
ho mai visti di notte, eppure ora
cerco il nostro Jonathan, amico
amorevole e vero, quando si trattava
di sognare insieme una vita libera,
fuori lo spazio e il tempo,
noi come Argonauti moderni
sospesi sul mare.
All’alba fa’ un cenno Jonathan,
solo tu sei il suo tramite, vagare
negli Inferi non posso, perché sempre
più forte è in me l’ansia di perdermi
o di percepire solo un’ombra tra le
ombre, quando cerco invece il suo
sorriso, il suo parlare sensato,
il suo benevolo, umano affetto
di figlia.
Napoli, 11 aprile 2008
CONSCIO E INCONSCIO
Ognuno di noi nel cuore conserva
quaderni scritti e non scritti, di sé,
i primi,
ricordare vorrebbero memorie
di vita,
gioie, sofferenze e tanti perché.
Complesso è il processo mentale,
che il reale porta a interpretare
e allora ciò che è scritto, l’analisi
sembra di ciò che appare, degli
eventi che ogni esistenza segnano,
delle emozioni, del reattivo fare
di ciascuno di noi,
per convivere in un definito
contesto.
Ciò che non è scritto, il ricordo
frammentato è
di essere andati oltre il tangibile,
oltre l’emozione,
oltre la vita, per sconfinare nel
nulla di nulla,
nel vuoto cosmico, oltre il freddo
o il caldo,
al di là della coscienza,
al di là del bene e del male.
Napoli, 12 aprile 2008
SAN LIBERATORE
Di San Liberatore è questo
cetrangolo, amaro,
come a primavera un giorno
di pioggia
in un colorato paesino
del Mezzodì.
Ma quando i suoi spicchi aspri
con zucchero di canna assaggi,
viene fuori ciò che è la vita
d’un uomo,
un amaro e un dolce commisti,
con note ora alte, ora basse.
A Jeranto ventosa e gialla
di fiori,
il dolce prevale, quando
la baia in pace,
si può contemplare, l’amaro,
invece,
quando si è costretti a partire.
Jeranto, 13 aprile 2008
FERITE
Vibrano le corde quando
nel cesto,
alle foglie secche d’autunno,
si aggiungono petali di fiori
vivi colti in primavera.
Amoroso è il petalo carnoso
e alla morte subentra,
ma questo è solo un gioco
di metafore
sui cicli vitali, perché le ferite,
che puoi percepire negli occhi
d’un uomo,
tutti noi dentro portiamo e non
si cancellano con la bella stagione.
La morte è in agguato sempre,
ovunque,
e la vita annienta.
Napoli, 15 aprile 2008
IL PRUGNO
I bianchi, i rosa, del mandorlo
e del pesco, rivedi insieme
nel prugno,
come l’amore d’una donna e
d’un uomo
rivedi nel figlio.
Così va, che il figlio porta
con sé
il patrimonio dei padri e
come prugno
cresce per poi maturare
propri frutti,
purché non venga bruciato
dal fulmine.
Candida, 20 aprile 2008
PRIMAVERA MATRIGNA?
Forse oggi la natura non vedo più
in modo benevolo, non più rifugio
dalle ansie della vita nel vortice
sociale,
bensì meccanicistica e soggetta a
regole,
che lo spettacolo irrazionale delle
fughe di nuvole o dei mari
increspati travalicano.
La contemplazione delle variabili,
a immaginare la natura come arte,
come trascendenza, spinge,
ma la sua cruda nudità, la furia
degli elementi,
una violenza congenita nasconde,
quella della vita,
che combatte la morte, quella della
morte, che sopraffà la vita.
Forse la natura di per sé non è
il sublime
e l’uomo vi vede solo ciò che
vi vuole vedere.
Napoli, 21 aprile 2008
UN HOMME, UNE FEMME
Voglio pensare Madre Terra che tu
sia felice,
posso immaginare che sia ancora
inondata di luce,
tu che volevi provare l’ebbrezza
d’un mare greco
agitato, maschio e antico; tu che
i sensi annegare volevi
nel risucchio del gorgo dei corpi,
groviglio inestricabile
di ciò che è amore.
La tua volontà aveva reciso
il nodo gordiano
e la nostra vita era divenuta
un tutt’uno,
tu terra, io mare, complementari
nel disegno divino
e ora che sei di nuovo lontana
dal mio sguardo,
ti vivo nel desiderio di riaverti.
Napoli, 23 aprile 2008
RUGHE
Un medagliere della vita sono
le rughe su un volto vissuto,
così è per il marinaio
roso dalla salsedine e dal sole
impietoso,
così è per un uomo, che ha
vissuto il dolore e l’inquietudine,
così è per una donna,
che ha sopportato l’infelicità
e l’abbandono.
Napoli, 2 maggio 2008
PROFUMI
I tuoi sguardi intensi
e profondi,
nell’angolo più riposto
d’uno scrigno,
come gemme preziose,
conservo geloso.
E se ricordo una sera anni
fa a Taormina,
se penso alle sue zagare,
ai suoi gelsomini,
non posso non associare
i tuoi sguardi di ninfa
a quei profumi.
Perché questi sono essenza
di vita,
come il volto d’una donna
nella sua primavera,
avanti che appassisca,
come i fiori senz’acqua.
Napoli, 3 maggio 2008
RUE DE LA BROSSE
Quante volte ho bussato
a rue de la Brosse
e quante volte a via Augusto
Righi?
Non eri a casa dicevano,
e dove?
Per trovarti, disperato, sono
entrato nel labirinto,
che è nella mente, e ho ucciso
quel Minotauro
che mi diceva che eri stata sua
vittima sacrificale,
significando ciò, che non ti avrei
più vista viva.
Il filo di Arianna, me, alla luce
della ragione ha riportato,
ma la realtà è comunque che tu
non apri a chi ti bussa
e non torni alla tua casa.
Tu non tornerai più gioia
delle gioie, perché l’atroce sogno
è cruda realtà.
Napoli, 3 maggio 2008
LUTTO PERENNE
Vorrei ora una guancia sfregiata,
iniziazione alla vita e segno d’onore
per uno Junker, lutto perenne per me,
che, senza requie, soffoco nel dolore,
costretto a vivere d’immagini e di
ricordi, nel suono lontano della tua
voce.
Napoli, 4 maggio 2008
IMMAGINI
Nell’atmosfera tante bollicine,
ognuna un’anima, tanti velieri,
che gli scogli
del mare celeste aggirano,
virando a dritta
o a babordo, in una danza lenta,
in un corpo a corpo, che unisce e
separa e che libra nell’aria
amore libero, fuori dagli schemi
consueti.
