Raccolte di poesie edite (1998-2011)

     

    RACCOLTA DI POESIE (SECONDA), MAREE

    GIACOMO GARZYA,
    MAREE, Napoli 2001,
    M. D'AURIA EDITORE

    Presentazione di
    GIUSEPPE GALASSO


    Sono paesaggi, "colori del tempo", sensazioni
    e sentimenti attuali o sedimentati nell'animo e nella
    mente, riflessioni impressionistiche, notazioni fuggevoli,
    pensieri a lungo covati e maturati, ricordi di
    scuola e di vita quelli che ispirano la poesia di Giacomo
    Garzya. La nota della delicatezza nativa e della
    sensibilità vivace e umbratile dell'autore traspare
    ad ogni suo verso. Ma non è una modalità intimistica
    quella nella quale il verso dichiara e compone la
    materia del suo poetare. È, piuttosto, il vario e
    reattivo atteggiarsi di uno spirito inquieto che non
    si ripiega su se stesso e che non rinuncia mai a vivere
    nel mondo e col mondo, fra gli altri e con gli
    altri: uno spirito positivo e fiducioso a malgrado di
    tutto quanto il mondo, gli altri, la vita possano ispirargli
    o fargli penosamente sentire in senso contrario.
    Lo soccorre in ciò la forte componente culturale
    del suo sentire e del suo pensiero: una componente
    culturale fatta in gran parte di storia e di storiografia,
    ma anche di arte e di letteratura, di memorie
    poetiche e di educazione ed esperienza retorica.
    Considerato tutto ciò, ci si aspetterebbe di imbattersi
    in una poesia greve del peso di se stessa,
    magari un po' presuntuosa nell'esibire le sue varie e
    colte componenti. I versi di Garzya sono, invece,
    lievi, scorrono con la naturalezza della spontaneità
    che li ha dettati anche quando sono densi - e talora
    troppo densi - di nomi famosi, di tòpoi storici e letterari.
    E questo, prima ancora che alla qualità intrinseca
    dei suoi versi, e quale che essa possa apparire,
    più agli uni o meno agli altri pregevole, è dovuto
    certamente al fatto che la poesia non è stata per
    Garzya tanto una scelta quanto un bisogno. Egli non
    ha voluto essere poeta, si è trovato ad esserlo, ed è
    stato lieto di trovarsi ad esserlo, ne ha tratto consa-
    pevolezza e conforto, ne ha ricevuto il dono prezioso
    di un rapporto nuovo ed autentico con se stesso,
    con il mondo, con gli altri, e ha ricambiato il dono
    con una dedizione generosa e fedele.
    Gli era accaduto lo stesso con la fotografia. E
    ciò è tanto vero che con la fotografia la sua poesia
    ha un rapporto profondo. Non direi che sono per
    lui la stessa cosa, e neppure che il poeta si risolva
    nel fotografo. Sono due vie del suo percorso umano,
    che corrono parallele e talora sovrappongono i
    loro tracciati, ma non cessano per questo di essere
    l'una fotografica e l'altra poetica. In questo senso
    l'ultima composizione di Maree, quella intitolata Giacomelli
    è una buona epigrafe del volume, un congedo
    significativo del poeta dal lettore, proprio perché,
    in versi e con parole da poeta, esprime la sentita,
    partecipe reazione a un ideale di fotografia (la
    più pura, vi si dice senza esitare). E, forse, proprio
    qui si svela una virtù superiore della parola (poesia)
    rispetto all'immagine (fotografia), di cui neppure
    Garzya è del tutto consapevole, ma che deriva dalla
    radice più profonda del suo spirito: la radice di una
    civiltà che nell'umanesimo della parola ha trovato
    la sua cifra distintiva e la misura ad essa più propria.
    Se così fosse, la poesia avrebbe segnato l' approdo
    ultimo, chiarificatore di quel bisogno dal quale,
    come si è detto, essa appare nata nello spirito di
    Garzya. In alcune delle liriche di Maree sembra di
    avvertirlo in modo pregnante: così in Dimenticare,
    ad esempio; così in Asperità; così in Giochi; così in
    Autunno e in A un sorriso un dono.
    L' animus, per così dire, fotografico di Garzya
    non risente di questa primazia concettuale e poetica
    della parola, se una tale primazia, come pensiamo,
    in lui sussiste. È, infatti, un primato fra pari
    quello, in lui, della parola. Tanto è vero che alle
    immagini e al dire i suoi versi tendono ad accoppiare
    in intimo rapporto i suoni. E non perché, o non
    soltanto perché, di alcune poesie si dice esplicitamente
    che sono state ispirate da musiche. Piuttosto,
    perché la musica è per Garzya in profonda interrelazione
    con le immagini e con la parola; è un'altra
    dimensione del suo sentire, pensare, vivere il mondo
    e il proprio rapporto con gli altri. Anche qui,
    insomma, non una scelta, bensì un modo di essere e
    di sentire.
    Non vorremmo, però, neppure minimamente,
    schiacciare l'umanità e il mondo di Giacomo Garzya
    sotto il peso di tante riflessioni saccenti, che pure
    sono state dettate unicamente dalla lettura affettuosa
    dei suoi versi e dall'antica conoscenza e apprezza-
    mento di lui con cui quella lettura è stata condotta.
    Tutto poi serve a dire che la poesia non è stata per
    Garzya semplice evasione o vieto esercizio arcadico,
    bensì lo sbocco naturale di una personalità in cui
    sono maturati col tempo, alla pari, esperienze e bisogni.
    Tutto si riduce, insomma, a dire che, se la
    poesia ha sempre un ufficio di catarsi del vissuto
    nel suo bene e nel suo male, nel suo bello e nel suo
    brutto, questo è vero indubbiamente in modo specifico
    per il poeta Garzya.
    Da questo punto di vista non è questione di grande
    o piccolo poeta. Il mondo di Garzya è semplice,
    ancorché pensoso; è composto, ancorché vivace. La
    spontanea levità con cui scorrono i suoi versi, pur
    evidentemente tanto curati e rifiniti, non ha alcuna
    tentazione, né la fa avere al lettore, di fingere travagli
    abissali, invidiosi veri, insospettabili e improbabili
    profondità. La poesia di Garzya è quale subito
    appare: naturale e credibile nella sua radice umana
    e nelle movenze che si è data. Il lettore non deve
    cercarla negli ascosi penetrali del tempio. La incontra,
    semplice e affabile, sulla soglia e non ha difficoltà
    a intrattenersi con essa in fidati, per quanto
    tenui e sommessi, colloqui.

