SCRISSI QUESTA POESIA DEDICATA ALL'ARTISTA DI NERANO E DI JERANTO, FRANCESCO CIOFFI, NON SOLO PER L'INOSSIDABILE STIMA E ANTICA AMICIZIA, MA PER IL SUO INCARNARE AL MEGLIO, NEL SEGNO DI UNA SAGGEZZA CHE È FILOSOFIA, UN' ORIGINALE IDEA DI POESIA, CHE RITROVI NELLE SUE OPERE, UNA DELLE QUALI È NEL MIO STUDIO QUI A TRIESTE E MI DÀ CONFORTO QUANDO PENSO A MIA FIGLIA FANNY E ALLA NOSTRA AMATISSIMA BAIA DI JERANTO
PER FRANCESCO CIOFFI
Il tuo viso segnato
dalla salsedine,
che corrode la carne
ma dà forza allo spirito,
fiorisce pensieri pudichi
arroccati sulle spume
di Jeranto,
come antico filosofo
della natura,
che dà senso alla vita,
all'arte fatta di scorci
di faraglioni
solo dalle foschie violati,
di sirene probabili
in questo mare caro al mito.
Il tuo viso scavato
di ricordi vive
di una vita trascorsa sul mare,
quando tutto intorno decade
per l'accidia degli uomini
per l'insensato odio
che hanno di sé.
Marina del Cantone, 5 ottobre 2014
in Giacomo Garzya, "Una specchiera", Napoli 2015, M. D'Auria Editore, p. 44 e in Giacomo Garzya, "L'amore come il vento. Poesie (2011-2015)", Napoli 2019, Iuppiter Edizioni, p. 147.
Francesco Cioffi, "Jeranto: prima della nascita di Venere", acrilico, sabbia, su masonite (2014)
SEGUONO TRE POESIE DA ME SCRITTE PENSANDO A JERANTO, NELLO STESSO ANNO DELLA TRAGICA SCOMPARSA DI MIA FIGLIA FANNY
DA JERANTO
Al carissimo amico Francesco Cioffi, custode amorevole da sempre, come me e Fanny, di questo luogo incantato
Ogni sera ulivi secolari
il tramonto su Capri, con occhio
incantato
e stupito guardano, perché se
la tavolozza
è sempre la stessa, i colori sono
sempre diversi,
come il cielo terso e le nuvole.
E delle nuvole quante infinite
forme!
Le ulive nelle reti aspettano
il mulo
per lasciare il luogo incantato
dove sono cresciute;
le aspetta il frantoio, perché
diano di Jeranto
l'essenza del sole arroventato
dietro i Faraglioni calante;
il cosmo primigenio, ormai
le antiche ferite sanate;
l'eterno ritorno, quello dei
vivi e quello dei morti.
Napoli, 27 marzo 2008 Giacomo Garzya
in Giacomo Garzya, "Pensare è non pensare", con prefazione di Eugenio Mazzarella, Napoli 2009, Bibliopolis, p. 49 e in Giacomo Garzya, "Poesie" (1998-2010), Napoli 2011, M. D'Auria Editore, p. 300.
SAN LIBERATORE
Di San Liberatore è questo
cetrangolo, amaro,
come a primavera un giorno
di pioggia
in un colorato paesino
del Mezzodì.
Ma quando i suoi spicchi aspri
con zucchero di canna assaggi,
viene fuori ciò che è la vita
d'un uomo,
un amaro e un dolce commisti,
con note ora alte, ora basse.
A Jeranto ventosa e gialla
di fiori,
il dolce prevale, quando
la baia in pace,
si può contemplare, l'amaro,
invece,
quando si è costretti a partire.
Jeranto, 13 aprile 2008
in Giacomo Garzya, "Pensare è non pensare", Napoli 2009, Bibliopolis, p. 55 e in Giacomo Garzya, "Poesie" (1998-2010), Napoli 2011, M. D'Auria Editore, p. 306.
MONTE SAN COSTANZO
Ho seguito i tuoi passi
ho visto con i tuoi occhi,
mi sono aggrappato ai ricordi
di te,
ai luoghi della contemplazione.
La ruggine nella mente,
non è riuscita a scalfirne alcuno.
Jeranto, San Costanzo su tutti,
dove il silenzio parlava di te,
della tua generosa anima, già a
un passo dal cielo.