Sulla terra legate due anime,
bollicina ognuna
in un vaso di vetro, nell’amplesso
si stringono
per superare gli affanni e
si liberano in una danza
dal tamburo ritmata, propiziatoria,
che dà speranza, forza e non dolore.
Napoli, 7 maggio 2008
DOLCE FANNY
Dalla larva, la crisalide e,
la primavera dopo,
ai campi, la metamorfosi offre
la farfalla leggiadra.
Breve è la vita, ma quanto basta
per dare un segno d’amore, con
scaglie colorate sulle ali, che
danzano tra spighe dorate.
Tu sei stata come farfalla
figlia mia,
a ornare col tuo generoso sorriso
i campi di girasole,
dalle foglie a cuore, come il tuo,
tanti cuori, che sorridono
al mondo senza temere l’onta
del temporale.
Napoli, 9 maggio 2008
NORD
Non vedo altro che grandi distese
di nuvole,
basse, immobili, incise nel cielo
nei loro forti grigi e bianchi.
Ciò con gli occhi solo qui si tocca,
qui tra lapponi e renne, betulle e
pini insieme,
come il giorno e la notte senza
confini.
In questo brumoso, gelido mare
di Botnia,
vita e morte navigano sulla stessa
barca,
come se non esistessero l’inizio e
la fine,
come se la luce volesse congiungersi
al buio, per rimuovere le tenebre
dall’esistenza.
Ma quando torna l’inverno, queste
di nuovo
prevalgono e solo l’aurora segni dà
di luce.
Rovàniemi – Oulu, 14-17 giugno 2008
MONTE SAN COSTANZO
Ho seguito i tuoi passi
ho visto con i tuoi occhi,
mi sono aggrappato ai ricordi
di te,
ai luoghi della contemplazione.
La ruggine nella mente,
non è riuscita a scalfirne alcuno.
Jeranto, San Costanzo su tutti,
dove il silenzio parlava di te,
della tua generosa anima, già a
un passo dal cielo.
Marina del Cantone,
2 novembre 2008
BOLGHERI
Lungo i filari, cipressi, geometrie
parallele,
dall’ombra alla luce, e insieme
guardo l’occasum solis, proprio
di fronte San Guido,
proprio davanti l’orizzonte marino.
La suggestione è inarcare, affondare
l’immagine del sole nel mare,
quando la morte arriva talora avanti,
prima di esistere.
Bolgheri, 29 dicembre 2008
PUNTA CANNONE
Alle bocche di Capri,
i tuoi occhi castani di tristezza
velati, il sorriso cercavano
in un’isola di macchie e pini.
E il sorriso, inconfondibile,
radioso e bello, a Punta Cannone,
arrivò per il mio sguardo
e irradiò di sé un mare blu,
smeraldo;
il sorriso di te, gabbianella,
che nell’abisso nero,
nelle immense profondità
del mare, scendevi in picchiata
per sublimare, col rischio
del volo, ciò che era amore.
Capri, 26 aprile 2008 –
Volterra, 30 dicembre 2008
SABBIE E PIETRE
Tutte care
le sabbie, le pietre della mia vita.
In vasetti di vetro agiti il dono e
prende vita l’amorfo,
senti il vento e vivi colori vividi
e storie distanti.
Da Fanny viaggiatrice e sognatrice,
le sabbie colorate dei cieli distanti
e mai così vicini.
Da Luisanna, la rossa sabbia di
Vadi Rumm di El Aurans e
l’arancio algerino del Sahara.
Da Valeria, delle Maldive il bianco
prezioso corallo, les islas del Rosario,
Bali e Capo Verde picchiettata di neri
puntini.
Da Maurizio e Grazia, Ohau North
Shore, Kailva Kona, Miyajima sacra,
Rancho luna-Cienfuegos, Stromboli
nera lucente e Formentera.
Da Patrizia, Tulum e Varadero Punta
Frances.
Da Anna, Akumal e Leptis Magna.
Ragusa Ibla da Chiara, sorella.
Da Antonia, Cheope e da Antonio,
il viola Venezuela.
Da Nancy, Coral Pink Sand Dunes
finissima e calda.
Da Franco ischitano, Ustica e di
Lefkada, Egremni, tra loro così
diverse le pietre.
L’isla de Chiloé e Calvi, la spiaggia
d’oro, poi di Arutas, bianchi sassolini,
da chi non ricordo.
Da me, Cala Violina Maremma,
l’ocra di Gozo Ir-Ramlia, Nallikari di
Botnia lontano Nord e del Sud estremo
indiano mare, Tamarin e l’isola dei
cervi, Mauritius.
Il sale turco di Tuz Gölü e della Grecia
amica
Melidoni, Sfinari, Elafonìsi, Balos e
Falàsarna.
L’alabastro di Luxor, infine, a lenire
il dolore, che ci portiamo dentro.
Si viaggia anche così, nel ricordo
degli amici.
Napoli, 29 settembre 2007-
Cala Violina (Scarlino), 2 gennaio 2009
SOPRAVVIVERE
Alla Cala Violina, di nuovo
s’inizia,
dopo un terribile bisesto, in cui
il pensare
è stato proprio un non pensare.
Qui, come allora, come sempre,
questa sabbia armonica a un
concerto di pace fa sperare,
fra la forza del mare e l’incudine
della dura roccia,
tra la Madre e il Padre, con nel
cassetto gli affanni e nelle mani
grani finissimi, ogni grano un
ricordo.
Tanti sono quelli che ognuno
di noi porta con sé, soprattutto
quando perde l’aquilone,
pur inseguito con forza nell’aria.
Cala Violina (Scarlino), 2 gennaio 2009
L’IO DIVISO
Scegliere
tra l’etica e il chiaroscuro,
tra il duraturo e il fuggevole
il riconoscente e
l’irriconoscente, l’amore
e l’odio,
è qui l’Io diviso.
Scegliere
tra il pieno vivere
o il lasciarsi andare
nella quiete delle ombre,
che ora nuvole pigre
disegnano sul mare, sino
a lambire Montalto,
vero muro tra le emozioni
di Jeranto
e la geometrica normalità,
è anche qui Io diviso.
Marina del Cantone, 11 gennaio 2009
BEI RICORDI
Fanny, vivo con te nell’Egeo,
sempre con te, tanti ricordi
e le mosche di kafenìon,
che ci pizzicavano le caviglie,
tu a leggere, io a scrivere,
in una Diafàni senza tempo,
ma piena di luce.
Napoli, 19 gennaio 2009
LACRIMATOI
Pietre, legni, corde, ferro,
tutte le età dell’uomo,
in lacrimatoi di terracotta,
aggrovigliati,
come cornucopie sbagliate
della dea Fortuna,
in cui il pianto, per te, era
ancestrale dolore.