     GIUSEPPE GALASSO



 

     FRAMMENTI DI PROCIDA

     Nubi di primavera
     spengono delle case
     antichi colori.

     Solo
     per qualche istante
     ché, poi, è luce
     e dai muri orlati
     grappoli sospesi
     di limoni dorati
     a distesa suonano
     inni di gioia.

      Procida, 21 marzo 1999


 

     CORRICELLA DI PROCIDA

     Quando
     per scalini stretti
     e quasi improbabili,
     dalle barche
     multicolori
     ti arrampichi

     e all'Epomeo di fuoco
     in una finestra
     come specchio ustore
     ammiri sorpreso
     la Marina,
     riflessa d'arancio,

     alla Cupola delle Grazie
     ricordi i Martiri,
     quelli del Novantanove,
     di tutti i ceti
     testimoni di libertà,
     troppe forche
     per un'isola.

     Oggi, come ieri,
     Marina di Corricella
     eterni lo sguardo
     su cumuli di case
     abbarbicate

     come unghie retrattili
     a difesa,
     variopinte come le reti
     ammucchiate sui gatti
     che sbucano dal loro
     ubi consistam,
     pigri e ignari.

      Napoli, 25 novembre 1998



 

     FALANGA D'ISCHIA

     Al tramonto
     nella Falanga
     morbide tonalità
     ambrate
     grigio brune
     e rossastre
     di vellutati fusti,
     dagli Eremi dell'Epomeo,
     digradano
     nella boscaglia

     giù fino alle mura
     sopra Forio.

     Ben tersa l'aria
     su Santo Stefano
     e l'Arcipelago, il sole
     fa immaginare
     nelle verticali marine
     riflessi sgargianti.

     Ma ora
     è la Porta
     che abbaglia,
     quella che dai lidi
     fa accedere
     al mondo del silenzio
     dei fruscii,
     al mondo
     della Falanga.

     Imponente è l'arco
     non ciclopico
     ma con pietre laviche
     leggere e robuste
     connesse alla greca.

     Tiziano,
     sole radente,
     aduso
     a tale spettacolo
     di foglie cadute
     a tappeti
     ma ancora pigmentate
     e vive
     ne avrebbe cantato
     i colori.

     Muschi rigenerati
     dalla luce filtrante
     su pareti umide
     disegnano e forgiano
     antico e moderno.

     È il gioco
     della natura.