Marina del Cantone, 2 novembre 2008
in Giacomo Garzya, "Pensare è non pensare", Napoli 2009, Bibliopolis, p. 68 e in Giacomo Garzya, "Poesie" (1998-2010), Napoli 2011, M. D'Auria Editore, p. 318.
SU FRANCESCO CIOFFI
Forme e colori con tazzina di caffè
Il locale di Franco Cioffi potrebbe aprirsi benissimo su Pigalle o sulla brulicante Place du Tertre di Montmartre. Invece il ‘MozArt Eco Bar’ si affaccia sulla piazzetta di Nerano in penisola sorrentina. Nerano è un paesino estremo così come Franco è un artista sempre ai limiti della sperimentazione. E’ un villaggio fra gli ulivi poco lontano dal mare, sorto sullo scivolo di un’antica frana pericolosamente posto sotto gli incombenti calcari del monte San Costanzo. Dalle sue stradine all’inizio del Novecento partì Norman Douglas per il suo erudito viaggio in Siren Land. Di qui, nel 1968, partì per Londra il giovanissimo Francesco per seguire i corsi di pittura all’Institute of Contemporary Art. Durante gli anni londinesi incontrò artisti come John Latharn, Howard Hodgkin, Roland Penrose e Andy Warhol. In uno scantinato di Eton Avenue visitò lo studio di Kenneth Martin in cui la sua sensibilità resta letteralmente folgorata Ma l’aria grigia e gli umidi vapori del Tamigi, così come quelli delle opache città del nord Europa visitate in quegli anni, benché ricche di fermenti e di stimoli, non potevano sostituire i colori e la luce del Mediterraneo; quell’esplosione di luce che egli frantuma in minuscole figure geometriche per ricomporle sui cartoni che espone nel suo originalissimo bar-atelier ma che ben potrebbero figurare allo Stedeliyk Museum, o in qualsiasi altro santuario dell’arte moderna. Il suo stile spazia dal filone concettuale minimalista ad un verismo d’avanguardia, sempre in bilico fra la doppia significazione del dettaglio e dell’insieme. Non a caso sulla facciata del suo show room corre un filo di neon che si attorciglia per formare la scritta ‘glocalbar’. Anche la sua firma diventa un doppio: ‘Cioffi e Francesco’ con la paradossale presenza di una ‘e’ che è al tempo stesso congiunzione e separazione. Una sosta al MozArt Bar è un’esperienza unica, il cliente si ritrova suo malgrado nel piacevole ruolo del ‘visitatore’ frastornato dai colori e dalla fantasia che straripano dalle pareti e dal soffitto. I tavoli sono ricoperti da ingrandimenti fotografici, le sfolgoranti fotografie che il singolare barman cattura nei dintorni. Se per caso il bar è chiuso (Franco non usa il cartello ‘Torno subito’) allo sfortunato avventore non resta che sbirciare attraverso le vetrate perché è inutile aspettare; a quell’ora egli, con la sua Canon, potrebbe essere ovunque: nel fiordo di Crapolla, fra i merli di una torre costiera, nell’uliveto di Ieranto o in qualsiasi altro luogo intento a catturare paesaggi ripresi attraverso la fioritura di un pesco o la contorta ramatura di un caprifico. Spesso, in attesa che il sole raggiunga la giusta posizione, si appisola all’ombra di un carrubo su un letto di foglie profilmate. All’ora giusta riesce sempre a inquadrare, nella fugace traiettoria di un’ombra, la figura di un mostro o il profilo di un profeta. Durante l’inverno trascorre lunghe ore presso il mare in attesa di cogliere, dalla migliore posizione, l’onda che, possente, si infrange e spuma tra gli scogli. lmmagini naturalistiche che egli inserisce nelle sue straordinarie composizioni’ imprigionate in cornici rovesciate e sbilenche dove, ingabbiate sotto vetro, associa a conchiglie raccolte sulla battigia e a ciottoli levigati dalla risacca nelle rotondità tanto care a Henry Moore, altra sua conoscenza londinese. Ciottoli che egli fra bottiglie di rosolio e limoncello colleziona ammassati sui ripiani del retrobanco per offrirli al godimento dei clienti, fra una brioche e una tazzina di caffè.
ANTONINO DE ANGELIS
(da https://www.surrentum.com , primo maggio 2007)