Il sogno è un viaggio nella vita
e può produrre lacrime di pietra.
Nei tuoi lacrimatoi, ieri, io vidi
le tue,
le mie, oggi, su una gelida lastra
di marmo, tu vedi.
Napoli, 4 maggio 2007-1° febbraio 2009
[dopo aver guardato una mostra
del caro amico scultore Francesco
Alessio]
LE NOSTRE VECCHIE CHIESE
Quante cose hanno visto i sagrati
delle nostre vecchie chiese.
Quanto hanno visto.
Amori, promesse mai mantenute,
diritti d’asilo e chi le bronzee porte
non riusciva a varcare, massacrato
tra le colonne, tra le bestemmie
di chi trapassava da parte a parte
e le sue.
Quanti pentimenti sui sagrati
delle nostre vecchie chiese e
quanto parlare, quanto sparlare,
quanto il ceto ostentare,
quanto desiderare
quanto amare,
quanto odiare.
I sentimenti tutti,
sui sagrati delle nostre vecchie
chiese,
come le esequie e le nozze,
i battesimi, che a esser cristiani
portavano, senza consapevolezza
alcuna.
Quanto pregare nelle nostre
vecchie chiese,
quanto vedere l’abbraccio
consolatore del Crocifisso.
Quanta fede hanno visto
le nostre vecchie chiese
e quanta poca fede,
anche la mia.
Napoli, 5 luglio 2009
EROS E THANATOS
A Beatrice Niccolai
Vita e nulla inesistente contrapposti,
come l’oblio e il ricordo,
ma tu donna del Mugello,
che canti
gli amori perduti, il mistero dei campi,
delle tue stagioni sparse nella memoria,
tu vuoi esistere nel ricordo di una
cantina, ubriaca di lui, umida dei suoi
baci, che hai ancora in seno e sulle
tumide labbra,
come lui di te il temporale.
Tu vuoi esistere
e vivere le cose semplici della vita,
non vuoi morire al pensiero della morte,
che tutti attende,
e sai bene che l’assenza del ricordo
è come morte dell’anima,
di qui anche il presente, fino in fondo.
Napoli, 5 luglio 2009
QUANDO DORMIAMO
Quando dormiamo siamo più belli,
dicono le mamme, le mogli, le amanti.
È il tremore della vita,
che ci indurisce nello stato di veglia,
che indurisce il ricordo delle ore felici.
Ma queste, il vento mormora nell’anima
di chi ha amato e come uragano danna
quella di chi il confine dell’odio ha
varcato.
Napoli, 6 luglio 2009
MUSIQUE DE CÉLINE
MONTMASSON
a Céline,
fotografa dell’anima
Musica componi con
le immagini.
Note fatte di colori, di piani
su piani,
in uno spartito, in cui il blu
traluce
dall’acqua di un rivo di
Francia,
il giallo dalle spighe di grano
maturo,
il rosso fuoco dell’amore
dai fiori.
In tutto si specchia il quadro
del tuo animo, tra freddo
e caldo il contrasto,
come per te lo sono
la tristezza e la gioia.
Napoli, 7 luglio 2009
IL VIAGGIO DELLA VITA
A Chiara sorella
Tante sequenze i miei viaggi,
come foto su celluloide fissate
dagli occhi
attraverso finestrini in corsa
col vento.
Pianure, monti, pascoli, fiumi
da ponti di ferro, alberi quanti
alberi, casolari, case su case,
porti, confini di stato, pullulare
di volti,
attraverso finestrini di auto e
di treni in corsa.
Tante sequenze, quanti ricordi,
questi i viaggi con Chiara sorella,
fino ai vent’anni.
In lotta col tempo che passa,
senza tornare indietro,
il viaggio della vita continua,
e quell’anfora,
che viene dal mare, lì al centro
del quadro,
tutti li contiene i ricordi, proprio
tutti, recenti e remoti.
Né togliendone il tappo,
i mali del mondo e la morte
agli uomini darebbe Pandora,
bensì la vita, la gioia di vivere e
ancora vivere,
che solo il viaggio e gli affetti
possono dare,
anche quelli per sempre perduti
Napoli, 8 luglio 2009
A UNA DONNA DEL SUD
Il viso che si riflette sul vetro,
tenue, pensosa rende
la tua mediterranea bellezza
e un ricordo indelebile lascia
nella memoria,
non uno fra i tanti segni,
che puoi incontrare nella vita,
ma quello, che hai trovato
in una donna
appena smorzata dal tempo,
che anche i fiori appassisce.
Dietro la dolcezza per gli anni
vissuti,
la bellezza interiore, data dalla
luce,
che emanano gli occhi vivi,
i tuoi occhi di donna,
che sanno vedere il fondo
dell’anima.
Napoli, 9 luglio 2009
LETTERA APERTA A
AUNG SAN SUU KYI
Al tempo dei re assoluti,
delle dittature in Europa,
come da te in Birmania oggi,
il carcere, il rogo, il lager,
il gulag
per punire i dissensi politici,
i Giordano Bruno, le streghe
o chiunque, dalla vendetta
ingiusta e sottile, dall’odio
razziale, religioso, fosse stato
colpito.
Ora penso a te Aun San,
con la forza zittita,
come penso ai moriscos,
ai marrani, al tempo di
Torquemada,
al quale una parola, un rigo,
per spegnere un’esistenza,
bastavano.
Al tempo d’oggi, delle
cosiddette democrazie,
cara Aung San Suu Kyi,
diversamente capita, ma
quando la menzogna
e l’ingiustizia colpiscono,
i rimedi spesso sono anche
peggiori,
perché col giudizio infamante
della gente stolta,
con l’isolamento e la morte
civile e morale,
la vita ugualmente stroncano.
Chi meglio di te,
l’ingiustizia conosce,
quella che il tuo popolo subisce,
e sai anche che ciò può portare
alla sfiducia verso il proprio simile,
gli amici più cari, persino i parenti,
come avveniva a Mosca, a Berlino,
a Pechino, o oggi a Teheran o nella
tua Yangon,
dove sei stata detenuta e di nuovo
detenuta,
per aver difeso i diritti violati.
Cara Aung San Suu Kyi,
alla violenza non hai risposto
con la violenza,
come accade invece a chi la
Virtù non possiede,
non solo quella cristiana.
È questa la tua forza, la tua
straordinaria forza,
che a tutti è di lezione.