     Falanga d'incanto
     tra polle d'acqua
     per l'arsura
     e antichi fossi
     per i nevai,

     ti convertirai
     ai fiori
     della primavera.

      Napoli, 8 dicembre 1998

      [da una escursione con l'amico
       ischitano Franco Capezza]



 

     ALLE BOCCHE DI CAPRI

     L'onda
     ribatte la spuma,
     un cuore
     l'orizzonte guarda
     e la corrente
     vibra bianca

     bianca d'amore.

     Iridescente
     dà luce il sole
     al moto
     dell'onda
     mentre la spuma
     ormai
     è
     alle Bocche di Capri

     bianca d'amore.

      Capri, 29 ottobre 2000



 

     PIZZOLUNGO DI CAPRI

     Scintille d'argento
     chetano
     l'acqua marina,
     fronde selvagge
     dirupi
     non sempre
     nascondono
     al sole calante.

     A Pizzolungo
     la sera scesa
     la brezza punge
     l'anima inquieta
     di arditi scogli
     e alti e robusti

     di gabbiani il rifugio
     d'uomini il tormento.

      Capri, 29 ottobre 2000



 

     NOZZE A CAPRI

     Tra gorgonie e occhiate
     dalla ghiaiolina in festa
     l'amata avventurina
     trepida e timida
     aspetta corallo rosso.

     È amore antico
     e a prima vista.

    Agata verde, gelosa,
    lo sa
    e il bacio chiede
    a schiere di lapislazzuli

    infedeli sì,
     ma dei coralli
     innamorati.

      Capri, 30 novembre 1998

 


 

      CONCA DEI MARINI

     Mare incantato
     la falesia mira
     mentre il libeccio
     la Torre antica
     sfida.

     È lotta
     senza quartiere
     tra schiuma
    d'onde
     e
     nitore di rocce.

     E quando l'acqua
     si gonfia
     anche il verde
    della macchia
    di te s'imbeve
     o mare incantato.

     Napoli, 22 novembre 2000

     [da una conversazione con
        l'amica Laura Liguori]



 

     VETTICA DI PRAIANO

     Mentre alla Cava
     de lo Grado
     severa la Torre
     il nero fiordo
     guarda

     il sole
     sul mare filtra
     valzer di luci.

     Un sipario si alza
     e è danza
     di glicini.

      Vettica Maggiore, 2 aprile 1999


 

     POSITANO

     Un cuoccio lì
     sull'aréna
     profuma di iodio e di vento,
     all'angolo il Fornillo
     e Vetara
     e Li Galli.

     Alto lo spumeggiare
     i capelli sbianca
     e il gabbiano
     come stordito nell'aria
     sbanda.

     Barche al sicuro
     biancogialle
     biancazzurre
     la primavera
     attendono.

     Ora piove
     mentre la nuvolaglia
     corre.

     Agile la rampa
     sale
     e come serpente
     le maglie snoda.

     Ormai lontano,
     il lampione
     canta un inno
     struggente di mare.

     Sotto, le maioliche
     di Maria Assunta
     in Cielo
     e l'ondeggiare
     di una palma
     nel mezzo di case
     di colori vive
     e adunate
     a schiera
     come teatro antico.

      Positano, 6 marzo 1999



 

     GENEROSA CIVALE DI NERANO

     "Pensare è una malattia
     camminare è una medicina
     gelosia è veleno".

     Tra muraglie
     di bacche bluastre
     e baccelli bruni,
     con asinelli
     che non pencolano più
     per irti pendii
     carichi
     di sporte arrugginite
     per muretti a secco,

     non sono
     i de La Bruyère
     a sistemare
     i precetti
     del buon vivere,
     bensì pelle rugosa
     di vecchia devota.

     Favella monete auree
     di antica saggezza,
     a due passi
     da Jeranto
     e dal Silentium
     di Villa Rosa.

     Forse avrebbe smoccolato
     contro quel reprobo
     di Norman Douglas,
     ma chiede
     se siamo cattolici.

     Se non avessimo avuto
     premura per il luogo
     ben noto agli Dei,
     Ella sarebbe stata
     un buon contraddittorio
     e un torrentello
     in piena.

      Napoli, 8-15 ottobre 1998



 

     SERAPO

     Per riverbero rifratto
     sabbia colore caucciù
     elastica e tesa
     dall'osmosi marina

     gusci di conchiglie
     esposte
     alla luce solare
     lucignolo sull' onde.

     Pian piano smorzandosi
     il brillìo sull'acqua
     esplode il sole

     insieme, improvvisa
     brezza da terra
     rompe il tepore.

     Hanno freddo i cuori
     ma all'orizzonte
     inesorabile
     la gran palla di fuoco
     si prepara
     all'eterno tuffo

     caldissima
     per la profondità
     dell'Oceano.

     Nel nostro riparo
     torniamo tristi
     per il mancato crepuscolo.

      Napoli, 6 gennaio 1999



 

     TRAMONTO SUI REGI LAGNI

     Tramonto cremisi
     si attorciglia
     con vago torpore
     e si addensa
     tra parallelepipedi
     di cemento

     isole
     m un mare
     di caseggiati anonimi
     senza colori.

     A mezz'aria San Michele
     lancia spezzata
     fende stagni
     e irreali bagliori.

     Là, una volta,
     battevano la palude
     i Regi Lagni, ora
     cimiteri di ratti.

     All'orizzonte
     tra filari di alberi
     decise come ferro colato
     lingue di viva lava

     lambiscono la strada
     su cui corriamo
     verso il crepuscolo.

     È miracolo di retina
     che ferma la realtà
     o flash di guerra
     in una corsa
     a tavoletta?

      Napoli, 13 dicembre 1998



 

     TRAMONTO SU POSILLIPO

     Sbuffi di vento
     nuvole rubre
     dietro Posillipo
     come rami
     torcono.

     L'estasi alla vista
     le pupille dilata
     nello spazio finito
     del nostro
     grande essere.

      Napoli, 9 novembre 2000

 


 

     COLORI DEL TEMPO

     Nel variopinto mutare
     delle stagioni del tempo
     di foglie caduche
     ho colto calore
     e insieme morte.

     Acqua freddo marmoreo
     alla vista offre
     orridi scorci e sublimi
     fatti di nere masse di terra
     di rami spogli
     di argentee brume.

     Ma ruota del cosmo
     ciclo eterno gemme apre
     e a Pantalica
     necropoli di varie genti
     tutto fiorisce
     alle dolci luci
     della primavera.

     E d'estate
     più sicuro il mare
     rassicurante ritorna.

     L'atavica paura vinta
     le acque si solcano
     con reti e barche

     ed è trionfo
     di forti colori.

      Napoli, 10 luglio 2000

 

 


 

     AUTUNNO

     Tenue legame
     ha la foglia
     al ramo.

     Al primo soffio
     cade.

     È tautologico
     come lo è la vita
     di tutti noi
     sospesi
     nelle fantasie
     del vento.

      Napoli, 16 novembre 1998



 

     A UN SORRISO UN DONO

    E
     a un sorriso inatteso
     alati frammenti
     su carte azzurrine

     turbinano a falde
     come prismi di ghiaccio

     e nelle palme protese
     tra lirici cumuli

     si adagiano in dono.

     Napoli, 24 ottobre 1998



 

     IMPULSI AL CHIARO DI LUNA

     Dietro siepi silenti
     per la notte inoltrata
     pallida donna
     righe scrive.

     Scrive
     sotto luce
     che cade
     su tetti spioventi
     come pagode
     e
     l'inchiostro scorre
     labirinti d'oro
     su carta
     d'Amalfi.

     Un sonetto d'amore
     scrive la donna
     mentre la luna bianca
     il suo cuore
     alluma.

      Napoli, 24 novembre 2000

 


 

     ARSURE

     Goccia dopo goccia
     l'arsura dell'anima
     nel meriggio arido
     non si placa.

     Bacio dopo bacio
     la sete d'amore
     nel tiepido letto
     accomoda i sensi.

      Napoli, 8 novembre 2000

 


 

     OPPURE?

     Oppure
     in pomeriggi
     afoni

     nel tuo giardino
     vengo

     i sensi
     l'intelletto

     a germogliare.

      Napoli, 8 ottobre 1998

 


 

     NÉ AMORE NÉ VENTO

     Ho fumato fumato
     tutta la notte
     trenta sessanta
     ho fumato.

     Notte
     senza vento e luna
     neghi
     il respiro vitale,
     senza amore
     sei lunga
     a passare.

     Notte
     che proteggi
     i cuori stanchi
     e tormenti
     quelli affranti
     senza destino,
     sii almeno buona
     con me.

     Trenta sessanta
     ho fumato
     non posso
     niente di niente
     in questa notte oscura
     che rode lo spirito
     privo di ebbrezza,

     l'ebbrezza
     del vento sferzante
     dell'onda
     rumorosa e maschia
     dell'amore
     caldo e conciliante.