Napoli, 10 luglio 2009
IL SILENZIO
Dall’omega all’alfa,
per riaprire i cicli vitali,
quelli, che partono dai silenzi
degli stiliti
in cima a una colonna,
per arrivare ai suoni
delle campane nei borghi e
poi nelle città anonime, solo
animate dal calpestio di masse
senza nome,
senza religione, senza cuore.
Ma questo suono della
coscienza l’individuo,
come singolo uomo inteso,
riaprire può
e parlargli intensamente
di ciò che è il colore dei
campi.
Napoli, 11 luglio 2009
AMORE, AMORE, AMORE
Alla tua carezza sorridevo,
amore.
Al tuo abbraccio fremevo di
desiderio, amore.
Al tuo bacio provavo il tuo
languore, amore, e,
nell’amplesso, i miei occhi
erano i tuoi, amore.
Al commiato, ero distrutto e
la notte senza te malinconia
pura, amore, e il tuo cuore di
donna si stampava sul mio,
fino ai primi albori, amore,
e tutto con te riprendeva fino
a sera, amore,
come oggi a Capri,
a Pizzolungo, amore,
sovvertendo noi la fisica degli
umani e librandoci nel vuoto
della falesia, tra l’energia dei
quanti, che era in noi,
e lo spazio e il tempo dilatati
da ciò che era amore.
Napoli, 10 luglio 2008 – 11 luglio 2009
NASSYRIA
Al Caporal Maggiore
paracadutista, Alessandro
Di Lisio, caduto oggi,
in Afghanistan,
in un vile agguato.
Dal tuo abile scalpello, dal tuo
generoso ingegno, tu che come
aquila hai volato sul Lago Vittoria
a difendere i deboli di Chiga, dalla
quercia dura, poi bronzo lucente,
un gruppo terso nell’anima,
un gruppo di Martiri, oblunghi,
stretti nella morte, levigati nei volti,
come anonimi nel sacrificio, dono di
sangue di chi per la pace trarre ha
voluto
dal dolore il sorriso.
Napoli, 14 luglio 2009
[guardando la scultura, prima in legno,
poi in bronzo, di Osvaldo Moi – Premio
Nobel per la pace, New York 1988 –
realizzata in memoria dei 19 Martiri di
Nassyria e simbolo dei caduti di tutte le
guerre]
SULLE AFFINITÁ ELETTIVE
La chimica due corpi
avvince,
quelli d’un uomo e
d’una donna, e l’animalità,
che è in noi, terreno
fertile trova e inizio dà
all’innamoramento, meglio,
alla reciproca ineluttabile
attrazione.
Dal bacio appassionato,
vera prova di erotica affinità,
all’amplesso dei corpi, al fare
l’amore nel trasporto,
nell’intreccio inestricabile,
unico, indimenticabile,
al viaggio insieme nella vita.
Il nostro passato, le sofferenze
patite, gli ostacoli materiali,
le mille paure, noi nell’animo
ancora ragazzi, l’umore instabile
nel giorno, tante e ancora tante
variabili si frappongono,
tra ciò che si ha e ciò che
si vorrebbe per sempre.
Quindi alla fisicità, alla chimica,
all’eros comuni, aggiungere
occorrono le affinità elettive,
che vedo nella reciproca simpatia,
nell’assonanza d’idee,
nelle caratteriali compatibilità.
È qui che la durata dell’amore alla
prova si mette, come i sentimenti.
È qui che il razionale e l’irrazionale
vengono a congiungersi.
È qui che l’amore fisico diventa
Amore.
Oppure tutto è vissuto
in modo ossessivo, anaffettivo,
un sesso folle e i progetti solo un
nulla, un reciproco carpe diem,
che porta a vivere giorno per giorno,
senza che i sentimenti si radichino,
senza il necessario rispetto, nel
litigio continuo, per arrivare all’odio,
all’odio puro, distillato, partorito
dall’incomprensione
e dall’incapacità di capire
e di amare.
Napoli, 17 luglio 2009
COLORI DI LAURA
Ocra e azzurro
nei tuoi paesaggi dell’anima,
come soffi di vento rosa,
il tuo animo tormentato di
donna
addolciscono e stemperano
i freddi duri come il ferro,
che nei corpi vivi trovi,
ma tratteggiati
da linee d’angoscia,
che si confondono nei fucsia
blu bordeaux verdi,
gelidi nella loro disarmonica
crudezza.
Col rosso del tuo cuore
contrastano
gli aculei neri delle erbacce,
che rompono il campo visivo,
ma quel campo di colori in
fuga
il profondo tocca e è rottura
e continuità
nell’arancio del deserto,
che ritrovi nella superba marina,
con quei blu vari, profondi,
che demarcano la terra dal mare,
il finito dall’infinito.
Ancora minacciose nuvole
incalzano,
in lotta tra loro, come tromba
d’aria,
e non sono che l’uragano,
che è in te
e che ti trascina verso una luna
arcigna, che guarda i tuoi
scatenati elementi contro l’isola,
che è dentro tutti noi,
tanti Robinson Crusoe
in cerca della via maestra,
che ci riporti in un porto
sicuro,
non in un porto sepolto.
Napoli, 23 luglio 2009
[guardando i quadri della cara
amica Laura Bottaro]
IL DESERTO E IL NILO
Sabbia morta è il deserto
e senza terra di nessuno il mare
baci
e come muraglia cinese, linea
infinita,
un mondo dall’altro dividi.
Sabbia senz’acqua,
dolce al sole arancio,
solo per le tue piste vivi
e per il ghibli caldo,
secco, che dal sud improvviso
sconvolge le dune.
Ma ecco il Nilo di Nefertari
tanto bella e divina,
ecco la forza dell’acqua regina,
che il deserto divide
e lascia Osiride custode dei morti
al suo amaro destino.
Ecco il loto che a valle scende per
abbracciare il papiro,
ecco il verde del Nilo e rettangoli
infiniti ricchi di messi
ecco le palme nubiane e quelle
che fino al delta vedi
ecco la vita che cancella la sabbia
senz’acqua.
Napoli, 4 agosto 2009
ANCORA SU “L’IO DIVISO”
Germoglia l’odio,
come l’amore, nella natura
umana,
e amore genera amore,
come odio genera odio
e dall’amore può discendere
l’odio,
come dall’odio il prossimo,
come se stessi, si può arrivare
a amare,
come Paolo di Tarso, persecutore.
Ecco allora l’Io diviso, non
manichea scelta, tra il bene e il male,
ma giusta misura da dare a amore
odio,
odio amore e l’ago della libra verso
l’amore spostare.
Nel bene vi è anche il male, anche
l’odio cova e in antitesi non sono,
ma in misura diversa in noi sono,
a seconda delle nostre particolari
storie,
a seconda dei vari accadimenti della
vita di ognuno di noi.
Come se l’integralismo
non fosse intolleranza – odio
come se l’invidia per la ricchezza
altrui non fosse invidia – odio
come se le ideologie
non portassero a divaricazioni – odio
come se il colore della pelle
non portasse a discriminazione – odio
come se l’amore
trasformarsi non potesse in odio
e poi, succede, di nuovo in amore.
Tuttavia nessun bambino ha l’odio
in nuce,
ma poi più grande arriverà a conoscerlo.
Tuttavia nessuno odia, è tabù, la parola.
Come se l’odio fosse riprovevole e
appannaggio di pochi
come se l’odio non fosse uno degli
umani sentimenti
come se le guerre fossero solo delle
formiche e delle termiti
come se l’odio fosse solo nella grande
storia e non nelle nostre
piccole quotidiane storie.
Come se Gesù non avesse usato violenza
nel Tempio.
L’ipocrisia, la massima ipocrisia è qui,
dare agli altri l’odio,
che in noi stessi cova.
È anche qui Io diviso.
Napoli, 18 luglio – 9 agosto 2009
NAPOLI SEGRETA E ANTICA
Nel cuore della Sanità magica,
voci misteriche sommesse
di animulae vagulae et blandulae,
dal profondo d’un antro cumano,
scolpito col sangue da mani antiche
ferite,
la mente sorpresa invadono e questa,
inquieta, incredula, scappa e
il pensiero attonito rivolge alle
aspidistre, al rosso fuoco delle camelie,
che la strada aprono
a limoni aranci cachi e mandarini,
vera gioia di questo segreto giardino.
Alle luci delle fiaccole soffuse,
in una tiepida sera d’estate,
questo chiostro sereno, inaspettato,
silente, di millenaria storia pregno,
che incontrare puoi nel ventre della
Napoli più antica, il senso dà del
passato,
fatto di tufo apotropaico, di blocchi
di pietra squadrati, solidi,
che con toni bassi e gravi sussurrano
di antiche memorie e di antiche storie.
Radioattivi, elettrici, eterni, da reggere
secoli, come i versi dei poeti greci,
in un mondo fatto di corporeo e
incorporeo,
di voci che tengono il filo tra la vita e
la morte,
tra credenze pagane e cristiane.
Napoli, 12 luglio – 12 agosto 2009
IL FALCO E L’AQUILA
A Giuseppe Maggi,
grande archeologo
e amico
Geràki, su una collina appollaiata,
castello franco, già greca, monti e
pianure e Sparta lacedemone guardi,
come da noi Gerace calabra, tra le
dolci Serre
e l’Aspromonte selvaggio.
Voi, la memoria riportate a Hieràcon
polis, la tua città, Horo,
dio dal maestoso Tempio,
da cui tutto il corso del Nilo domini,
da Abu Simbel a Tebe a Memphis,
la tua forza unendo l’Alto e il Basso
Egitto.
E tu occhi di falco,
dai potenti artigli e dalle ali lunghe,
ora sei pellegrino, ora gheppio,
ora girifalco, ora smeriglio
e come turbine sulla preda, più
dell’aquila, veloce, in picchiata ti
abbatti e la nuca col becco spezzi.
Tu falco, io aquilotto macedone,
come quello, che, a Kastorià,
fiero raccolsi e curai e coccolai,
sognando ragazzo, la libertà dei
cieli,
ora dominio di missili distruttori,
di vorticose eliche e ultrasonici
motori.
Napoli, 20 luglio – 13 agosto 2009.
FÁRSALO O DELLA
GRANDEZZA DI CESARE
al carissimo amico,
Bruno Ciannelli
Quando attraversasti il Rubicone,
il tuo destino segnasti, Caio Giulio
Cesare, quello del tuo potere e della
tua morte.
A Roma, dopo le stragi in Gallia,
la forza tua temevano.
Tu, che assediante e assediato
insieme, il sangue dei tuoi nemici,
a fiumi, vedesti scorrere a Alesia,
come i Parti videro quello di Crasso
a Carre, l’antica e gloriosa Harran,
come Annibale quello di Lucio
Emilio Paolo Console, a Canne,
dopo le Forche Caudine, le due
grandi cocenti sconfitte di Roma.
Anche Pompeo ti temeva Cesare
e le sue legioni contava, tante più
delle tue, ma senza colpo ferire tu
la Spagna domasti e poi a Durazzo,
cingesti lui d’assedio, per inseguirlo
fino alla piana di Fàrsalo, ora Larissa,
ove io ragazzo, da mio padre ben
istruito, l’errore di Labieno vidi
sull’ala sinistra, che Pompeo portò
nella polvere, egli sovrastante in
cavalli e uomini, egli valente, egli
di vittorie carico, egli gloria
di Roma.
Questa è la mia poesia epica, per te
amico mio.
Era il 48 ante Christum natum
e Pompeo Magno la testa offriva a
Tolomeo vile e tu Cesare, pure
Magno, ne piangesti la morte,
quella d’un grande romano e
l’ira ti prese la mano.
Napoli, 21 luglio – 13 agosto 2009
IL PIANTO E IL RISO
È il sole come il cuore
di ciascuno di noi?
Allora piange anche lui,
allora sa piangere
come le foreste pluviali
o la terra bombardata
da meteoriti, oggi da bombe,
sa piangere,
come gli uomini e le bestie,
quando soffrono.
Ma tu sai che solo a queste
non è dato piangere di gioia,
solo a queste non è dato ridere,
quindi il pianto, che dal tragico
della vita viene,
è di tutti, mentre il riso solo
appannaggio è dell’uomo e
del sole.
Napoli, 13 agosto 2009
“LE VENT NOUS PORTERA”
Nell’ignoto i venti ci guideranno,
anche la nostra anima ne ha,
in noi intera è la rosa
e ci porta lontano
o ci precipita nell’oscurità.
Inconoscibile è il domani,
solo chi guida i venti lo sa.
“Le vent nous portera”
il mio tesoro cantava,
e, come Orsa Maggiore,
i suoi occhi brillavano,
ma la vita amare non basta,
da vivi, occorre viverla.
È Fanny che oggi guida i venti
della mia anima, quella di tutti,
è lei che sorride al destino,
è lei che ne fa capricci di mare.
Napoli, 15 agosto 2009
IL BUIO DELL’ANIMA
Nascosta nella notte
luna calante,
in un sussulto i tuoi occhi
un sogno oscuro hanno
aperto, come la luce del
sole li socchiude ai vivi.
Un buio sporco
i tuoi occhi hanno aperto.