      Napoli, 1993


 


 

     DIMENTICARE

     Ogni vero cuore
     ha dentro
     nel più profondo

     un diamante aggressivo
     da tagliare.

     È quello che non sa
     e non riesce
     a perdonare,
     forse per ferite
     antiche

     incrostate sulle rocce
     come fossili

     insensibili

     allo sfaccettare
     della memoria.

      Napoli, 27 novembre 1998


 


 

     ASPERITÀ

     Lo spigolo
     nel quale spesso
     m'imbatto,
     lo preferirei
     di piperno,
     non di torba
     grassa e corrotta.

      Napoli, 24 febbraio 1999

 


 

     GODOT

     Ti mandano incontro
     sulla tua strada
     per cogliere un cenno
     amicizie andate.

     Occhi Pilato
     tradiscono un:
     è lui!
     È tornato Godot !

     Se mai, egli sia,
     una sola volta,
     approdato!

     E quando ti aspetti
     un saluto,

     resti solo
     nella tua solitudine
     il cuore segnato.

      Napoli, 9 ottobre 1998



 

     COME GAZZA

     La lente doppia
     molata per errore

     avariato pure il Cecubo
     e distorto l'angolo,

     allo specchio
     solo in diagonale

     vede l'occhio
     dell'amata gazza.

     Ora è la brutta duchessa
     di Metsys
     ora
     è Sylvia von Harden
     col suo Spritzer.

     Solo in diagonale
     la dannata si bea
     e
     non le resta che un
     "o taci,
     o dici cose migliori
     del silenzio".

      Napoli, 28 ottobre 1998

      [Aut tace/ aut loquere/ meliora silentio,
       dall'Autoritratto di Salvator Rosa,
       Londra, National Gallery)]



 

     NOVECENTO

     Millenaria fine di secolo,
     triste matassa
     di morti.

     Di ariani avidi,
     semiti e camiti
     è difficile conta.

     Anche oggi piove odio
      e in Kosovo
     è brina di sangue.

     Domani
     sarà rugiada?

      Napoli, 7 ottobre 1998



 

     GUERNICA

     Bocca aperta
     con espada

     urla
     nelle sagome.

     A mani distese
     dita doloranti
     e lampe
     al Minotauro
     sinistra luce
     danno.

     Nella notte fonda
     delle bombe
     non c'è più tempo
     per la ragione
     dei morti.

      Madrid, 5 gennaio 2001

      [guardando il Guernica di Picasso,
       Museo nacional centro de arte Reina Sofia]



 

     GIOCHI

     Rotolano quattro dadi
     sui selciati del mondo

     rimbalzano agli angoli
     della paura di perdere
     tra amore e odio
     tra vita e morte
     tra coraggio
     e disperazione.

     Ma nel librarsi diseguale
     dell'esistenza,
     oltre il caso,
     entrano in gioco
     biglie colorate
     di vetro
     piccole e grandi

     con cui si vince
     per una buona coscienza
     e una buona morte.

      Napoli, 26 dicembre 1998



 

     PARIGI 1991

     Perché Kirchner
     nella sua Firenze
     sull'Elba
     in arancione e blu
     si è violentemente
     proposto?

     Pipa
     all'angolo
     della bocca,
     pennello
     e, nell'altra mano,
     tavolozza
     con qualche colore.

     Accanto, in bilico
     ombra disfatta
     modella luetica
     pane duro
     nero
     per marchi.

     Ciò,
     per dissonante rottura,
     per essere drammaticamente
     espressivo,
     per fare studio di sé.

     O,
     per non chiudersi
     angosciato rantolo
     nella sua tana.

     Eppure, Rainer Maria
     Rilke
     l'anima delle anime
     incontrata in un sogno

     o al crepuscolo, seduto
     ai Giardini del Lussemburgo,
     il dilemma ha evitato.

     Napoli, 31 ottobre 1998

      [Ernst Ludwig Kirchner, Autoritratto con modella,
       Amburgo, Kunsthalle]



 

     ERMENEUTICA DELL'ALDILÀ

     Uomini sereni del Sud
     addormentati nella morte,
     qualcuno con la sua ciotola
     qualcuno dilaniato
     icona lì al centro
     tra coccodrilli ieratici
     e composti.

     È valle di morte sospesa,
     vicina alla nostra
     inquietudine di sempre
     che vuole compagnia fisica
     per sopravvivere
     nell'aldilà.