Non lo capisci
non lo ricordi
lo hai rimosso,
ma le pupille ormai fissano
il nulla e le orbite ruotano.
Neanche un insetto
solo la tua coscienza
dice che forse vivi
in realtà è tanto che sei morta,
dentro.
Napoli, 16 agosto 2009
GERUSALEMME
In nessun luogo,
più che a Gerusalemme
Città Santa di un solo Dio,
vedi cos’è la fede.
In nessun luogo,
più che a Sion o sulla
spianata delle moschee
o fuori la porta dei leoni
o nei sinedri
o nelle sinagoghe
o nelle chiese sante,
è più disperata, arrabbiata,
solenne, arcaica, la preghiera.
In nessun luogo,
tutti insieme, trovi
incenso ortodosso, copto,
armeno, cattolico, melchita,
l’olio di nardo,
con cui Maddalena unse
Gesù,
i salmi ritmati degli ebrei,
gli inviti alla preghiera
dei mu’adhdhìn.
È come se la fede,
l’ultimo tentativo, l’unico
appiglio, fosse per dare a
sé stessi una ragione in più
di esistere come individui,
come lingua, come razza,
come popolo.
In nessun luogo
tutte le radici della quercia,
dell’ulivo,
forza e pace, tanto vicine
alla violenza e all’odio,
e quanto è importante
possedere la chiave di questi
luoghi santi, sulla tua roccia,
Gerusalemme.
La ragione è in tutti. Amen.
Napoli, 3 settembre 2009
PETRA
A volte, parla la morte,
la senti
a Pantalica necropoli antica,
immota nel tempo,
al Cimitero marino di Valéry,
vero tumulo d’Europa rosa
dai vermi,
nei cimiteri di guerra, ovunque
sparsi, fatti di giovane sangue,
in rivolta,
nelle Piramidi o nelle valli dei
re o delle regine.
Ne ho viste di tombe, anche la mia.
A volte parla la morte
la sua storia urla con le croci più
varie,
con semplici nomi, date, luoghi
o con grandi cartigli di re
o con tutte le gesta affrescate,
come Kadesh a Abu Simbel,
nel Tempio del grande Ramesse,
doppio l’arco, doppio il braccio
saettante, doppio il carro.
Ne ho viste di tombe,
ultima Petra
e anche qui ho sentito la morte
parlare,
ma nulla di scritto ho visto,
solo i mille colori nell’arenaria
scolpiti,
i mille colori della città rosa,
che a sera rivive misterica,
sotto un cielo fiorito di stelle,
nitide, pure,
e alle luci di fioche candele
e al dolce suono del flauto,
che la scena illumina, senza
un filo di vento,
se non quello dei morti.
Napoli, 12 settembre 2009
FURORE ALTO
Di fronte a me, un mio quadro.
Un albero spoglio e, giusto al
centro, un bianco chiarore, che
si dilata ai lati.
Sì, il confine tra mare e cielo
manca.
Li abbraccia tutti e due e
l’orizzonte
infinito, questa volta, nel nulla
sparisce,
perché così si presenta, a volte,
il giorno e si confonde con
la tristezza, che, a volte, è in noi.
Napoli, 26 settembre 2009
PER ALDA MERINI
Sulla costa scoscesa a gradoni,
ad pastinandum da tempi remoti,
biancolella e pepella, degli aromi
della salvia e del timo si tingono
e il mare turchese a Marina di
Praia ingentilisce nel nome di Alda
Merini,
dai vivi come dai morti voce
ascoltata, dalle onde dei marosi,
come dalla quiete, dalla coscienza
vigile, come dal tormento,
che viene dalle grida di anime
inquiete, che moralmente stare
non vogliono al gioco delle ipocrisie,
nel doloroso travaglio della mente.
Di qui lo scrivere o il fermare per
immagini, come il pittore, che ho
incontrato oggi, nel mentre ridava
anima a colori bruciati dal sole e
dal tempo e movimento ai cavalli
nella corsa sfrenati,
come alla danza delle ninfe
fecondate dall’ebbrezza del vento
marino, che sale fin su a Furore
Alto, dove sussurrano il mito e
la storia d’Amalfi.
Tutto questo nel giorno dei Santi,
che precede il giorno dei Morti.
Napoli, 1° novembre 2009
[poesia che ho scritto alla notizia
della morte di Alda Merini, dopo
essermi immerso nella mia tanto
amata Costiera amalfitana e aver
visto all’opera il mio caro e vecchio
amico pittore, Antonio Oliveri del
Castillo, nel tentativo di restaurare
un suo murales a Furore Alto]
MONTE SANT’ANGELO
A TRE PIZZI
Su Positano, a Santa Maria
del Castello,
rubrato aglianico nelle vene
scorre, in tuo nome,
Sant’Angelo a tre Pizzi,
mentre fitta nebbia, tutto
ti copre, come le brughiere
nel lontano Nord,
tu che domini il mare e avanti
i monti, fino ai Faraglioni di
Tiberio Augusto,
tu che hai visto i barbareschi
all’assalto di miti e operose
coste e i pescatori, come tutti,
fuggire per irte scale di pietra
su su fino al Castello,
tu che hai visto quel mio Angelo
di figlia cogliere pannocchie
aranciate, su una scala distese,
che portava a una Chiesa e a
una Croce, ora la sua.
E qui, solo pace,
ché lo Zefiro soffia, dai Campi
Elisi.
Santa Maria del Castello,
8 dicembre 2009
RAVELLO
D’autunno, l’ultimo giorno,
il marsia paestum “ogni male
stuta”.
Non giorno di brume,
ma come Primo Vere, serena
luce.
Qui il Parsifal iniziò
e qui la normanna regina
il cuore aprì al sole del
Mezzogiorno.
Qui, dove arabi archi a ogiva
il romanico sposano,
dove alligna pure il papiro,
come la ducale pergamena e
bizantina,
dove, ora, i colori spenti,
vivi esploderanno al prossimo
equinozio,
in tutta la gamma dei toni caldi
del cuore
e parleranno, nel gergo proprio
dei fiori,
dell’anima di ciascuno di noi
e dei momenti felici.
Scala, 20 dicembre 2009
IL GHIACCIO E IL FUOCO
Dalla Mer de Glace,
all’Aletschfirn
e al tanto caro Langtauferer
ferner, ghiaccio eterno, tanto
ghiaccio, puri cristalli, perfetti
esagoni, che purezza danno,
come il perenne fuoco dell’Etna,
quello che è dentro la Terra
e con l’acqua dà vita a tutte le
cose.
Fuoco e ghiaccio,
opposti e uguali insieme.
Il ghiaccio il dolore lenisce
e dà una dolce morte,
come al cacciatore di Similaun,
ma permette anche l’immane
tragedia dei Gulag, o le Retraites
de Russie, di tanti eserciti
sconfitti dal gelo.
Un senso di puro
e di pace dà il bianco abbagliante
e porta a sognare e a pregare,
quando le creste dei monti più alti
tocchi, là dove l’infinito è sovrano,
là dove si palpa il divino.
Il fuoco gli eretici purificava e le
streghe, da Hus alla santa pulzella,
arsa a Rouen, a Savonarola e
Bruno, generatori d’idee.
Nel cuore dell’Urbe cattolica,
un Campo de’ fiori a nobilitare
un’abiura mai venuta e
la Cancelleria tetra, da cui gli eroici
furori d’un Uomo, il palco, le fascine
e il fuoco senza paura,
senza rimpianti guardavano.
Questi i ricordi più alti.
Il massacro nei Campi fatti di forni,
invece, inermi e ignare masse ha
colpito.
È stato del tutto insensato
e nessuna giustificazione a ciò,
l’uomo, la storia, possono dare.
Ma il fuoco è anche caldo
e brucia i panni degli appestati
e cauterizza e ristora.
È anch’esso sacro e divino.
Napoli, 24 dicembre 2009
TOMMASO CAMPANELLA
“Sono santo! abbi pietà! ohimè,
Dio, che son morto! ohimè, Dio,
frate mio! lo letto mio! Marta
e Madalena! ohimè, cor mio!
E come mi strengano forte le mani!
Oh, che son santo e non ho fatto male
e son patriarca! Aiutami, che moro!
Mi se’ parente e mi fai queste cose?
oh, mamma mia!, oh, misericordia!
oh, Cristo mio!
E l’altra notte fra Dionisio mi portò
lo breve de la Cruciata e non me lo
volete dare mo.
Ohimè, Dio! E come mi strengio
forte! Io mi stroppio”.
A Castel Nuovo, sotto supplizio detto
“la veglia”, ciò Campanella asseriva per
fingersi pazzo, per allontanare il ceppo
e la scure, egli che la sua utopia aveva
fondata sul sole, egli che non voleva la
sua testa nel cesto,
come Tommaso Moro invece volle.
L’utopia, il principio, la scomoda verità
alla morte condurre possono,
come accade che si finga la follia per
continuare a pensare, a scrivere sul sole,
ma anche che si dia del pazzo a chi non
lo è, per evitare la morale gogna,
il ludibrio, la condanna della storia.
Napoli, 30 dicembre 2009
IL NARCISO E IL GELSOMINO
La parvenza dell’essere
in te narciso e in te gelsomino
è color corbezzolo carico
e giallo citrino,
quando l’olio essenziale poni
avanti una fiamma.
L’essere è il profumo estremo
da quintali di sparsi petali,
colti negli oceani, nei fiumi,
nei laghi abitati da ninfee a da
ninfe figlie del Mito.
La parvenza dell’essere
in noi uomini è nel viso,
specchio dell’anima
-così i cantastorie dicono.
Quindi al sorriso angelico
dovrebbe seguire un soave
giardino, quando invece può
essere un demonio, come per
tutti i Faust, in giro.
Allora è meglio una Gioconda,
ambigua e sottile, che pone il
dubbio, ma che non inganna.
Ma è vero anche,
per il narciso e il gelsomino,
che quando ti rapiscono
con l’eccesso del loro profumo,
ti stordiscono e ti abbattono,
fino a morirne.
Napoli, 12 gennaio 2010
LA BAIA DI NAPOLI
Alle quote più alte, oggi,
laddove un tempo era padrone il fuoco,
un Vesuvio, rivestito d’un niveo manto,
le pendici e la piana intorno sovrasta
e il suo primato sul Golfo più bello
tuona, la Baia di Napoli, le cui
meraviglie Goethe spigolò con nordico
pudore, come i colori contrastati della
città, dei caratteri, degli umori,
dell’umana miseria, dello sfarzo altero
dei potenti.
Egli non vide che il bianco dell’Etna,
dalla sommità dei Monti Rossi,
e dello Sterminator Vesevo,
il rosso fuoco e, primavera inoltrata,
il giallo dell’odorate ginestre, che
Leopardi fece poesia, a un passo
dalla città che giovane lo rapì,
una città ferace,
a volte feroce, ma che sempre ispira.
Napoli, 13 gennaio 2010
L’ACQUA NON MUORE
Oggi, il cielo vedo matto,
una volta cinerina, quando ieri
alle vele in rotta verso di Sorrento
il Capo, il suo sorriso spiegava
il sole,
su un velo di mare increspato,
che al nuoto incitava,
come tra Portovenere e Lerici,
un tempo i poeti.
Nuotare tra onde in moto perpetuo
è come correre tra basse nuvole
scolpite nel granito per l’assenza
di vento?
A Oulu come a Rovàniemi,
lassù al circolo polare,
il bacio degli amanti,
il soffio di Bòrea
puoi vedere, come Orione
fulminato dallo scorpione di
Artemide.
Ecco il bello del mare.
Ecco il bello del cielo.
L’onda si tramuta in nuvola
e questa può essere scultura
fantastica, plastica, immobile,
come astronave pronta al
decollo,
per scoprire lo spazio infinito.
Napoli, 17 gennaio 2010
HAITI, 13 GENNAIO 2010
A Port-au-Prince,
come nella piana di Kanto
o a Nau-Shan o a Tientsin,
Tangshan o al largo di Sumatra,
il mattutino, le lodi, i vespri,
la compieta e tutte le ore dalla
prima alla nona, cori di morte
scandiscono, non preghiere,
e i gregoriani canti
solo lenire possono il dolore.
È polifonia di strazianti urla
di madri in cerca di figli sepolti,
di figli in cerca di madri sepolte.
Ora le palme sono spoglie, morte,
come appassite del tabacco
le foglie, come piegate dall’odore
di morte le verdi canne, nel lutto
inconsolato, che tracima dal lago
mefitico, corpi privi di vita,
per uno squasso di terra,
per il capriccio delle faglie
o dei magmi incandescenti,
che senza requie, da sempre,
morte e pianto portano ai vivi.
Napoli, 19 gennaio 2010
DIO È LA NATURA
Dio è la natura, il vento.
Dio è lo tsunami, il tornado.
Dio è il Signore della guerra.
Dio è la shoah e i gulag.
Dio ha voluto suo Figlio
in croce.
Dio ha voluto mia figlia,
ancora ragazza, morta.
Tutte prove da sopportare?
Da creparne?