     Coccodrilli attoniti
     guardano frammenti di copto
     polveri di papiro
     tavolette cerate
     ceneri di Vesuvio

     e di due donne
     il ritorno
     dai Campi di urne.

      Napoli, 29 dicembre 1998

      [guardando I dormienti di Mimmo Paladino,
       Napoli, Castel S. Elmo]



 

     RACHMANINOV

     Mentre Sergej
     suona
     per non morire,
     al quadrivio
     dell'esistenza,
     in do
     e in re minore
     bevitori di musica
     alzano il gomito.

     Noi
     compagni di viaggio
     nella quiete
     delle ombre
     un adagio sostenuto
     o un allegro
     ma non tanto
     si ascolta tremuli.
     È sempre Sergej
     che suona.

      Napoli, 10 novembre 2000



 

     DISARMONIE

     Quasi distratti
     si ascoltano
     dissonanze sospese
     poi vivaci.

     Entrano nell'aria
     nel giusto modo
     con filologica immunità
     in un rigurgito
     di pensieri
     naturalmente scollegati
     dall'angoscia di essere.

     Chantilly elicoidale
     dal vaso del giorno prima
     monta.

     Monta come ciliegia
     sotto spirito
     e tre quarti
     di fuxia su pelle
     a prova d'oca.

     Squittiscono viola
     violini e violoncello.

     La tensione sale.

     Si è in un rifugio
     in fondo alla morte
     di un vicolo di Praga,
     Varsavia o ai Mannesi

     e budella di ratto
     si rimescolano
     a budella di ratto.

     Poi improvvisi
     colori e grazia
     una solitudine
     sempre più evidente
     contraddistinguono,

     speranze di un'armonia
     disarmonicamente
     disarmonizzata.

     Ascende tenue una nota
     della sottospecie
     del do.

     Regge pochi istanti
     all'intrigo di chi
     vuole semplicemente
     essere.

     L'arco della viola
     infine riparte

     e un sottile
     erotico orgasmo
     sincronico
     ristabilisce armonia
     e ordine,
     per poco.

     Napoli, 10 novembre 1998-
     12 novembre 2000

      [ascoltando Witold Lutoslawsky
       nel Quartetto Hagen, a un concerto
       della Scarlatti]



 

     NOTE D'AMORE

     Sotto una volta gotica
     gelida la pietra,
     sulla mia anima
     inquieta
     si pone il tuo battito.

     Un trio d'archi
     come ali di passero
     lancia note
     che si aggettano
     nei meandri
     dei nostri cuori.

     Si attende l'adagio
     per distendere
     corde sensibili e calde.

     Napoli, 10 gennaio 1999



 

     FLAMENCO

     Alta, sinuosa
     la curva
     martello
     il tacco
     volteggia l'abito
     orlata la gamba.

     A Madrid
     alla Porta del Sol
     esplodono
     palme su palme
     e di chitarre
     dita su corde.

     Arabeschi nell'aria
     schioccano
     nacchere andaluse,
     ritmi
     e canti
     di Castiglia.
     Martello il tacco
     lunga la gamba
     ritmate le palme

     è flamenco de fuego.

      Madrid, 6 gennaio 2001



 

     CONCERTO SARDO

     Nell'estasi dell'alcova
     alcova di umido musco

     una donna amata
     assorta
     origlia
     funi grondanti
    di amore e di mare.

     Pescatori di corallo
    di isola lontana,
     le cui donne
     aspettano tessendo
     seta pregiata,
     tirano a riva reti
     stracolme di pesci
    e crostacei rosso arancio.

     Nell'aria di festa
     suoni punico - catalani
     e ritmi di danze capresi,
     meglio di tutti
     il flicorno caldo e grave
     di Paolo Fresu.

     A Tharros cosmopolita
     e antica
     archi e dita di cetre
     come dolci bacchette
     accarezzano
     il tuo ventre
     donna amata e gravida.

     Funi grondanti di mare
     dell'Ovest
     come vorrei incontrarvi
     a Tharros!

      Napoli, 4 dicembre 1998

       [ascoltando il Quartetto Internòs,
         a un concerto della Scarlatti]



 

     GIACOMELLI

     Tracce semantiche
     di dura terra
     metafisici paesaggi
     e lunari
     anime
     contemplano.

     Chiaroscuri tenaci
     caos di linee
     e geometrie
     audaci,
     fantasie
     alimentano.

     È fotografia
     la più pura.

      Napoli, 26 novembre 2000

       [scritta in ricordo di Mario Giacomelli,
         scomparso il 25 novembre 2000]