Ora a Haiti
crepa la terra e seguono
il loro corso le geologie,
le geofisiche, le geotermie,
le storie di ciascuno di noi
ubicati, ora, in terre primarie
e sicure, ora in terre nuove,
fratturate, mortali.
Hegel avrebbe trovato un che
di razionale, nell’eterno dolore,
che è la vita?
Kant la critica del giudizio
scrisse per dare un ruolo
salvifico all’arte.
Dio non può nulla,
né nel bene né nel male,
ma il nostro libero arbitrio esiste,
come esistono tutti gli Elementi
causali e casuali,
che determinano il nostro destino.
Napoli, 19 gennaio 2010
PASSIONI
Improvvisa giù l’acqua
è venuta,
qualche nuvola e l’azzurro
al mattino, poi altre compagne
a aggiungersi,
ora un cielo plumbeo i bollori
a smorzare,
ché i sentimenti e i sensi sono
di fuoco.
Magma non inerte,
ma foriero di vita libera
come quel violoncello,
che spargerà
note calde nel sangue,
quelle di Scarlatti o Vivaldi,
in un giorno non più indefinito,
non scelto a caso,
ma dallo scorrere del fiume
rosso che è in noi.
Napoli, 14 maggio 2010
L’AMPLESSO
Vorrei baciarti amore
e le nostre due lingue rubre
a battere e ribattere come onde
e nella risacca,
i nostri due corpi avvolti di spuma
in amplesso eterno, su e giù come
il mare
e vorrei godere la dolcezza
dei corpi avvinti tra loro e godere
l’umore dei nudi,
come il treno sulle rotaie,
quando l’amore fa con lo spazio,
in sincronia col tempo.
Napoli, 5 giugno 2010
ALBERI
Nelle radure delle anime
sole,
i salici a piangere gli affetti
lontani o perduti,
ma quando non si è soli,
quando ci si stringe,
i pini del mare, a guardare
il sole abituati,
riscaldano i cuori e i corpi
e con i loro aghi pungolano
all’amore.
Napoli, 6 giugno 2010
CALIFORNIA
I miei occhi sono verdi,
i tuoi celesti, come la pietra
turchese
o come il cielo più bello
in un sereno d’estate
o come il mare quando
lambisce la sabbia dorata
di una spiaggia di ninfe,
sorelle tue in amore.
Una meraviglia i tuoi occhi,
che cantano parole dolci,
come rugiada
e che entrano nel cuore della
California, nel mio cuore.
Napoli, 9 giugno 2010
LOVE
Stringi stretti i fiori,
tra le mani, stretti, i fiori,
perché il nostro destino
già nelle stelle
del firmamento è scritto,
come il nostro primo bacio
un giorno di sole,
con onde alte e forti
a proteggere
il nostro candido amore.
Napoli, 12 giugno 2010.
L’ALBERO
Non voglio perdere
una sola stilla del tuo
cuore,
una sola tua parola,
le tue dolcissime,
come il miele
e quando l’albero
si abbatte su di te
per non farti parlare,
io soffro.
Napoli, 13 giugno 2010
MYCONOS
Oggi, negli occhi,
il tuo bianco accecante
di calce,
calce viva e abbagliante
di chiese e di case ornate
di tanti blu,
calce viva, forte
come il vento,
che qui annichilisce i sensi
e la mente.
Tutto è fermo e tutto
si muove di fronte a Tinos
e da Tinos i cavalloni
imperiosi, che ti fanno
percepire il tempo, che
inesorabile scorre,
come meridiana, che guida
l’ombra del nostro futuro,
segnando il passato di dolori
e gioie,
ora di Caronte le anime
a traghettare, nel vento
furioso,
tra Panormos Bay e
Baios Island,
ora di noi a guardare i passi
sul mare, tra Delo incombente
di sacre memorie,
Agios Ioannis, Plati Yialos
e Kalafatis,
regni del vento più calmo e del
bisogno di quiete.
Oggi, negli occhi, il tuo brullo
colore,
brullo di una terra senz’acqua
e regno di erranti pastori,
sterpi bruciate dal sole,
che guardano a sud, Naxos,
verde giardino d’acqua fiorito.
Myconos, 12-19 luglio 2010.
SAN PIETROBURGO
A San Pietroburgo
il mio angelo tormentato
cerca gli alberi spogli
sulla Neva,
per vedere le correnti
vorticose, prima che
il fiume ghiacci,
per vedere le aurore
del Nord,
prima che il sole dia colore
ai palazzi,
ai vetri delle finestre,
che riflettono
la nostalgia dell’amore
perduto.
Napoli, 21 settembre 2010
UN ANGOLO DI DONNA
Le lacrime della solitudine
il tuo cuore detergono
in quest’autunno
ambrato dal vento dell’Ovest
e l’acqua sconfinata
è qui per piangere
gli affetti perduti,
mentre le tue corde sono
dell’arpa e del liuto,
solitari suoni
del tuo vivere libera
nello spazio e nel tempo.
L’uva nera e bianca qui
è ancora sui tralci
e le olive
ancora nelle reti non
cadono.
Termini, 26 settembre 2010
SUD
L’orizzonte a Sud,
increspato,
argentato, come filigrane
in controluce,
vede due barche multicolori,
ora negre,
che dondolano e chiudono
la spirale della tua luce,
ora a mezzogiorno,
mentre Montalto domina
sul fragore d’onde,
unico suono su questo lido,
al limite dell’infinito, che è
in noi e in te figlia, che riposi
sul mare.
Marina del Cantone, 10 ottobre 2010
DA CETARA
Tra la veglia e il sonno,
l’oblio e la memoria,
si è distesi ai piedi della Torre,
che immobile, altera,
Punta Licosa guarda
e respinge i flutti e lo Scirocco
e le ore della nostra coscienza
o del nostro far niente
e il giro del sole attende, per
volgere lo sguardo su ciò che
ora è, su ciò che ora non è,
la notte della ragione,
la luce del giorno.
Cetara, 1° novembre 2010
L’ÀNCORA
L’àncora di ruggine colata,
remoti fondali nella memoria
scava,
come le rughe compagne della
salsedine danno dell’uomo l’età,
coacervo d’affanni e sagge parole.
Alla Marina l’infinito è presente,
come un tempo andato, le anime
della chiesetta, che guarda
Montalto
e i mulinelli rabbiosi d’acqua
amara di salso,
che spingono le pietre poste
a difesa della nostra quiete.
Ora a mezzodì,
la mareggiata dà forza alla linea
marcata, infinito sguardo verso
i gorghi argentati, che incantano
sempre gabbiani e placidi gatti,
che qui sono a me amici,
nella solitudine piena.
Marina del Cantone, 21 novembre 2010